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La tigre del Bengala

Carlo Buldrini

La prima a mettere in difficoltà Narendra Modi in India è Mamata Banjeree, ma tutti la chiamano “Didi”, sorella maggiore. Contro il nazionalismo del governo, lei trasforma hindu e musulmani in due fiori con lo stesso stelo

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L’opposizione in India ha forse trovato il suo volto. E’ quello di una donna di 66 anni che, nello stato indiano del West Bengal, tutti chiamano “Didi”, sorella maggiore. Quando nel maggio scorso Mamata Banerjee ha vinto le elezioni regionali in questo stato dell’India orientale, a Calcutta la gente ha ballato nelle strade e ha distribuito dolci mentre tutt’attorno esplodevano i mortaretti. “Didi” è stata eletta per la terza volta “chief minister” (capo del governo) del Bengala. Per il primo ministro Narendra Modi e il suo ministro dell’Interno Amit Shah, fortemente impegnati nella campagna elettorale, è stata una bruciante sconfitta. Il Trinamool Congress, il partito di Mamata Banerjee, ha conquistato 213 seggi dei 292 in palio. Il Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito di Modi, si era detto sicuro della vittoria. Si è dovuto accontentare di 77 seggi. Ancora una volta, i grandi elettori di Mamata Banerjee sono state le donne. In tutto il Bengala si sono viste file interminabili di donne in attesa di poter votare. Nel corso degli ultimi mandati, Banerjee, con due provvedimenti legislativi, ha posto le donne al centro della propria azione politica. Con l’iniziativa governativa chiamata “Kanyashree” le ragazze bengalesi sono accompagnate lungo tutto il percorso scolastico fino a renderle pronte per un lavoro. La “Swasthya Sathi” ha invece intestato alla donna la tessera sanitaria dell’intera famiglia. Lo slogan sui manifesti elettorali di Mamata Banerjee era “Il Bengala vuole sua figlia”.

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L’opposizione in India ha forse trovato il suo volto. E’ quello di una donna di 66 anni che, nello stato indiano del West Bengal, tutti chiamano “Didi”, sorella maggiore. Quando nel maggio scorso Mamata Banerjee ha vinto le elezioni regionali in questo stato dell’India orientale, a Calcutta la gente ha ballato nelle strade e ha distribuito dolci mentre tutt’attorno esplodevano i mortaretti. “Didi” è stata eletta per la terza volta “chief minister” (capo del governo) del Bengala. Per il primo ministro Narendra Modi e il suo ministro dell’Interno Amit Shah, fortemente impegnati nella campagna elettorale, è stata una bruciante sconfitta. Il Trinamool Congress, il partito di Mamata Banerjee, ha conquistato 213 seggi dei 292 in palio. Il Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito di Modi, si era detto sicuro della vittoria. Si è dovuto accontentare di 77 seggi. Ancora una volta, i grandi elettori di Mamata Banerjee sono state le donne. In tutto il Bengala si sono viste file interminabili di donne in attesa di poter votare. Nel corso degli ultimi mandati, Banerjee, con due provvedimenti legislativi, ha posto le donne al centro della propria azione politica. Con l’iniziativa governativa chiamata “Kanyashree” le ragazze bengalesi sono accompagnate lungo tutto il percorso scolastico fino a renderle pronte per un lavoro. La “Swasthya Sathi” ha invece intestato alla donna la tessera sanitaria dell’intera famiglia. Lo slogan sui manifesti elettorali di Mamata Banerjee era “Il Bengala vuole sua figlia”.

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Il duo Modi-Shah, dopo aver vinto per la seconda volta consecutiva le elezioni nazionali, aveva messo gli occhi sugli stati indiani a guida non-Bjp, primo fra tutti il West Bengal. Una vittoria elettorale in questo importante stato con 92 milioni di abitanti – di cui un terzo di fede musulmana – avrebbe avuto per il Bjp un forte valore simbolico. Avrebbe mostrato come ormai tutta l’India sia schierata dalla parte di Narendra Modi e avrebbe detto a chiare lettere che il Bjp, con la sua macchina organizzativa ben oliata e riccamente finanziata, sarebbe risultato imbattibile nelle prossime elezioni politiche nazionali che si terranno nel 2024. Non è andata così e Mamata Banerjee è improvvisamente diventata la personalità politica più importante tra tutti i leader di opposizione. Sui social media è cominciata a circolare con insistenza l’hashtag #BengaliPrimeMinister (un primo ministro bengalese) assieme alla fotografia di “Didi”. 


