Ohibò, Boris Johnson è diventato tassa-e-spendi

Gregorio Sorgi

Il premier britannico ha proposto di aumentare le imposte per sostenere una riforma del sistema sanitario nazionale e riformare il modello di assistenza sociale. E sono tanti quelli che non l'hanno presa bene

Ancora una volta Boris Johnson è riuscito nell’impresa di unire tutti contro il suo governo, dal leader laburista Keir Starmer fino alla destra conservatrice che lo accusa di avere tradito il dogma liberista. La proposta del premier di aumentare le tasse per sostenere un sistema sanitario nazionale (Nhs) duramente provato dal Covid e riformare il modello di assistenza sociale ha scatenato un putiferio. Nel suo programma di governo Johnson aveva escluso l’aumento delle imposte, e in Gran Bretagna il tradimento delle promesse elettorali viene visto come un sacrilegio. Secondo i retroscena circa metà dei ministri sono contrari alla proposta e da giorni fonti di Downing Street evocano la possibilità di un rimpasto imminente nella speranza che possa indurli a turarsi il naso e sostenere il governo.

La proposta del premier nasce da obiettivi condivisibili: finanziare fin da subito l’Nhs e successivamente aumentare i fondi pubblici destinati al sistema di assistenza sociale, per alleggerire le spese per chi soffre di patologie croniche. Al momento in Gran Bretagna chiunque possiede dei beni superiori a 23,250 sterline deve pagare per le proprie cure mediche e i fondi messi a disposizione del governo negli ultimi anni non si sono adeguati a una società sempre più anziana. In un discorso in Parlamento in mattinata, Johnson ha proposto di aumentare la soglia a 100 mila sterline: solo chi possiede beni superiore a questa cifra dovrà pagare le spese di tasca sua. Inoltre, ha annunciato il premier, sarà lo stato a farsi carico delle spese sanitarie che eccedono 86 mila sterline.

Se questi obiettivi vengono condivisi da molti, le modalità di pagamento hanno fatto infuriare l’opinione pubblica. Il governo ha proposto di finanziare l’espansione della spesa sociale, che interessa soprattutto gli anziani, aumentando una tassa sui servizi (la national insurance tax), che interessa tutti i lavoratori. All’ultimo momento, il premier ha esteso questo nuova tassa anche ai pensionati per placare le critiche di chi lo accusava di alimentare il divario intergenerazionale. Inoltre, il deputato Jake Berry, un lealista del premier che guida la corrente dei conservatori eletti al nord, è uno dei tanti a sostenere che questa misura aumenterà il divario tra nord e sud. “Non mi sembra giusto che gli elettori nel mio seggio – ha detto Berry - che probabilmente guadagnano meno rispetto a molte altre aree del paese, devono pagare delle tasse più alte per aiutare le persone (...) nelle zone più ricche”.

Ma la rivolta non è limitata ai conservatori eletti negli ex seggi operai del nord. Il ministro Jacob Rees-Mogg, un Tory classico che vede l’aumento delle tasse come il fumo negli occhi, è stato l’unico ministro a criticare pubblicamente l’azione del governo citando la famosa espressione di George W. Bush: “Read my lips: no new taxes”. L’ex leader e grande vecchio conservatore, William Hague, ha scritto ieri sul Times che l’aumento delle tasse potrebbe favorire i partiti piccoli alla destra dei Tory. Anche il Labour si è schierato contro questa proposta spiegando che “colpisce le persone a basso reddito, i giovani e le aziende”. I Tory hanno una maggioranza di 82 seggi a Westminster, ma non è detto che sia sufficiente a fare approvare una misura così controversa.

In realtà questo scontro tra il premier e la base conservatrice è un film già visto molte volte negli ultimi due anni. La pancia del gruppo parlamentare Tory aveva una linea critica nei confronti del lockdown e delle restrizioni anti Covid. In molti voti cruciali in Parlamento, il governo ha imposto la sua linea grazie all’appoggio del Labour. Tuttavia, la questione delle tasse è ancora più delicata perché riguarda l’identità di fondo dei conservatori, che dai tempi della Thatcher si sono vantati di essere il partito delle tasse basse e della spesa responsabile. Ma questa stagione sembra essere finita.

Con Boris Johnson i Tory hanno in parte rinnegato l’ortodossia thatcheriana, e hanno riscoperto un approccio più interventista che è stato accentuato ma non causato dalla pandemia. Nessuno si preoccupava del Covid nel gennaio 2020, quando il governo ha usato i fondi pubblici per salvare la compagnia aerea Flybe che sarebbe fallita pochi mesi più tardi. Il virus ha ovviamente favorito questa tendenza, violando anche il tabù conservatore delle tasse basse. Nella legge finanziaria dello scorso marzo il cancelliere allo Scacchiere Rishi Sunak ha promesso di pagare il contro economico del Covid alzando la corporation tax, l’imposta sui profitti delle grandi aziende che era stata ridotta da molti suoi predecessori conservatori. In un’intervista con Times Radio, il ministro dei vaccini Nadhim Zahawi ha illustrato questo cambiamento rispondendo così a un giornalista che gli aveva chiesto se i conservatori fossero ancora il partito delle tasse basse: “Il Partito conservatore è il partito delle tasse giuste”.

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