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Trumpiana ondivaga

Caitlyn Jenner dopo la famiglia Kardashian è "fit" per la California

Michele Masneri

Ha annunciato che sarà “socialmente progressista e fiscalmente conservatrice”.

Caitlyn Jenner, è ufficiale, vuole fare la governatrice della California. Lo ha annunciato ieri dopo mesi di rumors, e la notizia come si dice farà discutere, sotto tanti punti di vista.

 

Un po’ perché la California ha già un governatore, che si chiama Gavin Newsom, ed era dato fino a qualche mese fa in grandissimo spolvero, anche e soprattutto per come aveva gestito il Covid; ma poi la situazione si è capovolta. Il “Golden State”, che sembrava essere stato risparmiato grazie a un lockdown severo e rigoroso, è diventato uno dei più esposti al virus. Oltretutto, con  disastro anche di immagine: fuggi fuggi degli imprenditori dalla Silicon Valley, migrazioni di massa dallo Stato famoso per le spiagge, la libertà, i diritti, ma anche per le micidiali tasse.

 

Newsom è puro establishment californiano: già sindaco di San Francisco, figlio di uno storico amministratore di casa Getty, si vantava del successo dello smart working e del lockdown estremi. Invece poi l’ecatombe: picco di contagi, crollo dei fatturati, non solo delle “giga-imprese” ma anche dei negozietti e dei ristoranti, perché la California è anche la “salad bowl of America”, e tempio dei ghiottoni. I 4.415 ristoranti di San Francisco sono in ginocchio. United Airlines, compagnia che come quasi tutte sta tagliando di brutto il personale, ha detto che il 20 per cento dei licenziamenti riguarderà SFO, l’aeroporto di San Francisco (almeno 3.000 persone). Poi c’è stato il crollo anche simbolico: Newsom in piena zona rossa sorpreso a sgavazzare al leggendario ristorante della Napa Valley The French Laundry.

 

Così in molti si lamentano, in molti vorrebbero questo recall che è una specie di sport nazionale in California: è stato tentato con quasi tutti i governatori ma è riuscito una sola volta, nel 2003, col democratico Gray Davis, “dimissionato” dallo sfidante repubblicano Arnold Schwarzenegger. La procedura è micidialmente complicata: dei due milioni di firme raccolte, almeno 1,5 devono essere valide per procedere, e  poi dovranno passare 60-80 giorni, e a quel punto gli elettori si troveranno due quesiti: volete voi cacciare quest’uomo? E poi, se sì, chi degli sfidanti vorreste? E qui, altro aspetto della pazzotica politica californiana: nel 2003 servirono schede-lenzuolo perché gli sfidanti erano 135. Vince chi ha la maggioranza semplice.

 

Insomma il tutto richiederà molto tempo, fattore non indifferente perché la situazione covidica si è di nuovo capovolta. Nelle ultime settimane la California è andata avanti tantissimo con le vaccinazioni, e se si votasse a ottobre-novembre il quadro potrebbe essere ancora più roseo di oggi: ad ora, il 53 per cento degli abitanti sono stati vaccinati, sopra la media nazionale, e il tasso di infezione è di 39 su centomila contro 132 su centomila degli interi Stati Uniti. E poi: siamo sicuri che la Jenner ce la farebbe? E non tanto perché è repubblicana (la California politics è categoria a parte, Ronnie Reagan fu governatore amatissimo del Grand Old Party, come Schwarzy). Piuttosto, è trumpiana ondivaga (l’ha votato, poi se n’è pentita). Ieri ha detto che è ora di finirla con le troppe tasse e col troppo lockdown, e lei lo sa bene, perché la California è il paese che amo, qui ho le mie radici, ecc. Ha annunciato che sarà “socialmente progressista e fiscalmente conservatrice”.

 

Se eletta, Jenner andrebbe a illustrare le fila delle candidate transgender entrate nelle istituzioni con l’ultima tornata elettorale in America: Sarah McBride al Senato del Delaware,  Taylor Small, deputata del Vermont; e poi Stephanie Byers deputata del Kansas (lei è pure nativa americana). Però queste son tutte rappresentanti locali. Governatrici transgender sarebbero una novità. Ma Jenner ha 71 anni e soprattutto ha  gestito con successo quella famigliona esagitata e disfunzionale delle Kardashian: vorrà pur dire qualcosa.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).