Ma chi è questa “Didi”? Mamata Banerjee nasce in una modesta famiglia bengalese. Frequenta le scuole superiori a Calcutta alla fine degli anni Sessanta. Sono anni difficili. In Bengala nasce il movimento naxalita di ispirazione maoista. Le scuole sono per lunghi periodi chiuse a causa degli scioperi degli studenti. Il padre di Mamata è un simpatizzante del partito del Congresso di Indira Gandhi. Morirà a soli 42 anni perché la famiglia non potrà permettersi cure mediche troppo costose. La vita per Mamata diventa difficile. Deve adesso cucinare per l’intera famiglia e preparare i sette fratelli e sorelle più piccoli per andare a scuola. Eredita dal padre la stessa fede politica. Entra nell’ala studentesca del partito del Congresso. Viene subito notata per i suoi focosi comizi. Il suo nemico giurato è il Partito comunista indiano (marxista), il Cpi(m). Nel 1977 il Fronte delle sinistre guidato dal Cpi(m) vince, con un grande mandato popolare, le elezioni regionali. Rimarrà al potere per 34 anni. Da New Delhi intanto, Rajiv Gandhi nomina Mamata Banerjee presidente del West Bengal Youth Congress. Mamata continua la sua lotta contro il governo del Fronte delle sinistre in Bengala. Il 21 luglio 1993 è una data importante. Per quel giorno, a Calcutta, Mamata Banerjee ha lanciato lo slogan “Writers chalo”, andiamo tutti a manifestare al Writers’ Building. L’edificio è la sede degli uffici governativi del West Bengal. La polizia sbarra tutte le strade di accesso al segretariato. Attacca i dimostranti a colpi di “lathi”, i bastoni di bambù. Mamata accorre nel luogo degli scontri. Un poliziotto la riconosce e le punta contro il fucile. “Guli chalao”, sparami, gli dice. Il poliziotto si allontana. Ma, a Mayo Road, la polizia apre il fuoco sui dimostranti: ci sono 13 morti e molti feriti. Da quel giorno, il 21 luglio, sarà ricordato come il “giorno dei martiri del West Bengal”.


Mamata Banerjee non è un problema solo per il Partito comunista indiano (marxista). In West Bengal ha molti nemici anche all’interno del Congresso, il suo stesso partito. Mamata accusa la direzione regionale del partito del Congresso di un tacito accordo con il Cpi(m). Lei, invece, vuole mettere fine al sistema di potere dei “marxisti” che governano il West Bengal. Il partito del Congresso cerca di isolarla. Le arrivano voci di una sua possibile espulsione. “Che lo facciano” dice. “Mi possono espellere dal partito ma non dal cuore della gente”. Si arriva alla rottura: Mamata Banerjee viene espulsa dal partito per un periodo di 6 anni. Ma non perde tempo. Dà vita a un nuovo partito, il Trinamool Congress. “Trinamool” in lingua bengali significa “livello di base”. Mamata vuole dare voce a tutti coloro che sono stati ignorati sia dal Cpi(m) sia dal partito del Congresso. Disegna lei stessa il simbolo del partito: uno stelo che sorregge due boccioli. L’ispirazione le è venuta da un verso del poeta bengalese Kazi Nazrul Islam dove paragona hindu e musulmani a due fiori sorretti dallo stesso stelo. 

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La rabbia per l’espulsione dal partito del Congresso fa compiere a Mamata un grave errore politico. Entra a far parte della National Democratc Alliance capeggiata dal Bharatiya Janata Party, il partito della destra hindu. Atal Bihari Vajpayee la nomina ministro delle ferrovie nel suo nuovo governo. Ma, nelle elezioni politiche nazionali del 2004, l’elettorato presenta a Mamata il conto. La gente non le perdona di essersi alleata con le forze eversive della destra hindu. Solo Mamata Banerjee riesce a vincere il seggio nel parlamento di New Delhi. Tutti gli altri candidati del suo partito subiscono una pesante sconfitta. Il Trinamool Congress è spazzato via. All’inaugurazione della nuova Lok Sabha di New Delhi, Mamata è sola. Qualcuno la vede piangere. Ma, come sempre, Mamata non si dà per vinta. Si getta nuovamente a capofitto nella politica del suo West Bengal. L’economia dello stato è stagnante. Scarseggiano i generi di prima necessità. La gente è insoddisfatta. Il capo del governo, il marxista Buddhadadeb Bhattacharjee, decide di intraprendere la strada delle liberalizzazioni. Vuole attirare nel suo stato gli investimenti del grande capitale privato. Due progetti dovranno segnare l’inizio di una nuova era industriale per l’intero Bengala. A Singur, una località a 40 chilometri da Calcutta, sorgerà la fabbrica della Tata Nano, un’autovettura economica che costerà, nel mercato indiano, 100.000 rupie, circa 1.500 euro. Mentre nella zona a economia speciale di Nandigram, sulla foce del fiume Hoogly, la multinazionale indonesiana Salim Group costruirà un grande centro chimico con le relative infrastrutture urbanistiche.

