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Trump soffre l’ascesa di Ron DeSantis, che è meno ragionevole di lui sul vaccino

Daniele Ranieri

Il governatore della Florida è un repubblicano rampante che non dice le “parole magiche” e pensa alle presidenziali del 2024

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Da mesi Trump borbotta e si lamenta con i suoi della presunta infedeltà nei suoi confronti del governatore della Florida, Ron DeSantis, che molti considerano un personaggio in forte ascesa dentro al Partito repubblicano e un probabile sfidante di Trump alle prossime elezioni presidenziali. Perché il governatore non dice “le parole magiche”?, chiede Trump al suo circolo – secondo un pezzo con fonti del New York Times – e per parole magiche intende una dichiarazione pubblica di appoggio da parte di DeSantis alla sua ricandidatura nel 2024. La faccenda per Trump è tanto più dolorosa perché il rivale è una sua creatura. E questa è un’altra cosa che lui continua a ripetere ai suoi: senza di me quello non sarebbe nulla.

 

In effetti fino al 2017 DeSantis è stato soltanto un peone repubblicano impegnato al Congresso con visibilità minima, poi fu notato dall’allora presidente durante un’intervista su Fox News e candidato alla carica di governatore in Florida. Vinse le elezioni in quello stato, che calamita l’attenzione dei media americani, e divenne un punto di riferimento per l’ala trumpiana del Partito repubblicano, quella che domina in posizione di vantaggio assoluto. Passò dall’anonimato all’essere un trionfatore. Da allora il sistema di media e social di area trumpiana lo ha  premiato, trattandolo da vice Trump – al posto di Mike Pence, che da tempo vive una vita di discrezione e basso profilo dopo il trauma dell’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021, dove corse il rischio di essere linciato. Trump soffre anche perché non gode della stessa facoltà che aveva quando era presidente, di poter stroncare con una sola frase la carriera di eventuali oppositori. Se anche fosse ancora su Twitter, oggi avrebbe meno potere e dovrebbe essere più cauto.

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DeSantis dice ai suoi che Trump non può chiedergli “di inginocchiarsi”, sarebbe troppo – e sarebbe rinunciare alla possibilità di correre nel 2024. Lo schema possibile per le prossime presidenziali comincia a essere chiaro al governatore, anche se manca ancora molto tempo. L’ex presidente ha 75 anni, DeSantis ne ha 43 e sente di poter giocare il ruolo di nuova speranza del partito, di Trump-senza-gli-svantaggi-della-vecchiaia, meno sgangherato e più efficiente, meno compromesso e indagato e più brillante. Quest’ultima frase non uscirebbe dalla bocca di DeSantis nemmeno sotto tortura, per ora. Anzi, ha subito smentito qualsiasi tensione e ha detto che si tratta di una trappola tesa dai media per crerare una spaccatura tra i repubblicani.

 

L’elemento più interessante è che la sfida fra l’ex presidente e il governatore è sul vaccino, con Trump a fare la parte di quello ragionevole, che dice agli americani che il booster è una cosa buona e va fatta perché salva vite e DeSantis che rifiuta di dire se lui ha fatto il booster oppure no. Trump considera il vaccino come una vittoria ottenuta dalla sua Amministrazione e la settimana scorsa ha detto che chi rifiuta di dire se ha fatto oppure no il booster “è senza fegato e dovrebbe dirlo”. E’ stato uno sbotto che tutti hanno interpretato come un attacco a DeSantis. L’altro ha risposto che si pente di non avere insistito con il presidente a inizio pandemia e di non avergli consigliato di evitare i lockdown, ma poi è subito passato ad accusare Anthony Fauci, che per la destra trumpiana è un bersaglio che va sempre bene – e soprattutto non crea imbarazzi. L’uomo per ora meglio posizionato dentro al Partito repubblicano per soffiare il posto a Donald Trump come candidato nel 2024 lo contesta da una posizione antivaccinista.

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