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L'intervista

Una donna contro i talebani. “Non ho paura”

Nel cortile interno di un ristorante deserto, Tooba Lofti, che guida le proteste a Kabul, ci racconta perché scende nelle strade sfidando la violenza dei talebani, cosa si aspetta e perché non ha paura

Daniele Ranieri

Tooba Lofti guida le proteste delle donne contro gli estremisti che arrivano minacciosi, arrestano e avvertono: uccideremo tutti. Ma poi le loro violenze vengono filmate e fino a che c’è un testimone, c’è forza

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Kabul, dal nostro inviato. Al primo giorno di lavoro nella nuova Kabul caduta in mano ai talebani tutti i giornalisti stranieri devono andare per prima cosa al ministero dell’Informazione per ricevere una lettera che li autorizza a circolare nella capitale. Il capo dell’ufficio stampa tiene questo discorsetto rituale: potete fare quello che volete, eccetto tre cose. La prima: non potete riprendere l’aeroporto internazionale (che ieri è tornato a essere soltanto “aeroporto internazionale di Kabul” e non più “aeroporto internazionale Hamid Karzai”, il primo presidente afghano installato dagli americani). La seconda: non potete riprendere basi militari. La terza: per andare nella valle del Panshir avete bisogno di un’altra lettera di autorizzazione (che viene concessa a seconda della situazione, se non arriva vuol dire che i talebani sono ancora in difficoltà contro le ultime sacche di resistenza nella vallata). Ma questa settimana le donne hanno cominciato a scendere nelle strade per protestare, i talebani non possono fare quello che farebbero a Kandahar e negli altri loro territori – disperdere la folla con nerbate e armi da fuoco –  perché se fossero troppo brutali e rivelassero troppo presto la loro natura rischierebbero di perdere gli aiuti internazionali che sono il grosso dell’economia del paese. E quindi tentano di censurare e azzerare le proteste. Due giorni fa si è aggiunto un quarto punto alle raccomandazioni per i giornalisti: non riprendere le “manifestazioni illegali”, altrimenti il vostro equipaggiamento sarà sequestrato. Videocamere, telefoni e computer. Non sono condizioni negoziabili e ai giornalisti locali va molto peggio, sono sequestrati per qualche ora e prendono frustate e botte. Mercoledì sera il governo talebano ha annunciato che “per la loro sicurezza” coloro che vogliono manifestare devono informare il ministero con un giorno di anticipo e devono comunicare il luogo e gli slogan che si sentiranno nella manifestazione. Altrimenti la protesta sarà considerata illegale, con tutte le conseguenze del caso. I talebani non possono per ora usare la violenza piena nelle strade, non mentre l’attenzione del mondo è così alta e non mentre sono sul punto di annunciare il giorno della cerimonia d’inaugurazione del nuovo governo al quale sono invitati molti governi considerati amici, come Cina, Russia, Iran, Pakistan e Turchia. Quindi protestare a Kabul è diventato illegale. 