Questa nuova visione industriale di Buddhadeb Battacharjee ha bisogno di terreno su cui potersi materializzare. La maggior parte della terra in Bengala è costituita da terreno coltivabile. Il limite di acquisto per i privati è di 5 ettari. Per il progetto della Tata Nano, a Singur, ne servono 400. Il Gruppo Salim, a Nandigram, ha bisogno di 4.000 ettari per il centro chimico, più altri 10.000 per i progetti infrastrutturali. Il governo del Bengala comincia ad acquistare terreno agricolo. I contadini sono preoccupati. La terra è la sola cosa che possiedono per poter sopravvivere. Si mobilitano. Il Trinamool Congress si mette alla testa della protesta. Si uniscono a esso gruppi dell’estrema sinistra. Quando Mamata Banerjee si presenta a Singur per sostenere la lotta, i contadini si scontrano con la polizia. Ci sono 400 feriti e numerosi arresti. Tra questi ultimi c’è anche Mamata. Rimessa in libertà, Mamata Banerjee inizia uno sciopero della fame contro “l’illegale” acquisizione del terreno agricolo da parte del governo del West Bengal. Lo sciopero della fame è chiamato “anoshan satyagraha” (il digiuno per la verità). Va avanti per 26 giorni e Mamata rischia la vita. Devono intervenire sia il presidente della Repubblica Abdul Kalam sia il primo ministro Manmohan Singh per convincela a desistere. Mamata Banerjee è ormai, agli occhi della gente, l’apostolo dei senza voce, di quei contadini che costituiscono la spina dorsale dell’intero paese. 


Se Singur è stata una tempesta, Nandigram sarà lo tsunami che metterà fine ai 34 anni di governo della sinistra in West Bengal. Il governo ha in programma di acquistare in tre fasi successive i 4.000 ettari di terreno necessari per la costruzione della zona a economia speciale. I contadini si oppongono al progetto. Bloccano le strade di accesso a Nandigram. Mamata, ancora una volta, si reca sul posto per sostenere la protesta. Il Partito comunista indiano (marxista) forma una milizia di 5.000 quadri pronti ad affiancare le forze di polizia nel tentativo di forzare i posti di blocco messi in piedi dai contadini. La battaglia ha luogo il 14 marzo 2007. Cinquemila contadini armati di falci, bastoni e sassi si scontrano con le forze dell’ordine. La polizia spara all’altezza d’uomo. Quattordici contadini vengono uccisi. Intellettuali di sinistra come le scrittrici Mahasweta Devi e Arundhati Roy, la regista Aparna Sen e l’attivista Medha Patkar, definiscono “inaccettabile” l’operato del governo del West Bengal. Grazie alla lotta al fianco dei contadini di Singur e Nandigram, Mamata Banerjee è tornata al centro della vita politica indiana. La resa dei conti con il Cpi(m) e il governo della sinistra avviene nelle elezioni regionali del 2011. L’alleanza guidata dal Trinamool Congress conquista 227 seggi dei 294 in palio. Il Cpi(m) è cacciato all’opposizione. Il chief minister uscente, Buddhadeb Bhattacharjee, non viene neppure rieletto. Mamata Banerjee è la prima donna a guidare il governo del West Bengal. Sarà riconfermata nelle due elezioni successive, nel 2016 e nel 2021.

Dopo la vittoria nelle elezioni regionali del maggio scorso, Mamata Banerjee guarda adesso oltre i confini regionali del suo Bengala. Il 21 luglio di quest’anno, nel “giorno dei martiri del West Bengal”, ha tenuto una videoconferenza trasmessa su schermi giganti in molti stati dell’Unione. Mamata ha parlato in tre lingue: bengali, inglese e hindi. Ha attaccato il governo Modi per l’aumento del prezzo del carburante, per lo scandalo “Pegasus” sulle intercettazioni telefoniche, per la gestione sciagurata della seconda ondata della pandemia di Covid-19 che ha provocato migliaia di morti. Mamata ha poi invitato tutte le forze di opposizione a unirsi per sconfiggere il Bjp di Modi nelle prossime elezioni politiche del 2024. “Vogliamo salvare l’India, il suo popolo e la struttura federale del paese” ha detto. L’idea politica di Mamata Banerjee è quella di formare un’alleanza federalista da contrapporre al progetto di Modi di trasformare l’India in una nazione hindu. Dice: “Il Bjp vuole diluire il potere dei governi statali e ridurli a mere circoscrizioni amministrative”. E accusa: “Modi vuole imporre all’India il governo autoritario di un solo partito di fede hindu”.

 

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La grande alleanza prefigurata da Mamata Banerjee non è di semplice attuazione. Innanzitutto i partiti regionali sono divisi. Alcuni appoggiano Mamata. Altri, per gelosie personali, la osteggiano. C’è poi il problema del rapporto con il partito del Congresso. Non tutti lo vogliono nella coalizione. Ma Mamata ha chiarito di non volere un “Terzo fronte” formato da partiti non-Bjp e non-Congresso. “Il partito del Congresso non è un paria” ha detto. Dovrà far parte della coalizione. Anche Sonia Gandhi ha convocato nei giorni scorsi un incontro “virtuale” con i leader di 19 partiti di opposizione, partiti comunisti compresi. Tutti hanno concordato sulla necessità di iniziare da subito la costruzione di una grande alleanza da contrapporre a Modi nelle prossime elezioni politiche nazionali. Il problema della leadership è stato, per ora, accantonato. Quando qualcuno ha chiesto a Mamata Banerjee chi sarà il leader dell’alleanza, la chief minister del West Bengal ha risposto: “Non sono un’astrologa. Tutto dipenderà dalla situazione del momento”. Alle elezioni mancano ancora più di due anni ma, in questo momento, è lei a essere in pole position.

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