(foto LaPresse)

L'Iran manda agli Esteri il volto presentabile dei pasdaran

Cecilia Sala

Hossein Amir-Abdollahian è stato nominato due giorni fa dal presidente Raisi. La sua è stata un'ascesa rapida, perché si è trovato nel posto giusto al momento giusto

Come previsto, sarà Hossein Amir-Abdollahian il prossimo ministro degli Esteri dell’Iran. Il nuovo presidente Ebrahim Raisi lo ha nominato due giorni fa e uno come lui non avrà certo problemi a ottenere la fiducia del Parlamento dominato dai conservatori. Il nuovo capo della diplomazia deve la sua carriera politica ai pasdaran, e in particolare alla forza Quds dei Guardiani della Rivoluzione, quella che organizza le operazioni all’estero, che supporta e finanzia le milizie sciite in Libano, in Iraq, in Siria, in Yemen e nella Striscia di Gaza. Con la sua nomina, non si può più prendere in considerazione l’ipotesi (già improbabile) di estendere i negoziati sul nucleare al contenimento dei gruppi armati filo-iraniani sparsi nel vicino e medio oriente. 

La prima volta che i diplomatici occidentali hanno sentito parlare di lui è stato nel 2007, allora Abdollahian aveva poca esperienza, è infatti con una certa sorpresa che viene accolta la notizia della sua nomina a capo del quartier generale del ministero degli Esteri iraniano per l’Iraq, che si trovava nel pieno della guerra. Soprattutto perché – a Teheran era cosa nota –  chi ricopriva quel ruolo si sarebbe presto trovato ad affrontare un evento di portata storica che andava maneggiato con cura. Sarebbe toccato a lui incontrare gli americani per la prima volta dall’istituzione della Repubblica islamica dopo la rivoluzione del ‘79, la crisi degli ostaggi e la conseguente rottura dei rapporti tra i due paesi. Accompagnato da una squadra ristretta composta da due diplomatici con un passato nelle forze speciali Quds, Abdollahian ha il compito di discutere la situazione irachena con l’ambasciatore americano in un round di meeting a Baghdad. Se l’ascesa del prossimo ministro degli Esteri è stata possibile in così poco tempo, è perché a quell’epoca si è trovato nel posto giusto al momento giusto
Gli anni da capo del quartier generale per gli affari iracheni sono i primi in cui in Iran è al potere un estremista e un turbo-populista come Mahmud Ahmadinejad. Mentre tecnocrati e burocrati dei dicasteri venivano guardati con sospetto e umiliati appena se ne presentava l’occasione, i paramilitari dei pasdaran, che “si sporcano le mani” sul campo, vengono portati in palmo di mano. Per nomi e volti nuovi, purché sponsorizzati dai Guardiani, è il momento di farsi avanti. Inizia il declino di quella aristocrazia diplomatica che vede come un corpo estraneo Abdollahian e considera eccessivo il potere a lui affidato, mentre il ministero degli Esteri viene infiltrato dai pasdaran come mai era successo prima di allora. In poco tempo Abdollahian viene promosso a viceministro con delega agli affari arabi e africani, è quando spetta a lui indirizzare la politica nella regione che i Guardiani prendono definitivamente il sopravvento: per plasmare la linea di Teheran nei paesi limitrofi non devono più faticare né mediare con nessuno. 

Sulla scena pubblica, il viceministro viene presentato come l’uomo perfetto per raffigurare una sintesi tra diplomazia e paramilitari, tra ministero e pasdaran (e per evitare dispetti e sabotaggi reciproci). Nei fatti, Abdollahian è il portavoce dei secondi. Con la primavera araba siriana, nel 2011, è il più convinto sostenitore di un appoggio militare incondizionato al regime di Bashar el Assad. Contemporaneamente, si intesta il ruolo di garante per il sostentamento dei combattenti in Yemen come di quelli di Hezbollah in Libano. I pasdaran riescono a imporlo come viceministro persino nel nuovo governo riformista di Hassan Rohani: è lui l’unico della vecchia squadra a mantenere il proprio posto. Almeno fino a quando il ministro degli Esteri Javad Zarif – che dovrà lasciargli il suo ufficio tra pochi giorni – lo rimuove proprio perché teme che stia danneggiando il dialogo con gli occidentali. Non solo, il viceministro aveva già fatto un dispetto al suo superiore poco tempo prima. Nel 2015, quando un alto comandante della forza speciale  Quds era morto in un attacco israeliano, Abdollahian aveva giurato vendetta prima che il ministro avesse tempo di decidere come commentare la notizia. Solo dieci giorni dopo, Hezbollah aveva colpito un convoglio israeliano sulle alture del Golan uccidendo due persone e ferendone sette.  L’uomo che si prepara a salire il gradino più alto della diplomazia iraniana è insomma il volto presentabile – che parla inglese e conosce il galateo di un meeting internazionale – delle forze speciali dei pasdaran.

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