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Il matematico

L’addio sul fiume di Jan Litynski

Francesco M. Cataluccio

Le passeggiate con il dissidente che ha fatto la storia della Polonia degli ultimi cinquant'anni, grande animatore della democrazia

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Morire per salvare il proprio cane finito dentro il fiume Nerew ghiacciato. Se ne sente spesso di queste notizie, nelle ultime settimane di freddo polare in Polonia. Il matematico Jan Litynski, all’età di 75 anni, non ha esitato un attimo ad entrare nelle fredde acque per tirare fuori il suo cane. Se n'è andato così, ieri, con un gesto di altruismo che ha sempre caratterizzato la sua vita, uno dei più intelligenti e coraggiosi dissidenti polacchi, uno strenuo combattente per la democrazia in Polonia. Un uomo piccolo e dolce, malinconico e abile mediatore, che ha fatto la storia della Polonia degli ultimi cinquant’anni.

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Morire per salvare il proprio cane finito dentro il fiume Nerew ghiacciato. Se ne sente spesso di queste notizie, nelle ultime settimane di freddo polare in Polonia. Il matematico Jan Litynski, all’età di 75 anni, non ha esitato un attimo ad entrare nelle fredde acque per tirare fuori il suo cane. Se n'è andato così, ieri, con un gesto di altruismo che ha sempre caratterizzato la sua vita, uno dei più intelligenti e coraggiosi dissidenti polacchi, uno strenuo combattente per la democrazia in Polonia. Un uomo piccolo e dolce, malinconico e abile mediatore, che ha fatto la storia della Polonia degli ultimi cinquant’anni.

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Figlio di una famiglia ebreo-polacca, si era formato nelle file dei “Waltrowcy” (una specie di boy scout di sinistra polacchi). Tra il 1966 e il 1967 aveva militato nella Gioventù socialista. Ma, nel marzo del 1968, fu tra gli organizzatori delle proteste studentesche, assieme agli amici Adam Michnik, Jacek Kuron, Ewa Milewicz, Seweryn Blumsztajn, Barbara Torunczyk, Henryk Wujec. Venne arrestato, cacciato dall’università e condannato a due anni e mezzo di prigione. Nel 1976 fu tra i redattori del primo giornale clandestino “Biuletyn Informacyjny” (il Bollettino di informazioni). Dopo le  proteste operaie del giugno 1976 fu tra i fondatori del Comitato di Difesa degli Operai (Kor). A partire dal 1977 diresse la rivista clandestina “Robotnik (l’Operaio). Queste attività prepararono gli scioperi dell’agosto 1980 e lo resero assai popolare tra i lavoratori. 

 

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Dopo gli accordi tra il potere e il sindacato indipendente divenne consigliere della direzione di Solidarnosc e autore dell’appello del primo congresso di Solidarnosc ai lavoratori dell’Europa orientale. Ovviamente venne immediatamente imprigionato dopo il colpo di stato del dicembre 1981. Tornato libero, entrò in clandestinità (lo incontrai un paio di volte, con una barba lunga e i capelli tinti, durante delle “passeggiate nei boschi in cerca di funghi”). Diresse il comitato clandestino di Solidarnosc della regione di Mazovia. Litynski prese parte ai lavori della “Tavola rotonda” (6 febbraio-4 aprile 1989) tra opposizione e regime che pose le basi per un ritorno alla democrazia. Nel 1989 fu eletto al Parlamento ed è stato deputato per l’Unione Democratica fino al 2001, dirigendo la commissione per gli Affari speciali e quella delal Politica sociale. È stato vicesegretario dell’Unione della libertà (Unia Wolnosci).

 

Negli anni 2010-2015 è stato consigliere del presidente Bronisław Komorowski per i contatti con i partiti e gli ambienti politici.  Poi ha continuato la sua battaglia per la difesa della democrazia scrivendo per Gazeta Wyborcza, Rzeczpospolita e Newsweek. Negli ultimi anni è sempre stato in prima fila nelle manifestazioni contro le limitazioni della democrazia in Polonia. Ma era diventato, per la prima volta in vita sua, molto pessimista. In occasione delle grandi manifestazioni di piazza dell’agosto scorso, aveva scritto: “La bandiera arcobaleno, simbolo biblico dell’unità con Dio, è diventata per l’attuale potere e per una buona parte della gerarchia ecclesiastica un oggetto di odio. Questo è il primo passo. Nessuno di noi può essere sicuro del domani. Il potere sta imboccando una strada che altri hanno già intrapreso. Questa strada comporta milioni di vittime. Per questo dobbiamo aver paura e per questo dobbiamo continuare a protestare”.

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