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La pagella del Recovery plan

David Carretta

Il piano nazionale di Draghi impegnerà l’Italia per sei anni. Da Bruxelles undici criteri per valutare i programmi: per essere promossi il voto è “8A”

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Il piano nazionale di ripresa e resilienza che porterà la firma di Mario Draghi impegnerà l’Italia per i prossimi sei anni e le riforme necessarie a ottenere i 209 miliardi del Recovery fund non potranno essere rinnegate dai governi che succederanno a quello dell’ex presidente della Banca centrale europea. Anche in caso di elezioni o cambio di governo “il principio è che un piano che è approvato impegna lo stato membro e impegna l’Ue”, ha spiegato lunedì un alto funzionario della Commissione, alla vigilia del voto di ieri del Parlamento europeo sul regolamento della Recovery and Resilience Facility, il principale strumento finanziario di Next Generation Eu per fornire stanziamenti e prestiti agli stati membri.

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Il piano nazionale di ripresa e resilienza che porterà la firma di Mario Draghi impegnerà l’Italia per i prossimi sei anni e le riforme necessarie a ottenere i 209 miliardi del Recovery fund non potranno essere rinnegate dai governi che succederanno a quello dell’ex presidente della Banca centrale europea. Anche in caso di elezioni o cambio di governo “il principio è che un piano che è approvato impegna lo stato membro e impegna l’Ue”, ha spiegato lunedì un alto funzionario della Commissione, alla vigilia del voto di ieri del Parlamento europeo sul regolamento della Recovery and Resilience Facility, il principale strumento finanziario di Next Generation Eu per fornire stanziamenti e prestiti agli stati membri.

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I risultati del voto saranno annunciati questa mattina, ma l’esito è scontato: la stragrande maggioranza dei deputati europei si è espressa a favore. Il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha già annunciato che il regolamento andrà in Gazzetta Ufficiale il 18 febbraio. Da quel giorno i governi potranno presentare formalmente i loro piani nazionali di ripresa e resilienza. Per l’Italia, come per altri, sarà il momento della verità sulla parte più dimenticata del Recovery fund: le riforme strutturali.

 

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Nelle ultime settimane, la Commissione ha iniziato a essere molto più esigente con i governi sulle riforme. Finora 18 paesi hanno inviato a Bruxelles bozze del piano di Recovery, sei stati membri hanno trasmesso solo degli elementi del loro piano, mentre tre governi non hanno presentato nulla. L’Italia è nel primo gruppo, dopo la bozza adottata dal governo di Giuseppe Conte a gennaio. Ma la Commissione ritiene che i piani presentati finora siano poco equilibrati: i governi si sono concentrati troppo su come spendere i soldi negli investimenti e troppo poco su come riformare le loro economie per renderle resilienti. Il quadro sulle riforme è quello delle raccomandazioni adottate dalla Commissione nel 2019 e 2020. Per l’Italia significa – tra le altre cose – abolire quota 100, modificare il reddito di cittadinanza, adottare una nuova legge sulla concorrenza, accelerare i processi, intervenire sulla Pubblica amministrazione. Un’altra componente essenziale del piano nazionale di Recovery riguarda la capacità di spendere le risorse e di effettuare verifiche per evitare sprechi e frodi. Non basta qualche vago riferimento alle riforme. I piani devono contenere i cosiddetti “target” e “milestone” (obiettivi intermedi e finali) con il calendario per la loro realizzazione. Dopo l’anticipo del 13 per cento dei 209 miliardi che dovrebbe arrivare in estate, i successivi esborsi saranno effettuati ogni sei mesi, ma solo se saranno stati rispettati “target” e “milestone”.

 

Il piano Draghi non si potrà riscrivere in modo sostanziale, nemmeno dopo le prossime elezioni politiche. “Ci sono possibilità limitate per chiedere emendamenti” di carattere tecnico (se “milestone” e “target” non sono più realizzabili per ragioni oggettive), ha spiegato l’alto funzionario della Commissione. Ma in caso di modifica “serve una nuova decisione del Consiglio”, con un inevitabile slittamento degli esborsi. La Commissione userà un sistema di rating per valutare i piani nazionali sulla base di undici criteri legati alle condizionalità dal Recovery fund, come l’ammontare delle risorse destinate al Green deal (37 per cento) o alla transizione digitale (20 per cento), le riforme legate alle raccomandazioni economiche o il sistema per garantire che le risorse saranno spese rapidamente senza sprechi e frodi. A ciascuna voce verrà attribuito un voto sulla base delle misure previste: “A” (adeguate), “B” (minime), “C” (insufficienti). In generale servono almeno otto rating “A” su undici per ottenere i fondi. Basta un solo “C” e la Commissione dirà che il piano nazionale “non rispetta in modo soddisfacente i criteri di valutazione”. Ma per quattro criteri è comunque indispensabile ottenere il voto massimo “A”: il primo è il rispetto delle raccomandazioni sulle riforme.

 

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