Virus e giornali

Modello Nikkei Asia

Il direttore dell'“Economist d'oriente” ci spiega il suo Secolo asiatico, tra digital first e azzardi

Giulia Pompili

Intervista a Shigesaburo Okumura sul piano editoriale che ha rilanciato il giornale finanziario giapponese sull'orlo del declino. Dalla fondazione del primo magazine in lingua inglese all'acquisizione del Financial Times. La dittatura dei clic, il populismo, le scelte della redazione e la competizione con i colossi anglosassoni. "Il tema più seguito? La Cina"

Esattamente dieci anni fa l’allora presidente del gruppo Nikkei, Tsuneo Kita, dichiarava lo “stato d’emergenza” per il giornale finanziario più letto e tra i più antichi del Giappone. In un discorso ai dirigenti del gruppo editoriale, dice che “se vendiamo soltanto contenuti in lingua giapponese, non attrarremo mai lettori stranieri. Se non facciamo nulla, le vendite del Nikkei potrebbero continuare a diminuire, così come diminuisce la domanda interna dei lettori giapponesi”. Il momento è molto particolare: l’Amministrazione americana guidata da Barack Obama ha appena lanciato il suo “Pivot to Asia”, e l’Asia orientale sta diventando il luogo dove si muovono il business, la politica e gli interessi globali. Kita sfrutta il momento per un piano editoriale ambizioso: “Forniremo contenuti in inglese. Racconteremo l’Asia da una prospettiva asiatica”. Alla fine del 2011 esce il primo numero del Nikkei Asian Review, un settimanale impaginato per iPad che per un paio di anni è una specie di esperimento (si può  scaricare gratuitamente); poi comincia a essere stampato con carta e dimensioni del magazine tradizionale, modello Economist. Quattro anni dopo il gruppo Nikkei acquisisce a sorpresa il quotidiano simbolo del mondo finanziario, il Financial Times. E’ la più grande acquisizione editoriale della storia da parte di un gruppo nipponico. 

 

Dieci anni dopo il suo lancio, il Nikkei Asian Review cambia il nome in Nikkei Asia, mette tutto sotto paywall, tutto a pagamento, e diventa ufficialmente il punto di riferimento per chiunque segua le questioni asiatiche. Perché nel frattempo,  con l’Amministrazione Biden, è tornato anche il “Pivot to Asia”, consacrato dal primo viaggio ufficiale del segretario di stato Antony Blinken che non a caso si sta svolgendo in Giappone e Corea del sud. Negli ultimi mesi, le copertine del Nikkei Asia su Xi Jinping, su Hong Kong, sulle guerre tecnologiche, sugli azzardi economici di Shinzo Abe e soprattutto sul coronavirus hanno spesso anticipato quelle dei più famosi settimanali occidentali. E’ finalmente l’Asia che comincia a raccontare sé stessa al mondo. E non lo fa soltanto con una lingua accessibile a tutti come l’inglese, ma anche con temi meno locali e più internazionali, spiega al Foglio in una conversazione online quello che sin dal primo giorno è alla direzione del Nikkei Asia, Shigesaburo Okumura.

 

“I lettori europei hanno iniziato a capire che quello che succede in Asia, specialmente in India e in Cina, coinvolge anche le loro vite. Il centro di gravità mondiale, ma soprattutto economico, si sta spostando qui”, dice Okumura dal suo ufficio di Tokyo. “Sin dal suo lancio, il Nikkei Asia ha avuto un aumento costante di lettori. Alla fine del 2020 il numero di abbonati ha superato quota trentamila. In ogni paese dove abbiamo concentrato le nostre storie, per esempio Stati Uniti, Singapore, Thailandia e Malaysia, i lettori sono aumentati”. Uno dei punti di forza del Nikkei Asia è di sicuro l’aspetto grafico – un particolare estetico spesso dimenticato dai giornali asiatici – ma al di là della forma, più attraente per i lettori occidentali, c’è una questione di contenuti: “Durante la crisi senza precedenti dello scorso anno con il coronavirus, la ricerca di giornalismo di qualità è aumentata di molto. Il numero di visualizzazioni del nostro sito è aumentato di circa il 70 per cento rispetto al 2019, e per la prima volta abbiamo raggiunto i cento milioni di visualizzazioni. Le persone, ovunque nel mondo,  iniziano a domandarsi cosa succede in Asia”.

 

Non è più un giornale dedicato a chi vuole fare business nel continente, ma anche uno strumento per capire, più in generale, la politica e la società: “Pensiamo al concetto di business in modo molto più ampio di altri media. Per noi è importante dare uno strumento completo, non solo di notizie economiche ma anche politiche. E poi è importante la sezione degli editoriali e delle opinioni, che offrono un’interpretazione delle notizie”. Sul Nikkei oggi si parla di accordi commerciali ma anche di libri e serie tv, di diritti dei lavoratori ma anche di K-pop. Tutto quello che è utile per capire come va il mondo dall’altra parte. 

