John Fitzgerald Kennedy (foto Olycom)

il foglio del weekend

La morte di Kennedy: il vero complotto d'America

Stefano Pistolini

Abbiamo letto gli ultimi documenti desecretati dalla Casa Bianca sull’assassino di Jfk: il mistero è ancora lì

Cominciamo dalla fine. Le numerose mezze verità che gli addetti ai lavori continuano diligentemente a chiamare “ipotesi sull’assassinio di Jfk”, ronzio di fondo nella società americana. Eppure sono passati 58 anni dal delitto. La maggioranza dei cittadini non era nata all’epoca dei fatti e non erano successi avvenimenti che ne avrebbero segnato la psicologia e il senso sociale – il Vietnam, il medio oriente, le Torri, l’attacco al Campidoglio. Ciononostante, come a una commemorazione funebre, i superstiti si ritrovano periodicamente attorno al sepolcro del presidente che divenne il secondo martire americano, dopo Lincoln e prima di Martin Luther King jr. E riparte la liturgia che somiglia a un rito di purificazione, sebbene sempre destinata a fallire nell’intento: promulgare la definitiva ricostruzione di come andarono gli eventi che condussero all’atto di Dealey Plaza a Dallas, la mattina del 22 novembre 1963. La realtà resta coperta dal manto di ipocrisia e vergogna, e non si dice chi, come e perché, decise di eliminare un presidente considerato incongruo e quali fossero gli oscuri scopi di coloro che parteciparono al complotto. Perché la questione sovrastrutturale di questo isterico enigma, è quella dei silenzi, delle notizie taciute, del culto del segreto che avvolge la vicenda, fino a dominare la priorità imprescindibile, che per comodità chiameremo soltanto “la verità”. Perché continua a essere sbalorditivo che ancora oggi prevalga, fino a sottomettere le proteste degli irriducibili che invocano il diritto a sapere, una ragione di Stato che s’arroga la facoltà di decidere di cosa il popolo è giusto sia al corrente e di cosa no, cosa sia conveniente resti materia per pochissimi, dubitabile privilegio in dote al potere. E perché, in sostanza, sul delitto che ha destabilizzato la psiche americana novecentesca, l’ipocrisia prevale sul bisogno di una catartica confessione, utile non più a condannare e ad assolvere, ma a pacificare e a fare Storia, di ciò che così invece continua a essere cronaca, cronaca di un’umiliante, lordura istituzionale – altro che “destino manifesto”. 

Figli, nipoti, pronipoti – e qualche superstite d’epoca – parlando di Jfk, della sua lunga ombra e della sua fine violenta “per necessità” – ovvero per segnare i confini invalicabili della politica rispetto agli interessi – in questi giorni hanno ascoltato un altro umiliante rinvio: si è reso noto che le cose che si sanno attorno all’ammazzamento del presidente Kennedy, almeno quelle scottanti che potrebbero indirizzare la conoscenza oltre le ipotesi in uno dei numerosi scenari che descrivono la fine di quell’uomo, resteranno secretate fino a data da destinarsi, a dispetto di una legge, promulgata a bella posta. I National Archives hanno infatti appena pubblicato sulla pagina “Jfk Assassination Records” 1.491 file relativi all’indagine del governo americano sull’assassinio di Kennedy, divulgando cablogrammi, promemoria interni e altri documenti allo scopo di soddisfare la scadenza fissata lo scorso ottobre dal presidente Joe Biden, in adesione allo statuto federale che prevede che il governo renda pubblici i documenti in suo possesso riguardanti l’assassinio di Jfk. Restano però ancora classificati come “segreti” oltre diecimila documenti. 

