PUBBLICITÁ

La notte dei lupi di Yangon

"E’ tutto finito. Siamo tornati indietro di trent’anni, non c’è più niente da fare, non c’è una giungla dove nascondersi". Il racconto della repressione

Massimo Morello

Le forze armate in Myanmar usano la violenza per cercare di fermare le proteste. Le bande criminali, le leggi contro la libertà di stampa, l'assenza di connessione e una generazione che è ancora troppo giovane per avere paura

PUBBLICITÁ

Bangkok. "E’ tutto finito. Siamo tornati indietro di trent’anni, non c’è più niente da fare, non c’è una giungla dove nascondersi", dice al Foglio una voce che chiama da Yangon la mattina del 15 febbraio. La connessione internet è stata appena ristabilita dopo un blocco iniziato all’una della notte. Lui usa una Vpn (Virtual Private Network, rete virtuale privata) che dovrebbe garantirgli maggior sicurezza. Ma è comunque cauto. Ripete che è tranquillo soprattutto per tranquillizzare se stesso. Sembra che gli espatriati in Birmania sperino solo che tutto finisca rapidamente. Come la notte ormai trascorsa. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Bangkok. "E’ tutto finito. Siamo tornati indietro di trent’anni, non c’è più niente da fare, non c’è una giungla dove nascondersi", dice al Foglio una voce che chiama da Yangon la mattina del 15 febbraio. La connessione internet è stata appena ristabilita dopo un blocco iniziato all’una della notte. Lui usa una Vpn (Virtual Private Network, rete virtuale privata) che dovrebbe garantirgli maggior sicurezza. Ma è comunque cauto. Ripete che è tranquillo soprattutto per tranquillizzare se stesso. Sembra che gli espatriati in Birmania sperino solo che tutto finisca rapidamente. Come la notte ormai trascorsa. 

PUBBLICITÁ

 

“I lupi usciranno. A caccia della gente del Cdm” era un tweet inviato la notte tra il 14 e il 15 febbraio da Yangon. Poche ore prima che in Birmania ogni connessione fosse bloccata. Il Cdm è il Civil Disobedience Movement, il movimento che si sta opponendo con l’arma della disobbedienza civile allo State Administration Council, orwelliana denominazione del governo militare che ha preso il potere il 1° febbraio. I lupi sono i militari di Tatmadaw, le forze armate. Ma ancor più le bande di criminali, composte da molti dei 23.000 prigionieri liberati nei giorni scorsi per dar prova della clemenza della giunta. In realtà per seminare il terrore scatenandoli in città dopo "che gli avevano iniettato metanfetamine nel collo", come racconta la fonte del Foglio. La prova generale è stata messa in scena tra il 13 e il 14 febbraio quando i branchi di lupi hanno creato il caos gettando bottiglie incendiarie, aprendo la strada alla polizia a caccia di ricercati. Poche ore prima, nel frattempo, la giunta aveva emanato una serie di leggi che permettono di estendere a tempo indeterminato la detenzione preventiva, effettuare perquisizioni indiscriminate, limitare la libertà di stampa con la proibizione di definire golpe quanto accaduto. 

 

PUBBLICITÁ

La notte di sabato, però, i lupi hanno incontrato la resistenza dei comitati di quartiere, volontari cittadini che li hanno fronteggiati con "asce, martelli, mazze e picconi". Le descrizioni della fonte del Foglio sono una rappresentazione pulp ma credibile. Soprattutto dopo quanto accaduto la notte tra il 14 e il 15, quando la repressione si è accentuata. "Nessuno sa davvero cos’è successo questa notte", dice la fonte del Foglio. Twitter e Facebook, sino all’una di notte, hanno trasmesso scene di violenza, fuochi, spari sulla folla, roghi, transito di carri armati, richieste d’aiuto lanciate a chiunque volesse ascoltarle. Una conferma indiretta è il messaggio delle ambasciate occidentali, compresa quella italiana, ai concittadini ancora presenti in Birmania “di restare in casa, e di essere particolarmente all’erta nei prossimi giorni”.

 

Alle prime ore del mattino di lunedì, sembrava subentrata la rassegnazione. La preoccupazione più grave riguardava il sistema bancario – le banche sono chiuse per evitare corse agli sportelli. "Ormai conterà solo il business", dice la fonte del Foglio con un commento che intreccia tristezza e speranze personali. L’ordine regnava a Yangon, gli incroci controllati dai blindati, le truppe rinforzate da quelle arrivate dalla regione del Rakhine. Era la dimostrazione che i militari stavano preparando il golpe da tempo, stringendo accordi con le milizie etniche cui, evidentemente, hanno promesso una sorta di autonomia e, soprattutto, mano libera nel traffico di metanfetamine. Dalla data del golpe nessuna milizia, in Rakhine, Kachin o Shan State, che in cinque anni di governo civile non aveva mai cessato le ostilità, ha più sparato un colpo. Ma l’ordine di Yangon era solo apparente. Col passare delle ore le vie si sono riempite nuovamente di manifestanti. Una folla ha impedito che la polizia entrasse nella sede della National League for Democracy per arrestare chiunque vi si trovasse. I giovani della Generazione Z, quelli entro i 25 anni, principali protagonisti delle manifestazioni, non sembrano farsi intimidire troppo. Forse perché non hanno vissuto gli orrori dei loro genitori. Non ancora. E non sembrano credere che sia possibile rischiare vent’anni solo per aver “ostacolato l’attività dei militari”. 

 

PUBBLICITÁ

PUBBLICITÁ

La paura, invece, potrebbe aver contagiato i militari. Come ha dichiarato Tom Andrews, relatore speciale delle Nazioni Unite per la Birmania, “gli sforzi della giunta per frenare il fiorente movimento di protesta sono un segno di disperazione”. Sembra anche che tra gli stessi militari non tutti siano d’accordo. Anche perché, per quanto la Cina abbia dichiarato di non voler interferire, non è così certo che sia disposta a tollerare una situazione caotica lungo quella via della seta che conduce al Golfo del Bengala. Per il momento sembrano prevalere disperazione e i caos.  Stando a quanto riferisce il sito “Frontier Myanmar” la giornata di lunedì prosegue con la polizia che spara sulla folla a Mandalay, la seconda città del paese.

 

PUBBLICITÁ

“Dove sono tutti?” era la conclusione di un tweet della notte di domenica. Quei tutti, intellettuali, cantanti, organizzazioni non governative, anime belle, che erano state tanto attive nel denunciare Aung San Suu Kyi per essersi resa “complice” dei militari. Complici sono loro, invece, di un colpo di stato facilitato sia dal Covid sia dalla delegittimazione della Signora a cui lunedì sono stati prolungati gli arresti, mentre gli uomini d'affari che la sostenevano vengono sottoposti a interrogatorio. Ancor oggi, oltre ai lupi, c’è qualche sciacallo in occidente che vede nel golpe una sorta di nemesi per i rohingya. 

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