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Kabul, dal nostro inviato. Al primo giorno di lavoro nella nuova Kabul caduta in mano ai talebani tutti i giornalisti stranieri devono andare per prima cosa al ministero dell’Informazione per ricevere una lettera che li autorizza a circolare nella capitale. Il capo dell’ufficio stampa tiene questo discorsetto rituale: potete fare quello che volete, eccetto tre cose. La prima: non potete riprendere l’aeroporto internazionale (che ieri è tornato a essere soltanto “aeroporto internazionale di Kabul” e non più “aeroporto internazionale Hamid Karzai”, il primo presidente afghano installato dagli americani). La seconda: non potete riprendere basi militari. La terza: per andare nella valle del Panshir avete bisogno di un’altra lettera di autorizzazione (che viene concessa a seconda della situazione, se non arriva vuol dire che i talebani sono ancora in difficoltà contro le ultime sacche di resistenza nella vallata). Ma questa settimana le donne hanno cominciato a scendere nelle strade per protestare, i talebani non possono fare quello che farebbero a Kandahar e negli altri loro territori – disperdere la folla con nerbate e armi da fuoco –  perché se fossero troppo brutali e rivelassero troppo presto la loro natura rischierebbero di perdere gli aiuti internazionali che sono il grosso dell’economia del paese. E quindi tentano di censurare e azzerare le proteste. Due giorni fa si è aggiunto un quarto punto alle raccomandazioni per i giornalisti: non riprendere le “manifestazioni illegali”, altrimenti il vostro equipaggiamento sarà sequestrato. Videocamere, telefoni e computer. Non sono condizioni negoziabili e ai giornalisti locali va molto peggio, sono sequestrati per qualche ora e prendono frustate e botte. Mercoledì sera il governo talebano ha annunciato che “per la loro sicurezza” coloro che vogliono manifestare devono informare il ministero con un giorno di anticipo e devono comunicare il luogo e gli slogan che si sentiranno nella manifestazione. Altrimenti la protesta sarà considerata illegale, con tutte le conseguenze del caso. I talebani non possono per ora usare la violenza piena nelle strade, non mentre l’attenzione del mondo è così alta e non mentre sono sul punto di annunciare il giorno della cerimonia d’inaugurazione del nuovo governo al quale sono invitati molti governi considerati amici, come Cina, Russia, Iran, Pakistan e Turchia. Quindi protestare a Kabul è diventato illegale. 

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Una donna in questi giorni ha creato un movimento di protesta che è piccolo ma è diventato una notizia internazionale e ha intenzione di continuare a sfidare i talebani e le loro promesse di violenze. L’abbiamo intervistata ieri mattina nel cortile interno di un ristorante deserto. 
“Mi chiamo Tooba Lofti, abito a Kabul, ho 34 anni e vengo dal Panshir”. 


Perché senti il bisogno di scendere in strada a protestare contro i talebani? “Eravamo gente che andava a lavorare fuori – dice – ma da quando i talebani hanno preso il potere dobbiamo restare a casa. Abbiamo aspettato per capire com’era la situazione, abbiamo aspettato per tre settimane e la situazione non è cambiata. Non hanno annunciato il governo (poi l’hanno annunciato martedì sera), hanno aumentato gli attacchi contro il Panshir, hanno usato la violenza sempre di più. Hanno tagliato i collegamenti telefonici con la vallata e anche i rifornimenti di cibo. Eravamo preoccupati per il Panshir e nel frattempo Fahim Dashty – un famoso giornalista del Panshir che era diventato il portavoce della resistenza ai talebani – era diventato martire. Abbiamo deciso di protestare. Eravamo in pochi, otto o dieci, lunedì abbiamo scelto di uscire allo scoperto, anche se eravamo pochi ed eravamo certi che saremmo stati riconosciuti”. 


Ma cos’è che vi interessa di più? Protestate perché volete di nuovo il diritto di andare a lavorare fuori casa? “Abbiamo cominciato a protestare perché non vogliamo l’Isi (è la sigla dell’intelligence militare del Pakistan accusata di essere il gran burattinaio dei talebani) in Afghanistan. E i talebani non avevano ancora annunciato il governo”. “Ora ci dicono che non possiamo osare oltre – continua Tooba Lofti – oggi eravamo a Baharistan (un quartiere di Kabul) e domani faremo altre proteste, vogliamo essere di più. Ma trenta uomini che erano con noi sono stati arrestati, ora sono rinchiusi nelle celle del Direttorato nazionale di sicurezza (era il nome dell’intelligence sotto il presidente Ashraf Ghani), non sappiamo nulla delle loro condizioni tranne uno, che ha detto di essere ok ma ha ricevuto un avvertimento: vi uccidiamo tutti. Non abbiamo ancora notizie di loro. Non vogliamo questo governo, perché questo governo non permette alle donne di lavorare, ci dice: dopo ci saranno dei progetti per voi, ma questi progetti saranno limitati e ora che hanno annunciato il governo si vede che non ci sono donne. Si vede che non hanno alcuna intenzione di permettere alle donne di lavorare. Io lavoravo in una ong e ho un negozio di cambiavalute e non voglio andare all’estero per lavorare. Sono sicura che non permetteranno nulla alle donne”. 