Quattro anni fa, nel 2017, il presidente Trump era legalmente vincolato da una legge del 1992 a rilasciare le informazioni trattenute dall’intelligence sull’argomento, a 25 anni da quella data e allo scopo di “consentire al pubblico d’essere pienamente informato”. Alla scadenza Trump ha declassificato 53 mila documenti, portando la porzione dell’archivio disponibile al pubblico all’88 percento del totale. Ma ne ha lasciati nascosti migliaia, per motivi di sicurezza nazionale, motivando la decisione con la preoccupazione di evitare “danni potenzialmente irreversibili” per l’Fbi e la Cia. Quest’anno, il presidente Biden si è impegnato a onorare l’impegno, ma ha posticipato il rilascio definitivo delle documentazioni. 
Biden sostiene che il ritardo sia necessario “per proteggere la difesa, le operazioni di intelligence, le forze dell’ordine e le relazioni estere”. La Casa Bianca pare orientata a completare la pubblicazione dei documenti entro fine 2022, con una data indicativa del 15 dicembre. Ma l’annuncio contiene un’ammissione che preoccupa chi crede nella trasparenza: Biden è il primo presidente a sfiorare l’ammissione di ciò che i teorici della cospirazione ipotizzano da tempo, ovvero che esistono documenti negli Archivi che potrebbero non essere mai resi pubblici.

Ciò che è certo è che finché il governo continuerà a tenere nascosti documenti, si rafforzerà l’idea di oscuri complotti all’origine della morte di Kennedy. Nel 1964 la Commissione Warren conclude che Harvey Lee Oswald sia stato l’unico sicario di Jfk. La nuova indagine del Congresso nel 1979 non trova prove a sostegno di altre teorie. Ma nel 1992 il Congresso approva il Kennedy Assassination Records Collection Act per calmare il furore popolare generato dal film di Oliver Stone “Jfk” e dagli inquietanti interrogativi che propone, imponendo il rilascio entro un quarto di secolo di ogni documento riservato sull’omicidio di Kennedy. Quel decreto sancisce che solo per motivazioni straordinarie alcuni (e pochissimi) file secretati potranno essere tenuti nascosti dopo quella data e che solo il presidente in carica avrà facoltà di bloccarne ulteriormente il rilascio: un potere che sia Joe Biden sia Donald Trump hanno esercitato. Con Biden che ora dice: “Col passare del tempo, la necessità di proteggere i documenti relativi all’assassinio si è soltanto indebolita”. Il che lascia supporre che alcuni documenti – quelli che secondo il suo punto vista minaccerebbero la sicurezza nazionale – potrebbero essere secretati a tempo indeterminato. Peraltro nel 2017 Trump aveva scritto su Twitter che avrebbe resi pubblici “TUTTI i file su Jfk”, se fosse stato rieletto al secondo mandato. Biden per ora si astiene da promesse altrettanto definitive. 

Philip Shenon, esperto del dossier-Kennedy, scrive su Politico che forse ci sono documenti che non verranno mai rilasciati. E che “finché il governo continuerà a tenerli nascosti, darà basi fattuali alle ipotesi di complotti all’origine della morte di Kennedy”. Poi aggiunge: “Oggi, QAnon, classificato dall’Fbi come una minaccia terroristica interna, abbraccia le teorie del complotto su Jfk”. In effetti centinaia di sostenitori di QAnon di recente si sono radunati a Dealey Plaza, manifestando la delirante convinzione che Jfk e suo figlio, John F. Kennedy Jr. – morto in un incidente aereo nel ’99 – siano vivi e vegeti e si stiano adoperando per rispedire Trump alla Casa Bianca.

