Foto LaPresse / Bernat Armangue 

"Una mattina mi sono svegliato e c'erano le bombe". Storia di una fuga da Kharkiv

Gianluca De Rosa

Era arrivato in Ucraina il 18 gennaio ma il suo viaggio di studi si è interrotto dopo appena un mese e sei giorni. Il risveglio con la guerra e il tentativo di lasciare il paese. La testimonianza di Elvis 

Elvis, nigeriano di 29 anni, era arrivato a Kharkiv il 18 gennaio. “Ho vinto una borsa di studio e ottenuto un visto da studente per frequentare il corso d’ingegneria all’università internazione di Kharkiv”, racconta al telefono. Per i primi sei mesi avrebbe dovuto fare un corso di lingua. Di russo. Ma il suo viaggio di studi si è interrotto dopo appena un mese e sei giorni. Il 25 febbraio, il giorno successivo ai primi raid voluti da Vladimir Putin, ha deciso di lasciare il paese. Non se ne pente. “Kharkiv è stata finora una delle città ucraine più colpite”, dice. “Quando sono partito dalla Nigeria si parlava del rischio di una possibile guerra, ma francamente non mi sarei mai aspettato che si arrivasse a questo punto. Una mattina mi sono svegliato e c’erano i bombardamenti, non ci volevo credere”. Adesso, dopo diversi giorni di viaggio, è finalmente arrivato a Varsavia, dove è stato accolto in un appartamento della comunità di Sant’Egidio. Come lui, sono altri 4mila gli studenti nigeriani che erano in Ucraina all’inizio del conflitto e che sono fuggiti negli ultimi giorni. 

Il viaggio di Elvis verso la frontiera si è svolto in due tappe. Prima da Kharkiv, all’estremo oriente del paese, fino a Lviv, a 70 chilometri dalla frontiera polacca. Poi da lì un secondo tragitto per superare il confine, che è stato molto più travagliato. “Alla stazione di Kharkiv – racconta – per partire c’era una folla immensa: tantissime persone di diverse nazionalità. Salire sul treno non è stato semplice: con i miei amici e coinquilini siamo arrivati alle 20 e ci hanno detto che sarebbe arrivato il treno in meno di un’ora, ma prima delle due non è stato possibile salire su alcun convoglio: erano tutti troppo pieni. Alle 2.30 siamo riusciti a partire”.


La prima parte del viaggio è andata piuttosto bene. “I treni – racconta lo studente – erano comodi e siamo anche riusciti a riposare un po’”. Alle nove di sera del giorno successivo Elvis e i suoi amici, tutti africani, sono arrivati a Lviv, dove hanno incontrato una situazione ben più complicata.“C’erano più di mille persone che aspettavano sulla banchina”, ricorda Elvis. “Non solo ucraini: c’erano tanti studenti ghanesi, siriani e indiani. Ci hanno detto che sarebbe arrivato un treno in poco tempo. Abbiamo trascorso la notte sulla banchina: andare dentro la stazione avrebbe voluto dire perdere il posto nella fila. Faceva freddisimo, io non sono abituato a quel clima, più volte ho pensato di rinunciare. Quando finalmente è arrivato il treno, abbiamo capito che non sarebbe stato semplice partire: era molto piccolo, solo cinque carrozze. I capitreno hanno subito detto che sarebbero saliti solo donne e bambini di nazionalità ucraina: c’era una ragazza nera che era riuscita a salire ed è stata spinta giù, mentre un ragazzo siriano che ha cercato di forzare ha ricevuto un pugno in piena faccia”.

Il racconto di Elvis collima con quello che diversi studenti africani hanno fatto a televisioni e agenzie di diversi paesi. Questo pomeriggio dopo aver appreso queste denunce, l’Unione africana ha rilasciato una nota per manifestare “preoccupazione e turbamento per le notizie secondo cui ai cittadini africani dal lato ucraino viene negato il diritto di attraversare la frontiera in sicurezza”.

Nonostante le difficoltà, però, Elvis e i suoi compagni sono riusciti a partire. “Vista la situazione abbiamo deciso di rinunciare a salire su quel treno, ma non ci siamo rassegnati perché sapevamo che all’alba sarebbe arrivato un altro convoglio”. Alle cinque, effettivamente, il treno è arrivato “Ma noi e tanti altri eravamo sulla banchina sbagliata e abbiamo dovuto attraversare i binari a piedi. Una donna ucraina mi ha spinto via per cercare di superarmi, ma fortunamente non sono caduto. La lotta per salire è stata intensa. Anche questa volta dicevamo che potevano salire solo bambini e donne ucraine. I capitreno erano molto violenti: se cercavi di entrare ti picchiavano o ti spingevano fuori. Per avere una chance mi sono messo ad aiutare a salire bambini e donne, sperando poi di seguirli, ma lo spazio era pochissimo. In tanti hanno dovuto abbandonare le valige e pacchi a terra. Io non riuscivo a entrare: ho iniziato a chiedere insistentemente, facendo notare che avevo anche aiutato, ma non è servito a nulla”. Poi, all’improvviso, la strategia vincente. “Alla fine un mio amico per entrare ha preso in braccio un bimbo ucraino dicendo che era il suo e che doveva salire anche lui. Ce l’ha fatta. Noi spingendo siamo riusciti ad andargli dietro”. 

 

Di più su questi argomenti: