Il film nazionalista
La Cina punta così tanto sulla propaganda storica che se la critichi vieni arrestato
A conclusione del sesto plenum, il Partito ha approvato la “risoluzione sulla storia” a guida Xi Jinping: la battaglia sul lago Changjin, come molte altre vittorie della Cina, diventano sacre e intoccabili. E guai a chi le mette in dubbio
Quasi 71 anni fa sul lago coreano Changjin (per gli americani il bacino di Chosin) il Partito comunista cinese e le forze dell’Onu, guidate dagli Stati Uniti, combattevano tra loro in quella che la Cina chiama la “guerra per resistere all’aggressione americana e aiutare la Corea”, e il resto del mondo la Guerra di Corea. L’altro ieri, a conclusione del sesto plenum, il Partito ha approvato la “risoluzione sulla storia del Partito comunista cinese” a guida Xi Jinping: la battaglia sul lago Changjin, come molte altre vittorie storiche della Cina, diventano sacre e intoccabili. Non si tratta di riscrivere la storia cinese, ma di metterne in luce solo quella positiva per celebrare la storia del Partito. E guai a chi critica o mette in dubbio quelle vittorie.
Parte della campagna di Xi per celebrare la storia del Partito si ritrova anche nell’ultimo colossal di propaganda nazionalista “The Battle at Lake Changjin”, “La battaglia del lago Changjin”: Mao Zedong prende una decisione audace e mobilita 120 mila soldati cinesi per sconfiggere “gli invasori” americani dall’alleata Corea del nord. Il film, diretto da ben tre registi, Chen Kaige, Tsui Hark e Dante Lam, è uscito nelle sale a inizio ottobre, in occasione della nascita della Repubblica popolare cinese, ed è stato commissionato proprio dal dipartimento di Propaganda con un budget di oltre 200 milioni di dollari – uno dei film più costosi mai realizzati. Già pochi giorni dopo l’uscita ha incassato quasi 900 milioni di dollari, il maggior incasso cinematografico del 2021. Il successo del film è stato guidato da un diffuso sentimento patriottico – sui social cinesi è diventato una questione di orgoglio nazionale, migliaia sono i commenti che inneggiano alla storia del paese e attingono al sentimento antiamericano parlando di “sconfitta degli imperialisti”: non a caso la Guerra di Corea rappresenta l’unico vero scontro bellico mai avvenuto tra Cina e America.
Martedì scorso la China Film Administration ha pubblicato il Quattordicesimo piano quinquennale (2021-2025) per l’industria cinematografica, che incoraggia a creare più opere che promuovano valori corretti e cultura tradizionale. Il governo chiede più film su momenti storici vitali della Cina per “elogiare la nazione, il Partito e trasmettere lo spirito rivoluzionario”. Il tabloid Global Times ha scritto che il piano promette di “migliorare la qualità dei film nazionali, rafforzare la forza del paese nella scienza e nella tecnologia cinematografica ed espandere l’influenza dei film cinesi per servire l’obiettivo di costruire un paese potente in termini di cultura”.
Ma criticare certi film è tabù: la polizia cinese ha arrestato i commentatori che hanno messo in dubbio il ritratto vanaglorioso di una campagna militare in cui, secondo i dati ufficiali, sono morti quasi 200 mila cinesi, inclusi 4 mila morti congelati proprio al lago Changjin. “Mezzo secolo dopo, pochi cinesi hanno riflettuto sulla giustificabilità della guerra”, ha scritto l’ex giornalista Luo Changping su Weibo, mettendo in dubbio le ragioni dell’intervento della Cina nella guerra di Corea e il costo catastrofico per quei “volontari” inviati a combattere e morire. Poco dopo, Luo è stato arrestato con l’accusa di aver “infangato la storia del Partito”. Il ricercatore Adam Ni ha scritto su Twitter che “il Partito vede la costruzione della narrativa storica come parte integrante del suo potere e della sua legittimità, ecco perché è intervenuto piuttosto duramente sul nichilismo storico”.
Eppure quella stessa battaglia in precedenza non era stata al centro della propaganda del Partito, perché era vista come un costoso errore strategico e non come la clamorosa vittoria ritratta nella pellicola. Della Guerra di Corea, Pechino ne parlava malvolentieri. Poi però qualcosa è cambiato: “Ora è diventata parte di una nuova e inattaccabile versione della storia”, ha scritto il New York Times. Una storia così potente che è già previsto il sequel: si chiamerà “Water Gate Bridge” e racconterà dei “volontari” della Repubblica popolare cinese al confine tra Corea del nord e Cina. E la riscrittura inattaccabile della storia cinese continua.
l'editoriale dell'elefantino