David Priess, ex agente della Cia e autore di “The President’s Book of Secrets” sostiene che, se è improbabile che una fonte della Cia dell’epoca sia ancora viva o addirittura attiva, “là fuori potrebbe esserci qualcuno ancora connesso all’intelligence di oggi”. Concludendo salomonicamente che “l’interesse storico va bilanciato con l’interesse dello Stato”. Sta di fatto che all’indomani del rilascio dei nuovi documenti, i principali esperti di Jfk appaiono frustrati dalla constatazione che da queste carte ci sia poco da imparare. La stragrande maggioranza dei documenti sono duplicati di altri già noti, con in più la sola rimozione di alcune omissioni – di solito il nome di un funzionario della Cia. Il che prolunga il dibattito tra il governo federale e i ricercatori che sostengono che Cia, Fbi e altre agenzie di sicurezza nazionale da sempre ostacolino la circolazione dei documenti ordinata dal Congresso. “E’ sempre ‘la prossima volta’”, dice Larry Sabato, accademico dell’Università della Virginia, tra i principali studiosi dell’assassinio, definendo “prive di valore” le documentazioni appena rese pubbliche. Anche il deputato democratico Steve Cohen, da anni alla testa della campagna per il rilascio dei documenti, si dichiara deluso dalla decisione di Biden. “Le informazioni avrebbero dovuto essere condivise anni fa”, dice. “I cittadini ne hanno diritto”. Aggiungendo di temere che Biden si sia inchinato ai burocrati della Cia e dell’Fbi che cercano di proteggere la reputazione delle loro agenzie. Cohen presume che i documenti ancora segreti dimostrino l’incompetenza o le irregolarità commesse da Cia e Fbi. Che avrebbero sempre nascosto informazioni vitali alla Commissione Warren, per minimizzare la natura dei loro rapporti con Lee Harvey Oswald. Quella stessa Commissione Warren, istituita da Lyndon B. Johnson, che a suo tempo sancì che il veterano dei marines Oswald sparò al presidente per iniziativa personale. Lo stesso Oswald assassinato solo due giorni più tardi da Jack Ruby, nel corso del trasferimento dal quartier generale della polizia alla prigione della contea. 

Jefferson Morley, curatore del sito JfkFacts.org e autore di tre libri sulla Central intelligence agency negli anni Sessanta, ha trascorso un’eternità nei tribunali invocando la declassificazione dei documenti. Secondo lui anche quest’ultimo rilascio contiene documentazioni importanti. Ma non smette di sottolineare come purtroppo le interviste che lo storico William Manchester realizzò con la moglie di Kennedy, Jackie, e col fratello Robert, siano rimaste ancora sotto chiave: “Né Jackie, né Rfk hanno mai creduto alla teoria di Kennedy ucciso da un solo uomo”, scrive Morley su Twitter. “In privato hanno entrambi rivelato che Jfk venne ucciso da nemici domestici. Ecco il motivo per cui quei nastri sono così importanti”. 

Secondo un sondaggio del 2017, il 61 percento degli americani crede che, oltre a Oswald, ci siano altri responsabili dell’assassinio. Le teorie più diffuse chiamano in causa  la mafia, il dittatore cubano Fidel Castro, una cabala di miliardari ultraconservatori, agenti deviati dell’intelligence. Morley insiste: “I documenti dovevano essere resi disponibili entro i 25 anni. Invece hanno saltato la scadenza già due volte e ciò significa che la Cia non obbedisce alla legge. La domanda è: perché?”.

Bisognerà attendere ancora le risposte. Nelle nuove carte non ci rivelazioni che rimodellino radicalmente la comprensione degli eventi. Eppure è febbrile l’attenzione con cui gli storici si avventano ad analizzarle, animati dal perenne scetticismo sul fatto che, al culmine della Guerra Fredda, un giovane armato di un fucile comprato per posta sia l’unico responsabile di un gesto che cambia il corso della storia americana. E in effetti dai nuovi documenti emerge che Oswald fosse qualcosa di diverso da un invasato prototerrorista. Cablogrammi e memo della Cia discutono delle visite – già note, ma mai completamente spiegate – di Oswald alle ambasciate sovietica e cubana a Città del Messico. Altre memorie, prodotte nei giorni successivi all’assassinio, si soffermano sul potenziale coinvolgimento cubano nell’uccisione di Kennedy. I documenti declassificati dimostrano che nell’autunno del 1963 entrambe le agenzie americane sono a conoscenza che il filocomunista Oswald si rechi a Città del Messico, dove incontra spie cubane e russe, e un esperto di omicidi del Kgb. Un documento dell’Fbi del 1964 racconta che Oswald, mentre è sotto sorveglianza in Messico, parla apertamente di piani per uccidere Kennedy. “Da quanto risulta da una telefonata intercettata a Messico City, Lee Oswald il 23 settembre 1963 si trova presso l’ambasciata sovietica, dove incontra il console Valery Vladimirovich”, si legge nel promemoria. Dunque una figura di spicco che si scomoda per ascoltarlo. Inoltre, secondo la Cia, Oswald una settimana dopo richiama l’ambasciata sovietica, identificandosi in un russo stentato. “Qui parla Lee Oswald”, dice al diplomatico che risponde al telefono. “Ero da voi sabato scorso e ho parlato col console. Mi hanno detto che avrebbero mandato un telegramma a Washington e volevo sapere se ci sono novità. Non ricordo il nome del console”. Nella trascrizione della chiamata, Valery Kostikov, agente del Kgb, risponde a Oswald: “Mi dicono che non hanno ancora ricevuto nulla”. “Hanno fatto qualcosa?”, insiste Oswald. “Mi dicono che è stata inviata una richiesta, ma non c’è ancora risposta”, replica Kostikov. E poi riattacca.

