Provocazione al confine nord per trascinare anche Hezbollah nella guerra contro Israele

Daniele Raineri

Tre razzi non rivendicati dal Libano per alzare la tensione, con il sogno di un conflitto a tenaglia: missili da nord e da sud. Hamas continua a sparare razzi e a subire raid aerei. Ma ora il rischio più grave è quello di una lotta per bande, arabi contro israeliani, nelle città

Alle sei di sera è finito il terzo giorno del conflitto tra gruppi armati di Gaza e forze militari di Israele ed è cominciato il quarto. Secondo fonti multiple (da al Jazeera all’esercito israeliano) tre razzi sono stati sparati dal sud del Libano contro Israele e sono finiti in mare, ma mentre questo giornale va in stampa non sembra l’inizio della temutissima guerra a tenaglia – razzi di Hamas da sud e missili del gruppo libanese Hezbollah da nord – che potrebbe costringere la popolazione di Israele per tutta la sua lunghezza a rifugiarsi nei bunker. L’esercito israeliano ha detto subito “stiamo investigando quello che è accaduto”,suona come una reazione  cauta e molte fonti hanno ipotizzato che i razzi potrebbero essere stati sparati da un gruppo palestinese che ha base in Libano. Del resto, se Hezbollah – che è la potenza più pericolosa al confine, più dei gruppi armati di Gaza, e dispone di decine di migliaia di missili – volesse entrare nel conflitto per approfittare dell’occasione è difficile credere che lo farebbe con tre razzi in mare. L’ipotesi per ora più solida è che si sia trattato di un lancio da parte di una fazione minore per alzare la tensione anche a nord e provocare così l’entrata in guerra di Hezbollah, ma come tutte le ipotesi potrebbe essere smentita dai fatti.  

 

Se Israele dovesse fronteggiare un attacco a tenaglia da nord e da sud, oltre alle violenze interne nelle città, questi primi tre giorni di conflitto diverrebbero in retrospettiva un fatterello minore. Hezbollah finora si era limitata a offrire una generica solidarietà ai palestinesi, senza farsi trascinare nei combattimenti. Tutte le fazioni menzionate, Hamas, Hezbollah e i gruppi minori, fanno parte di quell’assortimento finanziato e aiutato dall’Iran per tenere sempre sotto pressione Israele, quindi l’idea che prima o poi ci potrebbe essere un attacco coordinato è nell’ordine delle cose. Per ora si pensa che non ci siano le condizioni. 

 

Il numero di razzi sparati contro le città israeliane è diminuito rispetto al record dei primi due giorni, quando Hamas e le altre fazioni hanno sparato al ritmo mai visto prima di più di seicento razzi ogni ventiquattr’ore. In totale secondo il conteggio (non contestato dai gruppi palestinesi) dell’esercito israeliano il numero per ora è arrivato a 1.750, i sistemi di difesa ne hanno intercettato “centinaia” e trecento sono caduti a causa di malfunzionamenti dentro la Striscia di Gaza. In tre giorni Hamas ha sparato tre volte il numero di razzi sparati durante gli otto giorni dell’operazione Piombo fuso nel 2008 e ha rivendicato anche l’uso dell’Ayyash-250, un razzo con una gittata di 250 chilometri – quindi molto superiore a quella dei razzi normali che arrivano a circa 50 chilometri. I morti palestinesi sono finora più di 80 secondo il ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas, ma l’esercito israeliano sostiene che più della metà sono uomini di Hamas colpiti nelle loro posizioni dentro la Striscia oppure vittime dei razzi di Hamas. I morti israeliani sono sette. 

 

Questi attacchi a sciame sono stati la prima novità di questo conflitto. La seconda novità sono le violenze cominciate da mercoledì notte nelle strade delle città dove convivono israeliani e arabi, che hanno visto folle contrapposte aggredire passanti e sfasciare negozi soltanto perché sospettati di appartenere all’altra parte. Il primo ministro d'Israele, Benjamin Netanyahu, ha detto che questi assalti sono “la minaccia più grande” e non è difficile vedere il perché. Le forze militari di Israele riescono a gestire la pioggia di razzi, che non può continuare all’infinito perché prima o poi si esaurirà, ma il rischio di una guerra civile in città come Lod e Haifa e della fine della convivenza è relativamente nuovo – dopo anni di coabitazione pacifica – e più complicato. 
 

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)