Jovenel Moïse, il presidente di Haiti, è stato assassinato

Maurizio Stefanini

L'agguato mentre il capo dello stato era in casa con sua moglie, morta poche ore dopo in ospedale. Tra due mesi ci saranno le elezioni presidenziali e legislative, già dal 2019 la sua presidenza andava avanti tra dure proteste sociali 

“Intorno all’una del mattino, nella notte tra martedì 6 luglio e mercoledì 7 luglio 2021, un gruppo di individui non identificati, alcuni dei quali parlavano in spagnolo, ha assalito la residenza privata del presidente della Repubblica ferendo così a morte il capo dello stato”.  Così, attorno alle 8 locali, il mezzogiorno italiano, la morte del presidente di Haiti Jovenel Moïse è stata resa nota dal primo ministro uscente, Claude Joseph, attraverso un comunicato. “La moglie del presidente è stata ferita nell’attacco e ricoverata in ospedale”, ha aggiunto Joseph. Poche ore dopo è morta anche lei. “Condannando questo atto atroce, disumano e barbaro”, ha invitato la popolazione alla calma e ha dichiarato che la polizia e l’esercito avrebbero assicurato la legge e l’ordine. “Vinceranno la democrazia e la Repubblica”, conclude il comunicato.

 

Forse l’ultima volta che avete sentito parlare di Haiti fu all’epoca del terremoto del 12 gennaio 2010, quando l’isola fu quasi rasa al suolo, con un bilancio di almeno 230 mila vittime. Ma il paese teatro di una rivolta di schiavi che ne fece la seconda colonia europea in America a conquistare l’indipendenza dopo gli Stati Uniti ha continuato a essere instabile, anche se il regime di Nicolás Maduro in Venezuela è riuscito nell’impresa di togliere al popolo di Haiti il posto del più povero di tutto l’emisfero occidentale.  

 

L’assassinio avviene a due mesi dalle elezioni presidenziali e legislative indette per il prossimo 26 settembre. Moïse non poteva essere candidato, ma aveva organizzato per la stessa data un referendum per approvare una nuova Costituzione: un progetto per rafforzare l’esecutivo, abolire il Senato e permettere un secondo mandato presidenziale, avversato sia dall’opposizione sia dalla comunità internazionale.

 

Cinquantatré anni, Moïse era nato a Trou-du-Nord, nel nord-ovest del paese. La famiglia era umile: il padre meccanico; la madre sarta. Ma lui, dopo aver studiato Scienze Politiche, era riuscito a diventare un prospero imprenditore, commerciando banane. Parente del presidente Michel Martelly, aveva ricevuto dal suo governo una sovvenzione di 6 milioni di dollari, e attraverso i suoi 14 conti in banca era stato accusato anche di riciclaggio. Comunque era stato Martelly a sceglierlo come suo delfino, nominandolo candidato del suo partito alle presidenziali del 25 ottobre 2015. Aveva vinto il primo turno, con il 32,81 per cento dei voti. Ma la consultazione era stata annullata per varie irregolarità. Si era di nuovo votato il 20 novembre 2016, lui stavolta aveva ottenuto il 55,6 per cento, sia pure con un’affluenza alle urne di appena il 18,1 per cento. Il 7 febbraio 2017 era così diventato il successore del presidente ad interim Jocelerme Privert.

 

Proprio questa elezione tormentata ha creato una crisi politica, quando il 7 febbraio scorso il Consiglio superiore della magistratura di Haiti ha deciso che i cinque anni del suo mandato andavano contati dal 2016, e quindi doveva dimettersi. Moïse ha invece risposto che avrebbe contato dal 2017 e sarebbe dunque rimasto in carica fino al febbraio 2022. In un contesto di dure proteste sociali che andavano avanti dal 2019 per il deterioramento delle condizioni di vita e varie accuse di corruzione, Moïse ha rimosso tre giudici, e ha dichiarato di aver sventato un colpo di stato. Da tempo stava comunque già governando a colpi di decreti senza convocare mai il Parlamento. Un’energia verso le altre istituzioni purtroppo non corrispondente a una gestione dell’ordine pubblico in cui dilaga il business di rapimenti, anche per riscatti di pochi dollari.   

 

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, gli Stati Uniti e l’Unione europea avevano però dichiarato prioritario lo svolgimento di elezioni legislative e presidenziali libere e trasparenti entro la fine del 2021, e si tratta di donatori importanti, senza i quali Haiti non può sopravvivere. Appena lunedì Moïse aveva dunque cercato di dare un segnale nominando il nuovo primo ministro, il settimo in quattro anni, Ariel Henry, un esponente dell’opposizione che però la stessa opposizione aveva subito sconfessato. Moïse gli aveva fissato l’obiettivo di “formare un governo aperto”, “risolvere l’evidente problema dell’insicurezza” e lavorare per “la realizzazione delle elezioni generali e del referendum”. Non aveva ancora fatto in tempo a insediarsi.

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