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E pensi di poter vincere questa battaglia contro i talebani? Sono dei duri, sono molto convinti di quello che fanno e hanno appena sconfitto gli Stati Uniti. “Lo penso al cento per cento perché non siamo più le donne di vent’anni fa e il mondo non è più quello di vent’anni fa, gli Stati Uniti, la Nato e l’Europa qui hanno raggiunto molti risultati positivi e non vorranno vederli sparire. Ci vorrà tempo, la dittatura non sarà un successo e dopo pochi anni comincerà una lotta contro di essa, e se non ci sarò io, ci sarà qualcun altro”. 


Ma davvero ti aspetti aiuto dall’Europa e dagli Stati Uniti? “Assolutamente sì. Il silenzio del mondo fa molto male all’Afghanistan, la situazione è critica per donne e uomini, specialmente quelli che hanno lavorato per il governo di prima e sono cercati casa per casa: per favore non rimanete in silenzio. Questo paese ha bisogno di voi”. Il problema è che sono scappati via tre settimane fa. Hanno deciso di abbandonare questo paese e la battaglia contro i talebani. Hanno riconsegnato il paese ai talebani come se non importasse loro. “Questo è un problema, quando ci sono minacce ai diritti umani ci dovrebbe essere una difesa, una protezione. I paesi che ci hanno abbandonati prima o poi pagheranno un prezzo”. 

Ieri i talebani hanno annunciato che chi vuole manifestare deve prima ottenere un’autorizzazione del ministero e specificare anche gli slogan che saranno usati e hanno detto che fanno questo “per la sicurezza dei manifestanti”. In caso contrario le manifestazioni saranno considerate illegali e trattate di conseguenza. “Non cambia molto – dice Tooba Lofti – Ogni volta che li abbiamo fronteggiati ci parlavano già come se fosse uno scontro e ci hanno chiesto: dove eravate e perché non protestavate quando ci bombardavano? Hanno un tale risentimento contro di noi. E noi andremo al ministero della Giustizia e diremo che vogliamo protestare contro i talebani a Kabul e vogliamo cantare slogan antitalebani e dire che noi non vogliamo i talebani, non vogliamo l’Emirato islamico, non vogliamo questo regime e non vogliamo essere incarcerate”. 


Hai paura per la tua sicurezza personale? Senti la pressione dell’intimidazione? “Quando usciamo di casa lo facciamo come se non dovessimo ritornare, il giorno delle proteste da bravi musulmani facciamo le abluzioni per essere pronti a morire da martiri. Gli uomini erano in pericolo e sapevamo che non avrebbero arrestato le donne, ma eravamo poche. Dobbiamo accettare il rischio per andare avanti”. 

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Sperate e avete bisogno che più afghani scendano nelle strade e si uniscano alle vostre proteste? “Sì, ne abbiamo bisogno. Quando abbiamo cominciato la prima protesta eravamo in poche, ma eravamo sicure che lungo il percorso che avevamo in mente di fare si sarebbero unite altre persone. Il nostro senso ci diceva che sarebbe successo ed è andata così”.

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Come organizzi le proteste? “Le organizziamo grazie a gruppi su WhatsApp. Vogliamo avere più proteste e meglio organizzate, usiamo internet e i social media e questo ci aiuta a programmare di notte e raccogliere abbastanza gente. Siamo riusciti a farci raggiungere anche da donne che devono fronteggiare situazioni difficili”. 

 

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Però i talebani stanno già manipolando l’accesso alla rete, bloccano internet nei quartieri di Kabul dove si aspettano di avere problemi, hanno imparato la lezione da altri regimi come il vicino Iran che sospende internet quando vuole colpire e soffocare le proteste. Come farete? “Non pensi che questo sia un tipo di violenza, da sanzionare?”,  chiede lei.  Se riescono a far calare il silenzio e a bloccare internet, nessuno sentirà i vostri slogan. “Voi giornalisti sapete meglio di me come funzionano le notizie quotidiane, è meglio avvisare il mondo che quello che hanno fatto nel Panshir, dove hanno bloccato l’accesso a internet in questi giorni (perché stanno attaccando le sacche di resistenza delle milizie di Ahmad Massoud) non possono farlo all’Afghanistan, il Panshir è una piccola provincia ma l’Afghanistan è un grande paese, qualsiasi cosa facciano sentiranno alzarsi una voce, sia che taglino internet o i rifornimenti di cibo. Non possono tagliare la gola della popolazione, uccideranno persone e ci sarà un testimone delle uccisioni e quel testimone giudicherà cosa fare secondo la sua coscienza”. 

