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Lo scontro liberal sugli stimoli

Il piano di rilancio americano fa litigare gli economisti democratici

Paola Peduzzi

Biden e Yellen difendono il loro American rescue plan, un'enorme operazione che mobilita 1,9 trilioni di dollari per risollevare il paese dalla crisi pandemica. Ma nella scuola degli economisti progressisti c'è chi dubita della sua efficacia, tra ragioni tecniche e anche ideologiche 

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Molti commentatori americani dicono che questo, per il paese, è il loro “whatever it takes moment”: fanno riferimento al recovery plan che deve approvare il Congresso, rievocano la frase di Mario Draghi che compare su magliette e tazze, e ci fanno sentire, noi europei, più vicini, forse persino più avanti. Il piano per la ripresa in Europa è già stato adottato, e siamo (almeno) al secondo appuntamento con il “whatever it takes”, nato con la crisi dell’euro nel 2012 e ripetuto molto nell’ultimo anno di pandemia. Ma la sensazione di anticipo finisce qui: c’è naturalmente l’incognita dell’approvazione del Congresso, i cui lavori sono rallentati dal processo di impeachment dell’ex presidente Donald Trump, e c’è la volontà dell’Amministrazione Biden di dare fin da subito forma al cambiamento e ottenere un solido voto bipartisan. Ma la questione su cui si discute, là come qua, è come spendere tutti i soldi a disposizione per contrastare l’effetto economico.

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Molti commentatori americani dicono che questo, per il paese, è il loro “whatever it takes moment”: fanno riferimento al recovery plan che deve approvare il Congresso, rievocano la frase di Mario Draghi che compare su magliette e tazze, e ci fanno sentire, noi europei, più vicini, forse persino più avanti. Il piano per la ripresa in Europa è già stato adottato, e siamo (almeno) al secondo appuntamento con il “whatever it takes”, nato con la crisi dell’euro nel 2012 e ripetuto molto nell’ultimo anno di pandemia. Ma la sensazione di anticipo finisce qui: c’è naturalmente l’incognita dell’approvazione del Congresso, i cui lavori sono rallentati dal processo di impeachment dell’ex presidente Donald Trump, e c’è la volontà dell’Amministrazione Biden di dare fin da subito forma al cambiamento e ottenere un solido voto bipartisan. Ma la questione su cui si discute, là come qua, è come spendere tutti i soldi a disposizione per contrastare l’effetto economico.

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L’American rescue plan di Joe Biden ammonta a 1,9 trilioni di dollari e comprende: 400 miliardi di dollari per contrastare il coronavirus, compresi vaccini e test; 1 trilione a sostegno delle famiglie; 400 miliardi a sostegno di comunità e aziende; 400 dollari a settimana per l’assicurazione contro la disoccupazione, fino a settembre; fondi per la riapertura delle scuole e altre spese. L’obiettivo dell’Amministrazione è quello di trovare il consenso dei repubblicani, ma lo scontro più acceso al momento è dentro il mondo liberal e riguarda una domanda: lo stimolo è troppo grande?

 

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A porre il problema in modo esplicito è stato Larry Summers, ex ministro del Tesoro clintoniano che in un editoriale sul Washington Post ha spiegato che un piano di rilancio ci vuole e in fretta, ma secondo lui così com’è è troppo grande. L’eccesso pone due problemi: uno inflattivo e l’altro più politico, cioè il fatto che oggi la manovra sia troppo grande mette a rischio la possibilità un domani di fare altre operazioni di sostegno all’economia. In sintesi: se esageri oggi, ti giochi tutto e in futuro sarà difficile poter ottenere consenso e altri fondi. A sostenere Summers è arrivato anche Olivier Blanchard, in passato capo economista del Fondo monetario internazionale (per semplificare la mappa degli economisti cosiddetti progressisti: Summers e Blanchard hanno un rapporto stretto anche con Draghi). L’attuale ministro del Tesoro, Janet Yellen, ha reagito, come ha scritto Neil Irwin sul New York Times, “aggressivamente”.

 

La Yellen e buona parte dell’Amministrazione Biden in tv hanno difeso la loro proposta, definendola misurata e strutturata sulla minaccia economica che si sta cercando di disinnescare. In questo momento, dice la Yellen, è necessario “rispondere in modo duro” alle ripercussioni della pandemia sull’economia. Whatever it takes appunto. Il rischio inflattivo esiste ma è contenibile, e soprattutto è inferiore rispetto “alla grande sofferenza nel paese”, ha detto in una conferenza stampa Jared Bernstein, membro del Consiglio degli economisti della Casa Bianca. Per di più, la Yellen e gli altri ricordano a Summers che era stato lui il primo ad ammettere che lo stimolo di Barack Obama nel 2009, dopo lo choc finanziario, era stato troppo piccolo: perché mai questo oggi dovrebbe essere troppo grande? L’incongruenza va spiegata con alcune ragioni tecniche che hanno a che fare con un contesto diverso e con la “sofferenza” di cui parla l’Amministrazione Biden, che riguarda l’economia reale e che è strettamente legata alla pandemia. Ma c’è anche una questione più politica e ideologica: l’approccio di Biden è meno legato ai cosiddetti “tecnocrati”, cioè agli economisti che hanno costruito le risposte economiche delle stagioni clintoniana e obamiana. Summers è l’esempio perfetto: esperto, cauto, pragmatico, più attento alle classi meno alte che a quelle più povere. Scegliendo la Yellen, che è esterna rispetto al filone di economisti e politici di cui Summers è riferimento, Biden ha segnalato di volersi emancipare da questa tradizione, e quindi di voler stabilire un proprio assetto che non è ovviamente troppo lontano da quello dei suoi predecessori, ma non lo ricalca in modo esatto. Ideologicamente si tratta di trovare un posto nella frattura tra moderati e radicali: poi ci sono le cordate e il potere, o meglio l’eredità dell’establishment economico che è emerso tra i democratici fin dall’èra clintoniana. I più cattivi oggi dicono: se Summers avesse accesso a Biden, se fosse ascoltato, non avrebbe bisogno di scrivere editoriali sui giornali.

 

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