Jean-Paul Sartre riceve alla Casa della Cultura il Premio Omegna 1960 per la Resistenza, tramite LaPresse 

In Francia il monopolio del pensiero a sinistra ha fatto fuggire gli intellettuali

Mauro Zanon

Il lamento dei progressisti francesi che si sono persi anche gli intellò, ormai nel partito si fatica a identificare i nuovi maestri del pensiero

Parigi. Attaccare la gauche francese, oggi, è quasi “sparare sulla Croce Rossa”, dicono un po’ tutti a Parigi, e in particolare gli elefanti del Partito socialista (Ps), rassegnati dinanzi alla situazione nefasta in cui versa la formazione fondata da François Mitterrand. Il problema è che non è solo il Ps a essere in crisi esistenziale: è l’intera famiglia progressista, dagli Insoumis di Jean-Luc Mélenchon ai Verdi di Yannick Jadot, a essere incapace di elaborare un’alternativa social-ecologista per contrastare il macronismo, il gollismo e il sovranismo. “Ha perso la ‘cultura di governo’”, scrive il settimanale Obs nella sua inchiesta sulla deriva della sinistra francese, mai così divisa nella storia della Quinta Repubblica. Ma secondo altri osservatori, la gauche, ha perso qualcosa di ancora più importante: gli intellettuali. “In un momento in cui la sinistra, includendo tutti gli schieramenti, viaggia attorno al 20 per cento nei sondaggi, si fa fatica a identificare le grandi figure intellettuali della sinistra francese”, scrive il Figaro. 

 

Un tempo la gauche era per tutti “il partito degli intellò” e il dibattito culturale era dominato dai pensatori di quel campo politico. “Dai tempi dell’affaire Dreyfus, la sinistra intellettuale ha regnato quasi incontrastata nella vita delle idee. Questa egemonia era diventata quasi totale dopo la guerra, in seguito al discredito gettato contro il pensiero conservatore da parte del regime di Vichy. Maurras non viene considerato e Sartre sovrasta Camus.  I grandi maestri del pensiero si chiamavano Simone de Beauvoir, Maurice Merleau-Ponty, Claude Lévi-Strauss, Roland Barthes, Michel Foucault. Solo i centristi François Mauriac, Raymond Aron e Jean-François Revel erano tollerati su uno strapuntino ideologico”, osserva il Figaro. Ma oggi non è più così

 
Secondo il filosofo Marcel Gauchet, fondatore della rivista Le Débat, “non c’è più una sinistra intellettuale, c’è soltanto un’estrema sinistra intellettuale che vuole il monopolio del pensiero, esclude e traccia il perimetro di ciò che è rispettabile”. E’ la gauche convertita ai dogmi del wokismo e della cancel culture, che ha abbandonato l’universalismo a favore del comunitarismo e scomunica chi non si allinea. “La sinistra ha sempre avuto un problema con il settarismo, ma questo difetto originario si è aggravato”, spiega Gauchet.

 

Per lo storico Jacques Julliard, “non sono gli intellettuali che hanno abbandonato la sinistra, è la sinistra che ha abbandonato gli intellettuali”. O meglio certi intellettuali. Come Élisabeth Badinter, étoile del femminismo d’oltralpe, finita nel girone degli infrequentabili per le sue battaglie contro le derive dell’islam e l’ideologia woke. “Una parte della sinistra social-democratica può esprimersi solo sui quotidiani di destra, perché i giornali che un tempo erano di centro-sinistra oggi sono imbavagliati dalla paura o militano apertamente a favore dell’ideologia woke”, ha dichiarato al Figaro Badinter.

 

Quest’ultima, a settembre, aveva messo la sua firma su una lettera aperta promossa dalla pedopsichiatra Caroline Eliacheff contro la transizione di genere dei bambini. Inizialmente accettata dal Monde, la pubblicazione è stata rimandata più volte in seguito a una riunione interna della redazione e condizionata a un’“inchiesta” sui bambini trans. Alla fine, Badinter e le altre firme sono state costrette a pubblicarla sull’Express. “Il Monde e Libération sono diventati interscambiabili. Sono giornali woke”, constata Alain Finkielkraut, un altro figlio della gauche abbandonato dalla sua famiglia e trattato come un appestato. Anche il giovane saggista ed eurodeputato socialista Raphaël Glucksmann sembra rassegnato: di fronte a una sinistra che “si accontenta di “fare dell’antimacronismo pavloviano” e non sa più produrre grandi idee.

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