Viktor Orbán, primo ministro ungherese (LaPresse)

Al Consiglio europeo

Perché Orbán è diventato un problema per il funzionamento dell'Ue

David Carretta

Leggi illiberali, veti e capricci. Se l’orbanismo avesse ripercussioni solo nel suo paese, l’Europa avrebbe potuto continuare a chiudere un occhio. Ma il primo ministro ungherese si è messo a esportare la democrazia illiberale nel resto del continente

Il primo ministro olandese, Mark Rutte, ha chiesto a Viktor Orbán di ritirare la nuova legge ungherese anti-Lgbt oppure uscire di dall’Unione europea. Il premier ungherese “deve revocare” gli emendamenti che paragonano l’omosessualità alla pedofilia, perché contraddicono i valori fondamentali iscritti nell’articolo 2 del trattato “che non sono negoziabili. Oppure deve andarsene”, ha detto Rutte poco prima dell’inizio del Consiglio europeo. In mattinata, sedici capi di stato e di governo, tra cui Angela Merkel, Emmanuel Macron e Mario Draghi, avevano pubblicato una lettera per denunciare “le minacce contro i diritti fondamentali e in particolare il principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale”. Orbán ha risposto “leggetevi la legge: non è sull’omosessualità, è sui bambini e i genitori”. Il premier ungherese non ha intenzione di fare marcia indietro. “Sono un combattente dei diritti. Sono stato un combattente della libertà durante il comunismo. All’epoca l’omosessualità era vietata. Difendevo i loro diritti. Ma questa legge non è su di loro. È una legge sui diritti dei bambini e dei genitori”, ha detto Viktor Orbán. In realtà, gli altri leader hanno letto e fatto analizzare la legge dai loro esperti. La Commissione ha contestato la violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e due direttive su audiovisivo ed e-commerce. Ma i problemi con l’Ungheria non riguardano soltanto l’ultima legge anti-Lgbt.

 

Ormai è Orbán, tra deriva autoritaria, ostruzionismo e veti, che si è messo da solo fuori dall’Ue. La legge anti-Lgbt  ha attratto un coro di critiche inusuale, anche da parte delle voci più moderate dell’Ue. “I valori sono al cuore del progetto europeo”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che per il suo ruolo dovrebbe tenersi al di fuori delle beghe tra capi di stato e di governo. Il fatto che Michel abbia accettato la richiesta di Rutte di discutere la legge ungherese nella cena dei leader è un sintomo di quanto sia grave la situazione. Di solito i panni sporchi vengono lasciati fuori dal Consiglio europeo. In questo caso Orbán ha superato una linea rossa, che tocca anche la storia più cupa dell’Europa, unendo paesi dell’ovest e dell’est, cattolici, protestanti e laici, grandi e piccoli. “Oggi la legge, così come è messa sul tavolo, non mi pare conforme a ciò che è l’Europa”, ha detto Macron. L’irlandese Micheál Martin ha accusato Orbán e il suo Fidesz di “trasgredire i valori fondamentali dell’Ue con le misure che stanno adottando sui giovani e la comunità Lgbt”. Secondo l’estone Kaja Kallas, l’Ungheria non va “nella giusta direzione”. Per il lettone Krišjānis Kariņš, “la tolleranza è un valore fondamentale europeo. Deve essere espressa a tutti i livelli nei nostri paesi”. Il Belgio ha annunciato l’intenzione di portare l’Ungheria davanti alla Corte di giustizia. La vera questione l’ha tirata fuori il premier del Lussemburgo, Xavier Bettel: “L’Europa non è solo denaro e sovvenzioni. È anche diritti e doveri”.

 

L’Ungheria è uno dei paesi che trae maggiore beneficio dall’Ue. In termini pro-capite, è tra i principali destinatari dei fondi della coesione e della politica agricola comune, e lo sarà anche per il Recovery fund. È diventata un elemento essenziale della catena del valore dell’industria tedesca, in particolare quella dell’automobile. Finché il populismo di Orbán rimaneva entro certi confini era tollerato. Tanto più che all’inizio aveva usato la tattica di fare due passi avanti e uno indietro di fronte alle contestazioni della Commissione sulla riforma della giustizia, le leggi contro le multinazionali o la costruzione di un muro per fermare i migranti. Grazie alla protezione del Ppe era così riuscito a scampare alle procedure di infrazione. Ma da quando ha sviluppato e rivendicato il concetto di democrazia illiberale, Orbán ha scelto lo scontro aperto con l’Ue e le sue regole. Legge sulle Ong, legge sulle università, leggi per impedire ai rifugiati di chiedere asilo in Ungheria, ricollocamenti dei migranti, chiusura di Klubrádió e la creazione di una fondazione per impossessarsi di gran parte dei media: di fronte ai rilievi della Commissione, Orbán va dritto sulla sua strada e pazienza se ogni volta viene condannato dalla Corte di giustizia dell’Ue. “Invece di migliorare, negli anni è sempre peggiorato”, spiega al Foglio un diplomatico europeo.

 

Se l’orbanismo avesse ripercussioni solo sull’Ungheria, l’Ue avrebbe potuto continuare a chiudere un occhio. Ma Orbán si è messo a esportare la sua democrazia illiberale nel resto dell’Ue, che sia in Slovenia con Janz Jansa o in Italia con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Inoltre ha iniziato a minare il funzionamento dell’Ue. Nel 2020 ha preso in ostaggio il Recovery fund per contestare la condizionalità sullo stato di diritto. Nel 2021 ha preso in ostaggio la politica estera, bloccando tre dichiarazioni su Hong Kong, le conclusioni dei ministri degli Esteri sul conflitto tra Israele e Hamas e l’accordo “post Cotonou” che regola le relazioni con i paesi dell’Asia, dei Caraibi e del Pacifico. Più che l’Ue incompatibile con Orbán, è Orbán che sta diventando incompatibile con il funzionamento dell’Ue.
 

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