 

Saresti d’accordo con sanzioni internazionali come strumento di pressione sul governo afghano? “Le sanzioni dovrebbero essere soltanto contro l’Emirato islamico, non contro la gente, se ci fossero sanzioni contro l’Afghanistan la gente soffrirebbe e invece è l’Emirato islamico a dover soffrire. Per questo motivo le sanzioni dovrebbero essere contro l’Emirato, che non dovrebbe essere riconosciuto. Le loro dichiarazioni concilianti finora sono state soltanto dichiarazioni, senza nulla di concreto. Questi talebani sono gli stessi talebani di vent’anni fa, soltanto il loro look è cambiato”. 

 

Che cosa è successo alle trenta persone che erano con te in manifestazione e sono state arrestate? “Anche alcuni giornalisti sono stati arrestati assieme a loro e sono stati torturati – dice – L’unica persona della quale so qualcosa è l’uomo che si era preso la responsabilità di coordinare gli uomini. I giornalisti mi hanno detto che i talebani hanno chiesto all’uomo di andare da loro e lui ha chiesto perché, i talebani gli hanno detto: ti uccideremo. Dopo, quando stavamo andando via, ho chiesto ai talebani cosa succederà alle persone che portavano via, hanno detto: li uccideremo tutti. Ma per ora so che quella persona sta bene e non so nulla degli altri. C’è questo ricordo interessante delle proteste, quando eravamo tra piazza del Traffico e piazza Baraki, che porta verso l’ambasciata pachistana, i talebani ci hanno fermato e ci hanno chiesto: perché dite ‘morte all’Isi? (i servizi segreti del Pakistan) e non dite morte al Pakistan?’. Era una domanda interessante, perché l’Isi appartiene al Pakistan ma possiamo dire morte al Pakistan e non morte all’Isi”. 

 

Che piani avete adesso? “Dopo le prime proteste ci sono più donne, i talebani dovrebbero aspettarsi proteste più grandi, le pianificheremo senza fretta. Abbiamo obiettivi specifici e vogliamo andare avanti e aggiungere altre donne al nostro gruppo. Parlare soltanto delle posizioni nel governo non è la cosa più importante, ci sono anche lo sport, gli affari, la musica, l’arte, i talebani non permettono queste cose. Vogliono tutto per gli uomini. La presenza delle donne in tutte le aree della vita è importante”. 

 

Hai visto la manifestazione delle donne completamente velate di nero a Kunduz a favore dell’Emirato? Cosa ne pensi?  “Penso che in realtà a Kunduz non ci sia una sola persona che sostenga davvero i talebani, ogni volta che hanno conquistato la città le hanno dato fuoco. Era una messinscena, per fare spettacolo nel loro interesse, perché di solito vogliono che le donne restino a casa. Era uno show fatto da quelle persone nelle madrasse che li sostengono, potrebbero averlo copiato da altre manifestazioni e prima o poi lo scopriremo”. 


Sei a conoscenza del fatto che da ieri i giornalisti non possono seguire e coprire le manifestazioni di protesta a Kabul per motivi di sicurezza? “La sicurezza non può essere una scusa, perché la libertà di espressione è un principio. I talebani hanno proclamato che non hanno paura di conquistare il Panshir ma poi hanno paura delle donne che scendono in strada e li sfidano. Alla nostra protesta sono arrivati sei, sette veicoli carichi di talebani, si sono messi a sparare in aria e cadevano bossoli come se piovesse. Pensavo che nessuno avesse filmato quello che è successo e invece poi ho scoperto che ci sono più video delle violenze che della manifestazione”.

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