L’intelligence americana intercetta Oswald anche in visita al consolato cubano di Città del Messico. E dopo la morte di Kennedy un impiegato messicano di quella sede consolare viene arrestato dalla polizia locale. Dal suo interrogatorio emerge che Oswald “si dichiara comunista e ammiratore di Fidel Castro”, nonché avversario della Casa Bianca di Kennedy. La Cia pare convinta che Oswald resti psicologicamente impressionato da un’intervista a Fidel, letta mentre vive a New Orleans. Nell’articolo il leader comunista mette in guardia gli Stati Uniti dall’aggredire Cuba, promettendo ritorsioni. Un altro documento della Cia, contrassegnato “Secret eyes only”, analizza i piani elaborati dalla stessa agenzia per eliminare Castro, già a partire dal 1960, utilizzando “il mondo criminale con contatti all’interno di Cuba”. Comunque il 3 ottobre, più d’un mese prima dell’assassinio, transitando da un valico in Texas, Oswald rientra negli Stati Uniti.

Già nel 2013, nel rapporto pubblicato in coincidenza col 50° anniversario dell’assassinio, è emerso che la Cia, nei suoi rapporti alla Commissione Warren, si sia sempre impegnata a insabbiare ciò che sapeva sulle connessioni di Oswald coi potenziali avversari dell’America, nel tentativo di privilegiare quella che l’agenzia continua a considerare la migliore verità: “Oswald ha agito da solo per uccidere Kennedy, spinto da motivazioni indeterminate”. Questi nuovi file evidenziano ora la vasta rete di indagini svolte per individuare i complici di Oswald nell’organizzazione dell’omicidio. Vengono seguiti una miriade di indizi, che includono i servizi segreti sovietici  (qualcuno avverte i funzionari americani in Australia che i sovietici sono disposti a pagare per l’uccisione di Kennedy), i gruppi comunisti africani e la mafia. I nuovi file includono rapporti Fbi sulla sorveglianza a mafiosi di spicco come Santo Trafficante Jr. e Sam Giancana, più volte menzionati nelle teorie del complotto che circondano l’assassinio di Kennedy. Diversi rapporti, sempre dell’Fbi, mostrano come vengano tenuti sotto controllo anche i gruppi anticastristi operanti in quegli anni nel sud della Florida e a Porto Rico.

Dunque si accentua in questi ultimi documenti la figura di Oswald più come manovale che come ideatore dell’attentato, delineando un personaggio strumentalmente controllato da attori che tramano allo scopo di togliere di mezzo Kennedy. Il livello di complicità tra lui e chi aveva mire del genere (e la relativa presenza di altri attentatori sul luogo del delitto) è il principale mistero ancora sepolto nelle carte secretate. Quel che è certo è che una figura di esaltato manipolabile come Oswald fosse provvidenziale per chi pensava di chiudere i conti con quel presidente “fuori norma”. 

Non resta che capire fino a che punto Joe Biden avrà intenzione di assumere un ruolo attivo in questa tragica saga nazionale. O se, pur essendo un presidente che tra le sue citazioni culturali colloca in posizione esemplare John Kennedy, condannerà il predecessore a questo purgatorio della Storia, perpetrando l’oscurità sulla sua fine. E’ una decisione gravosa, che rende ancor più spettrale la descrizione del potere americano per come si configura oggi, e per come nel tempo si è strutturato, in buona dose, purtroppo, attraverso la distorsione di valori necessari. 

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