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Due test per Biden e saranno giudicati dall'Iran

Daniele Ranieri

Crisi in Iraq e Yemen per la nuova Amministrazione americana che non vorrebbe fare come Trump ma deve mostrarsi decisa

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Arrivano i primi due test per l’Amministrazione Biden nel conflitto permanente con l’Iran. Il primo nel nord dell’Iraq, a Erbil, città amministrata dai curdi e di solito risparmiata dalla violenza delle milizie sciite. Alle nove e un quarto di lunedì un attacco pesante con razzi ha colpito la zona dell’aeroporto internazionale che contiene una base militare – dove alloggiano anche soldati americani – ma pure in modo casuale le strade e i palazzi dei civili. L’attacco è stato compiuto con un sistema semplice e quasi impossibile da prevenire, molti tubi di lancio piazzati sul pianale di un camion a circa otto chilometri da Erbil e puntati verso le piste – le stesse dove il 7 marzo dovrebbe atterrare Papa Francesco al terzo giorno di visita in Iraq. I radar di terra della base si sono accorti di almeno quattordici razzi in volo verso la zona militare ma non hanno fatto scattare le contromisure per non colpire i piani alti dei palazzi di Erbil – queste contromisure sono lunghe raffiche guidate da un computer collegato al radar di terra che dovrebbero distruggere i razzi in volo, ma l’aeroporto è dentro alla città e appunto c’era il rischio di colpire anche gli edifici attorno. I razzi hanno ucciso un contractor straniero, ma non americano, e ne hanno feriti altri cinque (si chiamano contractor, vale la pena ricordarlo, anche i lavoratori impiegati nelle mense e nelle lavanderie) e in più hanno ferito un militare americano. Altri undici razzi piovuti fuori hanno ferito tre persone e hanno colpito il consolato cinese e quello dell’autorità palestinese. Come si vede, questi attacchi sono casuali come una roulette russa: ammazzano chi si trova per fatalità dove cadono i razzi e la possibilità di uccidere americani è accettata come una possibilità. Tre ore dopo una sigla già conosciuta ha rivendicato il lancio, si tratta della Saraya Awliya al Dam, i guardiani del sangue, che è soltanto un paravento per Asaib Ahl al Haq, la lega dei giusti, uno dei gruppi filoiraniani più forti in Iraq. Gli iraniani sanno che l’Amministrazione Biden vuole agire in modo diverso da Trump, che invece a dicembre 2019 dopo l’uccisione di un contractor americano aveva ordinato una escalation velocissima: prima il bombardamento delle basi dei gruppi filoiraniani e poi, dopo l’assedio all’ambasciata americana a Baghdad, l’uccisione con un drone del generale iraniano Qassem Suleimani. Come farà l’Amministrazione Biden a mantenere un minimo di potere di deterrenza? 

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Arrivano i primi due test per l’Amministrazione Biden nel conflitto permanente con l’Iran. Il primo nel nord dell’Iraq, a Erbil, città amministrata dai curdi e di solito risparmiata dalla violenza delle milizie sciite. Alle nove e un quarto di lunedì un attacco pesante con razzi ha colpito la zona dell’aeroporto internazionale che contiene una base militare – dove alloggiano anche soldati americani – ma pure in modo casuale le strade e i palazzi dei civili. L’attacco è stato compiuto con un sistema semplice e quasi impossibile da prevenire, molti tubi di lancio piazzati sul pianale di un camion a circa otto chilometri da Erbil e puntati verso le piste – le stesse dove il 7 marzo dovrebbe atterrare Papa Francesco al terzo giorno di visita in Iraq. I radar di terra della base si sono accorti di almeno quattordici razzi in volo verso la zona militare ma non hanno fatto scattare le contromisure per non colpire i piani alti dei palazzi di Erbil – queste contromisure sono lunghe raffiche guidate da un computer collegato al radar di terra che dovrebbero distruggere i razzi in volo, ma l’aeroporto è dentro alla città e appunto c’era il rischio di colpire anche gli edifici attorno. I razzi hanno ucciso un contractor straniero, ma non americano, e ne hanno feriti altri cinque (si chiamano contractor, vale la pena ricordarlo, anche i lavoratori impiegati nelle mense e nelle lavanderie) e in più hanno ferito un militare americano. Altri undici razzi piovuti fuori hanno ferito tre persone e hanno colpito il consolato cinese e quello dell’autorità palestinese. Come si vede, questi attacchi sono casuali come una roulette russa: ammazzano chi si trova per fatalità dove cadono i razzi e la possibilità di uccidere americani è accettata come una possibilità. Tre ore dopo una sigla già conosciuta ha rivendicato il lancio, si tratta della Saraya Awliya al Dam, i guardiani del sangue, che è soltanto un paravento per Asaib Ahl al Haq, la lega dei giusti, uno dei gruppi filoiraniani più forti in Iraq. Gli iraniani sanno che l’Amministrazione Biden vuole agire in modo diverso da Trump, che invece a dicembre 2019 dopo l’uccisione di un contractor americano aveva ordinato una escalation velocissima: prima il bombardamento delle basi dei gruppi filoiraniani e poi, dopo l’assedio all’ambasciata americana a Baghdad, l’uccisione con un drone del generale iraniano Qassem Suleimani. Come farà l’Amministrazione Biden a mantenere un minimo di potere di deterrenza? 


L’altro test è in Yemen, dove il gruppo Ansar Allah in questi giorni ha lanciato un’offensiva contro Marib, la regione appena a est della capitale Sana’a. Ansar Allah è il nome dei cosiddetti “ribelli Houthi”, che però non sono più ribelli dal 2015. Da quell’anno controllano la capitale e ci tengono a essere chiamati con il nome di “partigiani di Dio”, così più adatto al loro motto: “Dio è il più grande, morte all’America, morte a Israele, maledetti gli ebrei, vittoria per l’islam”. Ansar Allah è un gruppo sciita legato all’Iran e se riuscisse a conquistare la regione di Marib in pratica controllerebbe le parti più importanti dello Yemen, dove la maggior parte della popolazione non li ama. A Marib ci sono almeno due milioni di sfollati – che hanno lasciato altre aree per sfuggire ad Ansar Allah – e anche una buona parte delle poche risorse in gas e greggio dello Yemen: sarebbe il caos. E’ per evitare questa avanzata che i sauditi nel 2015 hanno cominciato una disastrosa guerra civile nel paese: non accetterebbero il nuovo Yemen che di fatto nascerebbe dopo un’eventuale perdita di Marib. Anche in questo caso l’Amministrazione Biden vuole distinguersi da Trump e ha appena ritirato il suo appoggio ai sauditi nella guerra, oltre ad avere dato altri segni di freddezza: Biden parla con il re Salman, non con il principe erede al trono Mohammed bin Salman che della guerra è l’architetto. Ma non può nemmeno permettersi, l’Amministrazione Biden, un trionfo storico dei filoiraniani in Yemen che manderebbe segnali paurosi in tutta la regione. 

 

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