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L’ostruzionismo è da abolire solo se lo subisco. Tormenti americani

Matteo Muzio

Il "filibustering" è una regola informale che richiede una maggioranza di 60 voti su 100 per chiudere il dibattito su una legge e andare al voto. Molti commentatori progressisti pensano che favorisca i repubblicani e che andrebbe rimosso. Ma anche i dem lo hanno utilizzato

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Il sistema americano è stato fondato sul compromesso tra le parti. Nella concezione del primo presidente George Washington, i partiti non sarebbero nemmeno dovuti esistere. Però nacquero quasi subito: già nel 1795 Camera e Senato erano divisi tra federalisti e democratici-repubblicani. Oggi c’è una polarizzazione maggiore di allora e una propensione al compromesso bassissima. Facile quindi che uno strumento come il filibustering, che si traduce come ostruzionismo, venga disprezzato in modo così aperto da parte dell’Amministrazione Biden, che deve lavorare con una maggioranza estremamente esigua. 

 

Come funziona? E’ una regola informale che richiede una maggioranza di 60 voti su 100 per chiudere il dibattito su una legge e andare al voto. In anni recenti, soltanto Barack Obama nel biennio 2009-2010 ha avuto questi numeri a disposizione senza peraltro avere una compattezza d’intenti. Oggi il leader dem al Senato Chuck Schumer ha promesso di abolirlo per favorire il passaggio del Build Back Better, il progetto di trasformazione energetica e climatica con una spesa di 1 miliardo e 750 milioni di dollari, ma anche per proteggere il diritto di voto delle minoranze che le legislature statali a maggioranza repubblicana stanno limitando in tutto il paese. C’è solo un problema: non ci sono i numeri. La strategia di Schumer e della Casa Bianca si è basata solo sulla “pressione morale” sui due senatori riluttanti, Joe Manchin e Kyrsten Sinema. Il risultato? Se il primo ha annunciato la sua posizione la domenica mattina su Fox News Sunday, Sinema ha addirittura tenuto un discorso al Senato all’interno del quale ha difeso l’istituzione del filibustering. 

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Non ha una grande tradizione, questo è vero: intanto non risale alle origini della repubblica, ma è stato usato la prima volta soltanto nel 1837. Nella prima metà del Novecento è stato utilizzato con successo dai senatori sudisti per fermare le leggi sui diritti civili, comprese le leggi per rendere il linciaggio extragiudiziario un crimine federale. E anche negli anni Sessanta per limitare la graduale abolizione del sistema segregazionista. In quegli anni però si doveva fisicamente impedire al dibattito di andare avanti, parlando per otto ore filate o più e far decorrere i termini legislativi. Dagli anni ’70 a oggi invece, questa regola è cambiata: basta invocare l’ostruzionismo e una legge muore. Tanto che, quando a fine 2021 si è trattato di decretare l’aumento del debito federale, i repubblicani hanno acconsentito a rimuovere l’ostruzionismo consentendo ai democratici di votare la legge con i loro soli voti.

  
Negli ultimi anni però, questo monumento delle relazioni parlamentari, che nel 2020 Barack Obama definì come “relitto dell’epoca segregazionista”, è stato intaccato: prima nel 2013, con la maggioranza democratica, consentendo che le nomine presidenziali e giudiziarie venissero approvate a maggioranza semplice. Provvedimento che il leader repubblicano al Senato stigmatizzò dicendo: “Ve ne pentirete prima di quanto possiate immaginare”. Infatti, nell’aprile 2017 McConnell tolse anche il limite per la Corte Suprema, votando Neil Gorsuch e iniziando il processo che avrebbe portato ad approvare la cifra record di 43 giudici nel giro di un biennio  “come fossero su un nastro trasportare”, per citare lo stesso McConnell. La maggior parte dei commentatori progressisti pensa che l’ostruzionismo favorisca solo i repubblicani e che andrebbe rimosso quanto prima per istituire una democrazia funzionante.

 

Soltanto che i dem hanno fatto a loro volta ampio uso del filibuster. Non serve andare troppo lontano. Basta andare al 2017, quando 30 senatori dem firmarono un appello insieme a 30 repubblicani per mantenerlo. Oppure vedere cosa accadde durante l’Amministrazione di George W. Bush nel 2005: l’allora leader repubblicano Bill Frist pensò di abolirlo soltanto per le nomine giudiziarie, in quanto limitava il potere del presidente di scegliere i sostituti dei magistrati federali uscenti, come secondo il dettato costituzionale. Il senatore Trent Lott del Mississippi nominò il provvedimento “opzione nucleare”. A opporsi fu  tutto il gruppo dem, compreso il neoeletto senatore Barack Obama, che il 13 aprile 2005 disse che il cambio del regolamento “era più una mossa di potere che di equità” e che i repubblicani avevano una mentalità machiavellica. E aggiunse: “Non si cambiano le regole del gioco in corsa”. Evidentemente ha cambiato idea qualche anno dopo, assieme al resto del gruppo. Come diceva profeticamente McConnell, che respinse le richieste di Trump in tal senso, anche stavolta i dem potrebbero pentirsene, qualora Trump dovesse conquistare un secondo mandato.

 

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