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Lotte di classe

La studentessa del college privato denuncia un razzismo che non c’è. A pagare sono i bidelli

Allo Smith College, in Massachusetts, s'è creato un enorme cortociurcuito sulla questione razziale che spiega molto della cancel culture, della wokeness e anche del disequilibrio tra ricchi e poveri

Paola Peduzzi

Il personale della scuola dice: “C’è una battuta che gira tra di noi: ‘Non lasciare che uno studente ricco ti faccia rapporto, perché se lo permetti, sei finito’”; oppure: “Non so se credo nel privilegio bianco, credo nel privilegio dei soldi”

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“Le scrivo per dirle che a partire da oggi mi dimetto” dal mio lavoro presso lo Smith College. “Non è stata una decisione semplice”, perché ho frequentato questa scuola, perché mi piace il mio lavoro, perché sono divorziata e ho due figli e non ho un’altra offerta di lavoro, “ma non ho  scelta. L’ambiente ostile per quel che riguarda la questione razziale cui mi ha sottoposto il college negli ultimi due anni e mezzo mi ha debilitato fisicamente e mentalmente”. Inizia così la lettera di dimissioni di Jodi Shaw indirizzata al rettore dello Smith College, Kathleen McCartney, e pubblicata interamente da Bari Weiss, la giornalista che si è dimessa dal New York Times-diretto-da-Twitter. La Shaw, ex alunna di questa scuola privata femminile del Massachusetts, dice che “in nome del progresso sulla questione razziale” lei ha finito per essere discriminata in quanto bianca: quando lavorava in biblioteca, le fu impedito di fare una presentazione di un libro con un testo rap in quanto sarebbe suonata come “un’appropriazione culturale”; lei poi cambiò mansione, scegliendone una meno prestigiosa, ed è stata accusata di usare “la fragilità bianca” per esercitare il suo potere. Nel frattempo la Shaw ha aperto un canale YouTube in cui ha denunciato gli effetti della cancel culture dentro al college: è stata intervistata, a volte è stata strumentalizzata, ora è disoccupata.

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“Le scrivo per dirle che a partire da oggi mi dimetto” dal mio lavoro presso lo Smith College. “Non è stata una decisione semplice”, perché ho frequentato questa scuola, perché mi piace il mio lavoro, perché sono divorziata e ho due figli e non ho un’altra offerta di lavoro, “ma non ho  scelta. L’ambiente ostile per quel che riguarda la questione razziale cui mi ha sottoposto il college negli ultimi due anni e mezzo mi ha debilitato fisicamente e mentalmente”. Inizia così la lettera di dimissioni di Jodi Shaw indirizzata al rettore dello Smith College, Kathleen McCartney, e pubblicata interamente da Bari Weiss, la giornalista che si è dimessa dal New York Times-diretto-da-Twitter. La Shaw, ex alunna di questa scuola privata femminile del Massachusetts, dice che “in nome del progresso sulla questione razziale” lei ha finito per essere discriminata in quanto bianca: quando lavorava in biblioteca, le fu impedito di fare una presentazione di un libro con un testo rap in quanto sarebbe suonata come “un’appropriazione culturale”; lei poi cambiò mansione, scegliendone una meno prestigiosa, ed è stata accusata di usare “la fragilità bianca” per esercitare il suo potere. Nel frattempo la Shaw ha aperto un canale YouTube in cui ha denunciato gli effetti della cancel culture dentro al college: è stata intervistata, a volte è stata strumentalizzata, ora è disoccupata.

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Il New York Times ha pubblicato un lungo reportage sullo Smith College. La vicenda della Shaw, in questo racconto, è la meno triste. La più triste riguarda i bidelli e gli addetti alle pulizie della scuola. Dicono: “C’è una battuta che gira tra di noi: ‘Non lasciare che uno studente ricco ti faccia rapporto, perché se lo permetti, sei finito’”; oppure: “Non so se credo nel privilegio bianco, credo nel privilegio dei soldi”. La retta annua è di 78 mila dollari.


Nell’estate del 2018, una studentessa dello Smith, Oumou Kanoute, raccontò su Facebook che un addetto alle pulizie aveva chiamato una guardia della sicurezza della scuola per segnalare che c’era una studentessa che stava mangiando, cioè lei, in una sala del dormitorio. La guardia, che “probabilmente aveva un’arma”, ha scritto la Kanoute, mi ha spaventato, “tutto quel che avevo fatto era essere nera. E’ scandaloso che certe persone mettano in discussione il fatto che io frequenti lo Smith, e la mia stessa esistenza in quanto donna di colore”. La scuola si scusò, mise il signore delle pulizie in congedo, molti giornali raccontarono la storia come: giovane studentessa intimidita da personale bianco. “Ci fu molta meno attenzione –  scrive Michael Powell sul New York Times –  tre mesi dopo quando uno studio di avvocati assunto per indagare sulla vicenda non rilevò alcuna prova di qualche genere di pregiudizio”. Le cose erano andate così: la studentessa si era messa a mangiare in una parte della scuola chiusa agli studenti; un addetto delle pulizie che stava svuotando un bidone aveva visto che c’era qualcuno dentro la sala: sessantenne con problemi di vista, aveva chiamato la sicurezza (non sapeva che fosse una ragazza: la Kanoute avrebbe poi detto che l’aveva “misgendering”, un’altra violenza); la guardia era arrivata, aveva spiegato che quella zona non era aperta e che era meglio che la studentessa si spostasse. Non aveva alcuna arma.


Il signore delle pulizie è tornato al lavoro dopo tre mesi: nessuno si è scusato con lui, anche se lavorava lì da 35 anni; un altro bidello è stato accusato dalla studentessa di essere il responsabile dell’oltraggio: foto, nome, “ha commesso vili atti di razzismo”: nessuno si è scusato con lui. Il New York Times scrive: “Il personale della scuola si muove con molta attenzione quando deve far rispettare le regole: ha paura delle denunce”.
 

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