Foto Roberto Monaldo / LaPresse 13-06-2012 

Il Partito popolare spagnolo è snervato da un conflitto cronico

Guido De Franceschi

Feijóo è l’adulto che prova a contenere i danni della lite tra Casado e Ayuso. I due leader politici hanno messo in imbarazzo il Pp

Il conflitto interno al Partito popolare spagnolo è cronico. Da un lato, c’è chi ha quell’approccio centrista, sonnacchioso e provinciale, di cui l’ex premier Mariano Rajoy è stato per quindici anni il massimo interprete. Dall’altro, ci sono gli esponenti di matrice aznariana, che sono invece inclini ad atteggiamenti più bellicosi, outspoken e identitari e che sono capaci di diffondere all’interno del partito periodiche onde telluriche, che hanno il loro epicentro nell’intreccio di media e potere che si sviluppa a Madrid. Passano le generazioni e al vertice del Pp vengono sostituiti i protagonisti. Ma i ruoli che essi incarnano sono sempre gli stessi.


Da ultimo, a giocare il ruolo del moderato (ancorché scelto nel 2018 come presidente del Pp proprio perché falco) è stato Pablo Casado. Mentre nei panni dell’eroina di chi vuole dei leader capaci di dichiararsi di destra senza imbarazzi ha recitato la presidente della Regione di Madrid (ed ex amicissima di Casado) Isabel Díaz Ayuso.


La settimana scorsa, però, i due hanno stracciato il copione e sono andati a braccio. E, divisi ormai in tutto, ma uniti nel confezionamento di questo enorme pasticcio, hanno precipitato il loro partito verso il disastro. In poche ore, tra giovedì e venerdì, Ayuso ha denunciato l’esistenza di non meglio precisate attività di spionaggio ordite dal suo partito ai danni della sua famiglia. Allora Casado ha negato di aver assoldato detective privati, ma ha accusato Ayuso, senza averne davvero le prove, di aver avallato guadagni inopportuni se non illegali da parte del fratello Tomás nel corso della vendita di una partita di mascherine Ffp2 alla regione di cui è presidente. Ayuso ha quindi replicato con qualche reticenza, fornendo delle carte non risolutive. E tutto ciò è avvenuto davanti alle telecamere.
In questa circostanza Casado e la Ayuso sono sembrati dei dilettanti allo sbaraglio e non dei leader quarantenni pronti a contendersi virtuosamente la guida del grande partito del centrodestra nel momento in cui viene sfidato a destra dall’ascesa di Vox e a sinistra dal premier socialista Pedro Sánchez, che, seppur al timone di un governo che sembra una scialuppa di salvataggio, continua a puntare la prua verso i cavalloni e a uscirne tutto intero.

 

Certo, Ayuso esce ammaccata da questo momento di pura follia autolesionista con cui lei e Pablo, i due ex gemellini, hanno messo in imbarazzo il partito che li ha cresciuti. La Ayuso rischia di essere accompagnata a lungo da un’ombra: negli anni passati il Pp è stato devastato dalle inchieste per corruzione e per questo l’opposizione non si accontenterà certo dell’esibizione di un paio di documenti stropicciati.


Nel frattempo, però, in un’accelerazione paratrumpiana (seppur pacifica) degli eventi, una piccola folla di ayusisti ha rumorosamente manifestato a Madrid, sotto la sede del partito, contro il “traditore” Casado. I media di destra (favorevoli alla presidente di Madrid) e quelli di sinistra (favorevoli all’implosione del Pp) hanno dato grande risalto a queste proteste. E così – anche sulla spinta dei dirigenti di lungo corso del partito, che vogliono interrompere al più presto, e con misure drastiche, questo spettacolo indecoroso – è stato Casado a trovarsi sull’orlo delle dimissioni forzate, invece della Ayuso. Il leader è lui ed è lui a non aver saputo gestire il problema.


Ed ecco allora che, nel ruolo di babysitter dei due litiganti e di garante del buonsenso, si è stagliato all’orizzonte, senza peraltro alcuno sforzo da parte sua, il presidente della Galizia, Alberto Núñez Feijóo che, parole sue, ha parlato con Casado e gli ha chiesto di prendere una “decisione finale” per evitare il collasso del partito (non ha rivelato, “per lealtà”, quale fosse questa decisione da lui pretesa, ma l’aggettivo “finale” non lascia dubbi).


Il sessantunenne Feijóo, che è un popolare old school, moderato ma supervincente (ha portato il Pp alla maggioranza assoluta dei seggi in quattro elezioni consecutive per la Xunta, il governo della Galizia che presiede dal 2009), sembrava il candidato perfetto alla leadership del partito già nel 2018, quando fu invece scelto Casado. Ma lui, seppur piuttosto imperscrutabile (l’esegesi del suo pensiero, in Galizia, è chiamata “feijoología”), ha sempre dato l’impressione di essere interessato a restare a regnare lassù, nell’appartato nord-ovest. Ora però, in quota “adulto nella stanza”, potrebbe essere arruolato – un po’ suo malgrado ma forse neanche poi troppo – per la guida del partito. Se non fosse che l’ancora molto potente e molto mestante José María Aznar, e i suoi, continuano a preferire la Ayuso, seppur azzoppata, a questo quieto galiziano che sembra una copia reloaded del conterraneo Rajoy. E cioè, nel lessico flamboyant dei polemisti che attizzano la destra del Pp, un complessato e un pusillanime. 

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