Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, durante la conferenza stampa dopo l'esplosione all'aeroporto di Kabul (LaPresse)

America is back (home)

Giuliano Ferrara

L’incapacità americana di tenere botta di fronte a una controffensiva tribale e feudale, Joe Biden e la fuga disordinata dalle responsabilità. La lezione di Kissinger 

Henry Kissinger ha scritto ieri che non si poteva ragionevolmente costruire una democrazia moderna, che implica un potere centrale forte, in un paese feudale e tribale come l’Afghanistan. Quell’uomo così intelligente, quel cinico indifferente alle nozioni di bene e male intese come scelte etiche, convinto com’è – e quanto giustamente – del primato della politica nella persecuzione dell’interesse generale, deve aver creduto a quanto una volta gli disse lo statista cinese Ciù Enlai (o Zhou En Lai): “Lei mi domanda un giudizio sulla rivoluzione francese? È troppo presto per formularlo”.

 

Il “valore universale della democrazia” e dei diritti, un concetto abbracciato per un momento anche dal comunista italiano Enrico Berlinguer quando pensò di emanciparsi dal comunismo sovietico, è oggi in effetti un flatus vocis. Sembra troppo presto per tirare le conseguenze dell’Ottantanove (1789). Eppure Roosevelt, Churchill e Truman si accordarono con Stalin per sconfiggere Hitler, ma all’indomani della vittoria non considerarono chiusa la partita. Lavorarono per contenere il soviettismo dietro la cortina di ferro, dettarono una Costituzione al Giappone imperiale, radicarono nella democrazia politica la Germania dell’ovest che aveva conosciuto il concetto di libertà civile solo nella breve tumultuosa parentesi della Repubblica di Weimar, presidiarono-presidiano la Corea dall’espansionismo cinese e testimoniarono in mille altri modi che le democrazie muoiono se non si difendono contro le autocrazie (le teocrazie erano in senso politico di là da venire). 

 

La Guerra fredda non fu un atto di idealismo, ovviamente, bensì la realistica modalità di difesa del mondo libero. Fu a suo modo un giudizio forse prematuro, ma alla fine efficace, sulle conseguenze della rivoluzione francese da tirare alla luce della rivoluzione comunista e poi stalinista. La battuta di Ciù Enlai è immortale, come immortale è la capacità cinese di prendere per il naso i nemici dei poteri mandarinali e imperiali, contando sempre sul fattore tempo. 

 

Kissinger è orripilato dall’incapacità americana di tenere botta di fronte a una controffensiva tribale e feudale, e nel suo testo attribuisce la rinuncia al governo di un mondo ordinato dalla libertà e dai diritti alla debolezza dell’opinione pubblica occidentale e americana, che sostituisce ai tempi della storia il suo sogno welfarista e irenista. L’ex braccio destro di Richard Nixon ne sa qualcosa, visto che negoziò, ma in tutt’altro contesto e a condizioni meno umilianti, nonostante la fuga da Saigon, la resa vietnamita. Il mondo del 1968 si ribellò all’imperialismo americano e vinse quella che Goffredo Parise chiamò con pertinenza “l’unificazione armata tonchinese”. Kissinger dice molte cose giuste, ma le sue parole non spiegano come si possa reagire all’islam politico dopo la rivoluzione iraniana del 1979, dopo l’11 settembre culmine di una vasta offensiva del terrorismo internazionale di matrice islamista. Accenna alla vecchia filosofia del containment, indica nell’interesse comune di russi, cinesi, pachistani e indiani il perno di una diplomazia antiterrorista dello status quo, intesa come alternativa alle guerre di controffensiva nel segno del “nuovo secolo americano”, eppure resta anche lui sulle generali e procede per sottili ed esperte astrazioni nella storia fatta con i “se”. 

 

Meglio comunque il realismo della vecchia scuola dell’impasto confuso di principi e disdetta della forza per attuarli che ha caratterizzato l’operazione Biden in Afghanistan: “America is back”, che poi è America is back home, al costo che sappiamo; e “lega delle democrazie” in nome della retorica dei diritti, che poi è l’attuazione dell’accordo di Doha, firmato da una banda di dementi trumpiani sensibili solo ai sondaggi e privi di alcun rapporto con l’interesse generale per quattro anni in svendita ai quattro angoli del mondo. Che il New American Century come progetto attivo contro l’islamismo politico e il terrorismo fosse rimandato a data da destinarsi si era capito dai tempi delle dimissioni di Rumsfeld e dell’elezione trionfale di Obama. Una sapiente tela difensiva, che alcuni di noi giudicano irrealistica, è comunque un obiettivo migliore della gestione di una fuga disordinata da tutte le responsabilità. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.