il conflitto

Tanti disaccordi tra Scholz e Zelensky e un messaggio da portare a Mosca

Micol Flammini

Il presidente ucraino è stato informato che l'attacco russo sarà mercoledì, ha chiesto di cantare l'inno e di mantenere la calma. Nelle stesse ore, in attesa del cancelliere tedesco, Putin e Lavrov dicono che c'è sempre tempo per una soluzione diplomatica. Un bluff?

Che sia il cancelliere tedesco Olaf Scholz l’ultima chance diplomatica per evitare l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, non fa sentire Kiev più al sicuro. Da quando l’esercito russo ha incominciato a circondare i confini ucraini, la Germania è stata il paese più riluttante a condannarlo e questo ha reso gli ucraini più diffidenti: Berlino ha più interessi con Mosca che con Kiev. Ieri Scholz era in Ucraina e quando gli è stato chiesto di parlare di sanzioni al gasdotto Nord Stream 2 in caso di attacco russo – la domanda gli è stata posta due volte da un giornalista tedesco e da un collega ucraino – il cancelliere non ha risposto.  Zelensky ha colto l’occasione per dire che lui e Scholz sull’argomento la pensano in modo diverso. 

 

La visita di Scholz era già stata programmata ma è arrivata  dopo l’annuncio da parte degli Stati Uniti di un attacco russo che potrebbe arrivare prima della conclusione delle Olimpiadi di Pechino. Oggi sarà a Mosca e gli ucraini si domandano di chi farà gli interessi.  Il cancelliere ha più volte sottolineato la generosità della Germania, che ha fornito 1,7 miliardi di euro a Kiev, ma gli ucraini non dimenticano lo sgarbo degli elmetti. Nelle scorse settimane, quando i vari paesi della Nato cercavano di fare del loro meglio per rifornire l’esercito ucraino di armi, la Germania si è limitata a mandare un ospedale da campo e cinquemila elmetti. I più spiritosi lo hanno preso per uno scherzo, gli altri, la maggior parte, per un affronto. Tra Scholz e Zelensky ci sono stati altri disaccordi in conferenza stampa. L’ucraino ha ribadito che Kiev non vuole rinunciare alla Nato, e ha detto con chiarezza che non vede il motivo di questa escalation. Sono giorni che gli ucraini chiedono ai russi di mandare delle motivazioni scritte che giustifichino la posizione delle truppe che circondano l’Ucraina. La Russia dice che non servono  per attaccare, ma sono troppe e il dubbio che siano lì per un’invasione sta diventando una certezza. Mosca non ha ancora fornito queste risposte, ma Scholz in conferenza stampa ha voluto dire, per tranquillizzare la Russia e non certo l’Ucraina, che per il momento l’ingresso di Kiev nella Nato non è sul tavolo, quindi perché preoccuparsi. Altro momento di tensione è stato sulle sanzioni, Zelensky si è lamentato del fatto che nessun leader occidentale finora abbia voluto rispondere alle sue domande riguardo alle misure che Stati Uniti e Unione europea intendono prendere contro la Russia in caso di invasione. Kiev sa che i suoi partner non interverrebbero militarmente, ma per ora sembrano confusi anche sulle sanzioni. Scholz poi ha lasciato intendere cosa porterà domani al tavolo con Putin: la promessa da parte di Kiev di una legge che regoli l’esistenza di Donetsk e Lugansk, le due zone del Donbass che si sono autoproclamate repubbliche popolari. Mercoledì in Russia la Duma potrebbe votare il riconoscimento delle due repubbliche e questo, assieme alle notizie false che si stanno diffondendo su alcuni media russi, sulle violenze contro i cittadini russi nel Donbass, potrebbe fornire il pretesto per un’invasione. Se Scholz convincesse Putin dell’impegno ucraino potrebbe ripensarci.

 

In realtà segnali di distensione da parte di Mosca sono arrivati. Resta importante capire se si tratti di un bluff per confondere le idee dopo gli annunci degli americani  o della volontà del Cremlino di offrire più tempo per le negoziazioni. Putin ha incontrato i suoi due Sergei, il ministro degli Esteri, Lavrov,  e quello della Difesa, Shoigu, e dagli incontri sono state fatte uscire due notizie. La prima è che alla domanda di Putin se c’è ancora spazio per le negoziazioni, Lavrov ha risposto che di spazio ce n’è sempre. La seconda è che Shoigu ha comunicato al presidente la fine di alcune esercitazioni militari. 

 

Zelensky ieri è stato informato dall’intelligence americana che l’attacco russo sarà mercoledì, ha anche saputo che gli Stati Uniti sposteranno l’ambasciata da Kiev a Leopoli, ma  ha ripetuto che l’Ucraina mantiene la calma e ha proposto di fare di mercoledì 16 febbraio giorno di unità nazionale. Non vuol dire che il presidente stia minimizzando, ma sta cercando di evitare i danni del panico, che già si vedono. A Kiev il costo della vita è aumentato, gli aerei non sorvolano più Kiev e   l’Ucraina ha deciso di pagare 590 milioni di dollari per assicurare chi entra nel  suo spazio aereo e ripristinare il traffico. Mentre gli addestratori stranieri se ne vanno, gli ucraini restano. L’Ucraina ringrazia dell’aiuto ma cerca di fare da sola e Zelensky al fianco di Scholz ha fatto altrettanto.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.