La farsa assadista

Daniele Raineri

Vi diciamo già che a “vincere” le finte elezioni in Siria è Bashar della dinastia Assad, di nuovo. Va avanti così da cinquant'anni con percentuali di voto incredibili (e inventate)

Ieri nella splendida cornice della città di Damasco molti siriani si sono messi in fila per votare alle elezioni presidenziali, come in molte altre città del paese. E questo è un modo di dirlo, quello che piacerebbe al regime del presidente Bashar el Assad. Un altro modo di dirlo è che da cinquant’anni, dal colpo di stato del 1971, la dinastia Assad controlla la Siria e organizza elezioni-farsa a intervalli di sette anni per proiettare un’idea di legittimità del proprio potere. Il regime si basa sul concetto, mutuato in modo sistematico dalla Corea del nord anche con l’aiuto di esperti nordcoreani, che non esiste nulla al di fuori del partito Baath.

 

Il partito imprime la sua forma a tutto, dalla politica ai giornali ai sindacati alle forze armate ai servizi di sicurezza e a sua volta è asservito alla famiglia Assad. Alla morte del padre Hafez nel 2000 il potere è passato al figlio Bashar. Per questo l’idea che il presidente siriano alle elezioni si misuri davvero con dei rivali è soltanto una finzione cerimoniale, come una danza di gruppo che mimi antiche battaglie delle quali si è perso ogni ricordo fattuale. Non esiste la politica a Damasco, non c’è alcuna pretesa di realtà e il voto (al quale i siriani solerti partecipano perché hanno paura di attirare sospetti come possibili dissidenti e i dissidenti spariscono nelle prigioni) è soltanto un’altra occasione per celebrare il regime – e infatti a Damasco ci sono già i cartelloni per il concerto in occasione della rielezione di Bashar.

 

Nel 2000 Assad figlio vinse con il 97,29 per cento delle preferenze e nel 2007 vinse di nuovo con il 97,6 per cento. Nel 2014, mentre il paese era devastato dalla guerra civile, il numero scelto per l’annuncio della vittoria fu 88,7 per cento, forse per concedere qualcosa al fatto che i tempi erano di crisi. La percentuale per gli Assad non era mai scesa sotto il 97 per cento. Si tratta di numeri inventati e pure male. Secondo i dati del regime nel 2014 si sarebbero presentati alle urne 11.634.412 elettori, il che è impossibile dal punto di vista matematico: anche se tutti gli adulti del paese e tutti i rifugiati all’estero avessero votato non avrebbero raggiunto quel numero, c’è un milione di voti di troppo, come notò Aron Lund, un esperto attendibile di Siria che analizzò il voto per il Carnegie Middle East Center. Questa volta il presidente Assad ha deciso di votare nel seggio di Douma, alla periferia della capitale: come tutto in queste finte elezioni anche il luogo scelto è simbolico. E’ una sfida all’ordine internazionale: lì quaranta persone morirono dopo un bombardamento con il cloro nell’aprile 2018, ci fu un bombardamento di rappresaglia ma Assad è ancora al suo posto, protetto dall’Iran e dalla Russia – che hanno mandato delegazioni “a controllare le elezioni”. Lo spoglio è ancora in corso, ma mentre questo giornale va in stampa possiamo già dirvi che il prossimo presidente siriano è ancora Bashar el Assad.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)