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In Germania

Il femminismo secondo Angela Merkel

Paola Peduzzi

La cancelliera ha sempre evitato di rispondere alle domande sulle donne, oggi dice "sono femminista" e si alzano grida di gioia. Ma c'è un motivo per cui non si è mai intestata questa battaglia e ha a che fare con il suo rifiuto del vittimismo

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Più volte nella sua carriera Angela Merkel si è ritrovata a rispondere alla domanda: sei femminista? È più facile per te perché sei donna o al contrario è tutto più difficile? Ha sempre risposto, più o meno, evitando di andare al fondo della questione. Il magazine della Zeit ha pubblicato all’inizio di agosto un lungo e meraviglioso articolo dal titolo “Dopo di lei”, in cui le autrici cercano di capire che cosa lascia in eredità alle donne la prima cancelliera della storia tedesca. All’inizio citano una frase che sintetizza il pensiero della Merkel sul tema: “Ho l’impressione che il fatto che io sia una donna non sia di grande importanza per molti, e non lo è nemmeno per me: mi conosco soltanto come donna”. E’ anche per questa granitica riluttanza che all’incontro di Düsseldorf mercoledì sera, la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie, sul palco con la Merkel, ha gridato di gioia quando la cancelliera ha detto: “Sono stata reticente in passato, ma oggi la questione è più ragionata e in questo senso dovremmo tutti essere femministi”, che è lo slogan di questo secolo. Parlando poi con i giornalisti la Merkel ha circostanziato la sua posizione, provando a dare senso al suo tentativo di essere un’icona del femminismo senza rivendicazioni, lamentele, accuse, dichiarazioni di “girl power”: “Essenzialmente, stiamo parlando del fatto che donne e uomini sono uguali, in termini di partecipazione e vita sociale. In questo senso posso dirlo: sì, sono una femminista”. 

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Più volte nella sua carriera Angela Merkel si è ritrovata a rispondere alla domanda: sei femminista? È più facile per te perché sei donna o al contrario è tutto più difficile? Ha sempre risposto, più o meno, evitando di andare al fondo della questione. Il magazine della Zeit ha pubblicato all’inizio di agosto un lungo e meraviglioso articolo dal titolo “Dopo di lei”, in cui le autrici cercano di capire che cosa lascia in eredità alle donne la prima cancelliera della storia tedesca. All’inizio citano una frase che sintetizza il pensiero della Merkel sul tema: “Ho l’impressione che il fatto che io sia una donna non sia di grande importanza per molti, e non lo è nemmeno per me: mi conosco soltanto come donna”. E’ anche per questa granitica riluttanza che all’incontro di Düsseldorf mercoledì sera, la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie, sul palco con la Merkel, ha gridato di gioia quando la cancelliera ha detto: “Sono stata reticente in passato, ma oggi la questione è più ragionata e in questo senso dovremmo tutti essere femministi”, che è lo slogan di questo secolo. Parlando poi con i giornalisti la Merkel ha circostanziato la sua posizione, provando a dare senso al suo tentativo di essere un’icona del femminismo senza rivendicazioni, lamentele, accuse, dichiarazioni di “girl power”: “Essenzialmente, stiamo parlando del fatto che donne e uomini sono uguali, in termini di partecipazione e vita sociale. In questo senso posso dirlo: sì, sono una femminista”. 

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Nel 2017, al G20 delle donne a Berlino, le era stata posta la stessa domanda.  La Merkel aveva trovato una via di fuga che le era costata molte critiche: “A essere onesti, ho molte cose in comune con la storia del femminismo ma anche molte differenze, e non mi voglio imbellire con un titolo che non ho”. La Merkel non si è intestata la battaglia femminista e non lo ha fatto nemmeno allora, risultando stonata rispetto a tutte le altre leader, da Ivanka Trump a Christine Lagarde, sul palco assieme a lei. Allora la trasse in salvo la regina Máxima d’Olanda: “Voglio che le donne abbiano libertà di scelta e opportunità che possono cogliere per essere felici e orgogliose di sé. Se questo è essere femministe allora sono una femminista”. Merkel grata disse: “Allora lo sono anche io”.

 

La riluttanza della cancelliera è stata spiegata in molti modi, dal fatto che viene dall’est della Germania dove la conciliazione lavoro e famiglia non era una questione di cui si discutesse, o dai suoi primi anni a Bonn quando imparò a trattare e a convivere con gli uomini e la politica. Contraria alle quote rose quando Helmut Kohl gliene parlò per primo, Merkel disse che le trovava “degradanti”. Nel tempo ha cambiato idea sulla inclusione delle donne, sulle politiche per la famiglia e sulla necessità di introdurre meccanismi a favore dell’uguaglianza. Il bilancio non è del tutto positivo, ma molto del rifiuto merkeliano di intestarsi una battaglia femminista sta nel fatto che ha impostato la sua leadership in modo diverso da quello di altre, e unico. Non ha mai detto o fatto nulla “in quanto donna”, non ha mai accusato nessuno di sessismo, non ha mai fatto proclami sul tetto di cristallo da sfondare. Se anche questo è femminismo, allora sì, Merkel è femminista.

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