 

Il Nikkei Asia è nato quando internet aveva ormai già distrutto il vecchio modello della carta, in un paese, il Giappone, dove perfino oggi i quotidiani hanno una diffusione impensabile in altri posti (lo Yomiuri, il giornale più letto, ha una diffusione di 8 milioni di copie al giorno, soltanto per l’edizione della mattina). Shigesaburo Okumura, prima di diventare direttore del magazine, era caporedattore del Nikkei e si occupava di politica ed economia: “Credo che l’essenza del lavoro giornalistico non sia cambiata granché: vediamo persone, facciamo interviste, cerchiamo di scrivere in una bella lingua e soddisfare i nostri lettori. Certo, ora siamo più influenzati dal numero di persone che cliccano su un link, quanti scroll fanno e per quanto tempo restano su una  pagina”. Il Nikkei Asia è uno dei primi esempi di giornali nati come “digital first”, e sulla sua versione cartacea ci finisce “soltanto il meglio del meglio della settimana. Nell’èra pre digitale, il limite era la deadline della pubblicazione. Oggi siamo in grado pure di rifare da zero un’edizione di carta in quarantotto ore, com’è successo il primo febbraio scorso, con il colpo di stato in Myanmar. Era un lunedì, e noi andiamo in stampa il mercoledì”. 

 

A osservare troppo social e numeri online non si finisce in una specie di dittatura del lettore, che decide cosa funziona e che cosa no? “Abbiamo notato che a volte il gap tra scelte editoriali e interesse dei lettori è più ampio di quanto uno possa immaginare. Spesso  pubblichiamo notizie che sappiamo non avranno molte visualizzazioni. Ma lo facciamo lo stesso perché le riteniamo importanti: in quel caso, cerchiamo di promuoverle di più attraverso i social network”. Oppure, spiega Okumura, notano una notizia sull’Asia pubblicata dal New York Times o dal Washington Post e cercano di andare più a fondo, riprenderla e ampliarla: “Noi siamo qui, dobbiamo cercare di fare le cose meglio”. Ma il giornalismo è anche azzardo. Okumura ci mostra una storia di copertina dello scorso agosto, scritta dalla corrispondente del Nikkei da Nuova Delhi,  Kiran Mamgain Sharma, dal titolo: “Le madri degli ‘uteri in affitto’ diventano pedine nella guerra culturale di Modi”. “Una lunga inchiesta sulla maternità surrogata in India, che spiegava la povertà sociale e le politiche di Narendra Modi. Non ha avuto molto successo, in termini di clic, ma per noi era davvero importante”. 

 

Quali sono le cose che si leggono di più? “Tutto ciò che riguarda la Cina”, dice Okumura. E in effetti i giapponesi sono forse i più attenti China watcher del mondo, tra i pochi a saper interpretare anche la complicata liturgia della politica di Pechino: tra le firme del Nikkei c’è Tetsushi Takahashi, capo dell’ufficio della capitale cinese, che sin dall'inizio della crisi della pandemia scrive un “diario da Pechino”, e Katsuji Nakazawa, ex corrispondente dalla Cina e oggi autore della rubrica “China up close”. I lettori arrivano per oltre il 65 per cento dal continente asiatico: Filippine, Malaysia, Singapore, Giappone, Thailandia, Indonesia. Poi c’è l’America (18 per cento), l’Australia, l’India. L’Europa rappresenta solo il 7,5 dei lettori del Nikkei Asia. A osservare i dati demografici, si scopre pure che oltre il 40 per cento di chi è abbonato all’Economist d’Asia è giovanissimo, tra i 18 e i 34 anni, e che oltre il 20 per cento dei  lettori è a livello manageriale o dirigenziale. “Anche per la scelta delle storie di copertina, cerchiamo di dare ascolto a quello che interessa di più i nostri lettori, ma non credo che questo sia uno scivolamento verso il populismo. Abbiamo la responsabilità di raccontare storie attendibili, e le crisi internazionali ci dimostrano che è sempre più importante avere media di cui i lettori possano fidarsi”, dice Okumura. Il Nikkei Asia ha attualmente circa 25 corrispondenti nel mondo. Le sedi di Taiwan e di Hong Kong sono le due più importanti, ma il punto di forza del giornale, secondo il direttore, è la copertura diretta del sud-est asiatico, da Bangkok a Kuala Lumpur: “Il prossimo passo è ingrandire le sedi di corrispondenza in India, aprendo uffici per esempio a Mumbai e Bangalore”. 

 

La storia del Nikkei Asia è molto simbolica, perché racconta quanto si sia spostato verso est l'interesse internazionale: quello che un tempo definivamo “oriente” – secondo una prospettiva eurocentrica – e poi Asia orientale e poi Indo-Pacifico – secondo l'espressione ufficiale introdotta più di recente per coinvolgere anche l'India – è un pezzo fondamentale del processo di globalizzazione. Ma soprattutto, con una Cina sempre più assertiva nella propaganda e nell’influenza sui media, un piccolo prodotto editoriale che è nato come un esperimento, ma con le spalle coperte da un colosso dell’editoria giapponese, è finito per essere il punto di riferimento di chi in Asia fa business, la politica e prende le decisioni. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.