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Occhio alle sorprese

Troppi candidati e pochi voti per i Républicains. L'insidia Zemmour

Mauro Zanon

Qui sera le candidat de la droite? A meno di un anno dalle presidenziali ognuno va per la sua strada, e non c’è nemmeno l’ombra di un progetto di rassemblement, di un'intesa tra le varie anime repubblicane

Non c’era mai stata così tanta incertezza nella destra che fu di Sarkozy, e fino al gennaio del 2017 era sicura di riprendersi l’Eliseo dopo cinque anni frustranti di hollandismo. Da quando i guastafeste del Canard enchaîné hanno messo il loro becco negli affari privati e molto imbarazzanti dell’allora favorito François Fillon, spalancando la strada al ballottaggio Macron-Le Pen, i gollisti non si sono più ripresi, si sono immalinconiti e se ne sono dette di tutti i colori, ma soprattutto, a distanza di quattro anni, non hanno ancora trovato un candidato che sia uno per difendere la propria bandiera. 

 

“Qui sera le candidat de la droite?”, è la copertina dell’ultimo numero del Point, perché a meno di un anno dalle presidenziali ognuno va per la sua strada nel mondo dei Républicains, e non c’è nemmeno l’ombra di un progetto di rassemblement, di una riconciliazione tra le varie anime del gollismo. Xavier Bertrand, presidente della regione Hauts-de-France, crede fortemente nel suo destino nazionale, ma i sondaggi in vista del primo turno lo accreditano solo al 15 per cento, dieci punti in meno di Macron e dodici in meno della Le Pen. Sarkozy, che lo aveva scelto come ministro del Lavoro, lo ha liquidato un po’ di tempo fa come “un mediocre”, con la mentalità di “un piccolo assicuratore di provincia”. Ed è quello che in fondo pensa di lui anche Valérie Pécresse, attuale presidente dell’Île-de-France. Valérie, nel 2017, ha detto addio ai Républicains per creare il suo movimento, Soyons Libres, ora è impegnata a farsi rieleggere alla guida della regione parigina, ma a settembre potrebbe buttarsi nella mischia dei “présidentiables”, anche se chi le vuole bene le consiglia di lasciar perdere visto che le intenzioni di voto la danno al massimo al 10 per cento.

 

Laurent Wauquiez, portavoce della corrente sovranista dei Républicains, non arriva alla doppia cifra e in più è inviso all’area moderata. Michel Barnier, ex capo negoziatore della Brexit per l’Ue, difensore di una linea europeista e liberale, a marzo era ancora un nome caldo, un antidoto per uscire dalla depressione. Ma gli entusiasmi si sono parecchio raffreddati quando sono emerse le prime rilevazioni sondaggistiche: 6 per cento, non un punto in più. Per chi voterà, allora, l’elettore medio della droite? Secondo il Point, potrebbe aggravarsi l’emorragia di voti che i Républicains hanno subìto nel 2017, con sempre più elettori della corrente liberale in direzione République en marche, e i militanti più conservatori verso il Rassemblement national. L’attuale inquilino dell’Eliseo sa bene che le prossime presidenziali si giocheranno tutte a destra, sul terreno della sicurezza e dell’identità, e che nel 2022, se vuole essere rieletto, deve andare a prendersi i voti della Francia periferica (mercoledì, non a caso, è iniziato il suo “pellegrinaggio laico” nella provincia francese, come lo ha definito il Monde, una precampagna elettorale, lì dove il macronismo ha avuto difficoltà a mettere radici). 

 

“I temi che tradizionalmente vengono associati alla destra tornano al centro della scena, perché il paese si decompone e non è più possibile recitare la filastrocca della diversità felice”, ha spiegato al Point il sociologo e saggista Mathieu Bock-Côté. Nel suo ultimo libro, “La Révolution racialiste et autres virus idéologiques” (Presses de la cité), ha analizzato tra le altre cose la questione che più ossessiona la destra gollista e i suoi elettori: il declino della Francia sotto il peso di un’immigrazione scriteriata e di un islam aggressivo e separatista. “L’insicurezza non è immaginaria, l’immigrazione massiva è diventata veramente difficile da controllare e genera una partizione implicita della società, dove si moltiplicano le zone di non-diritto”, osserva Bock-Côté. Occhio, allora, alla sorpresa Éric Zemmour. Il polemista del Figaro e principe dell’opinionismo di destra sembra veramente intenzionato a fare il grande passo. Secondo quanto rivelato da Politico Europe, Zemmour avrebbe già individuato il suo direttore di campagna: Patrick Stefanini, alto funzionario di lungo corso ed ex fedelissimo di Chirac, soprannominato a destra “l’uomo delle campagne elettorali di successo”. Marine Le Pen, stando alle informazioni del Parisien, sarebbe molto preoccupata. Tanto da aver  chiesto al padre, Jean-Marie, di convincere l’amico Zemmour a non lanciarsi nella corsa per l’Eliseo.