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Negli Stati Uniti si parla ancora di voto. E adesso tocca a New York

Cinque suppletive per il congresso, due per eleggere un governatore (New Jersey e Virginia) ma soprattutto le comunali della Grande Mela

Luciana Grosso

Dalla metropoli passerà buona parte della gara, tutta interna ai partiti, che potrebbe essere più agguerrita delle elezioni stesse. E nella quale la vittoria dei moderati non è affatto scontata. Sondaggi e candidati

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Non abbiamo ancora fatto in tempo ad archiviare le (sofferte) elezioni presidenziali che già, negli Stati Uniti, si parla di voto. Il prossimo 2 novembre ci saranno varie elezioni: cinque suppletive per il congresso, due per eleggere un governatore (New Jersey e Virginia) ma soprattutto ci saranno le elezioni comunali a New York.
  

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Non abbiamo ancora fatto in tempo ad archiviare le (sofferte) elezioni presidenziali che già, negli Stati Uniti, si parla di voto. Il prossimo 2 novembre ci saranno varie elezioni: cinque suppletive per il congresso, due per eleggere un governatore (New Jersey e Virginia) ma soprattutto ci saranno le elezioni comunali a New York.
  

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Le elezioni per il sindaco di New York non sono semplici elezioni comunali, perché, per il suo peso economico e simbolico, New York conta e pesa molto di più di qualsiasi altra città americana. Non solo è la più popolosa (8 milioni di abitanti, il doppio secco della seconda classificata Los Angeles), ma è anche di gran lunga la più ricca: ha un pil di circa 1.500 miliardi di dollari (quello dell’Italia, tanto per fare un paragone, è poco meno di 2.000; se fosse una nazione, la sua sarebbe la decima economia al mondo). Così, parlare di elezioni per il sindaco di New York è un po’ come parlare dell’elezione americana che, subito dopo quella per la presidenza, attira di più l’attenzione del mondo.
  

Quest’anno più degli altri anni, e non perché ci siano dubbi sull’esito delle elezioni che dovrebbero essere vinte senza difficoltà dai democratici, quanto perché, da New York, passerà molta parte della gara, tutta interna ai partiti, le frange estremiste e quelle centriste. A indicarci quale strada i due partiti prenderanno non saranno tanto le elezioni vere e proprie quanto le primarie che si terranno il 22 giugno, per entrambi i partiti, perché il sindaco uscente, il democratico (e molto impopolare Bill De Blasio) ha già fatto due mandati e non può ricandidarsi.

    

   

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Così entrambi i partiti si misureranno in una conta interna che, forse, potrebbe essere più agguerrita delle elezioni stesse e nella quale la vittoria dei moderati non è affatto scontata dal momento che New York ha tenuto a battesimo sia i numi tutelari del progressismo Bernie Sanders, e Alexandria Ocasio Cortez, sia quelli del populismo conservatore più muscolare Donald Trump e Rudy Giuliani. In attesa di conoscere la risposta dai voti veri e propri, non resta che guardare i sondaggi, assai precoci, delle prossime primarie.

  

   

Tra i dem, lo strafavorito sembra essere Andrew Yang, sorpresa delle scorse primarie per le presidenziali che, pur non essendo mai stato davvero in corsa, seppe attirare l’attenzione di elettori e osservatori con la sua ottima parlantina e con il suo programma di reddito universale di mille dollari per tutti. A tallonarlo c’è un candidato meno famoso, ma all’apparenza assai più solido e competitivo: si chiama Eric Adams, è il presidente del Distretto di Brooklyn, ma soprattutto è un ex poliziotto ed è nero, cosa che potrebbe dargli modo di realizzare una coalizione particolarmente ampia, capace di fare sintesi tra i BLM e i sostenitori delle policy Law and Order: Adams è da sempre in prima linea contro gli abusi e gli eccessi delle forze di polizia, ma non ha mai sostenuto l’idea di togliere fondi ai commissariati. La terza classificata, nei sondaggi, è invece una donna, anche lei afroamericana: Maya Wiley, ex consigliera del sindaco De Blasio. A differenza di Yang e Adams, Wiley non arriva dal centro, ma dalla sinistra del partito. Sostiene la riforma della polizia e si è schierata con forza con i BLM. I repubblicani la detestano particolarmente perché Mary Trump, l’odiata nipote di Donald, ha avviato una raccolta fondi per la sua candidatura.

 

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Più in basso nella classifica dei sondaggi ci sono una dozzina abbondante di candidati, alcuni con le carte in regola per giocarsela fino alla fine, altre assai improbabili. Tra i papabili (la strada è lunga e tutto può succedere) ci sono Dianne Morales, ex attivista che vuole dimezzare i fondi per la polizia per girarli ai servizi sociali; Scott Stringer, politico di lungo corso, molto apprezzato e stimato; l’ex Vice Presidente di City Group Raymond McGuire; Shaun Donovan, ex collaboratore dell'amministrazione Obama; Kathryn Garcia, ex commissario per l’igiene in città che ha giocato la difficile partita della spazzatura.
  

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Tra gli improbabili, invece, non ce ne vogliano, ma inseriamo il rapper Paperboy Prince; l’ex poliziotto William Pepitone; l’ex bodybuilder Christopher Krietchman; la ricchissima imprenditrice immobiliare Barbara Kavovit (che non ha un sito per la campagna ma usa la sua pagina Instagram)

  

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Se tra i democratici si affastellano nomi, tra i repubblicani non si muove foglia. Ancora non c’è nessuna candidatura ufficiale. Ed è anche comprensibile visto che la partita sembra persa in partenza. L’unico nome certo sembra essere quello di Curtis Sliwa, noto come fondatore dei Guardian Angel. Per il resto è tutto un rincorrersi di ipotesi e sogni nel cassetto. C’è chi spera in John Castimadis, miliardario del settore edilizio e della GDO, molto popolare grazie a un programma radio che conduce ogni mattina, che però ultimamente si è spostato su posizioni democratiche e quindi potrebbe correre anche lui tra i dem, Ma qualcuno nell’ala più destrorsa del partito sogna ad occhi aperti facendo i nomi di Andrew Giuliani (figlio dell’ex sindaco Rudy), o quelli assai improbabili di Donald Trump Jr. o di Ivanka. Il che sarebbe una scommessa non da poco per la famiglia che, dopo essere stata la più famosa della città, ora si ritrova a esserne la più detestata. 

  

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