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I rohingya sperano nel ritorno di San Suu Kyi, l’occidente è freddo

Massimo Morello

Nei campi in Bangladesh sanno che il vero carnefice era il generale Hlaing e non la leader del Myanmar, che però "non è più una priorità dell’occidente"

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Bangkok. “Perché proprio qui?”. Vent’anni fa, quando la Birmania era il cuore di tenebra del sud-est asiatico, questa era una domanda di rito ai pochi espatriati. “Perché non ci viene nessuno. Perché è un teatro dell’assurdo dove l’Asia recita il suo spettacolo”, aveva risposto un francese con un paradosso à la Artaud.

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Bangkok. “Perché proprio qui?”. Vent’anni fa, quando la Birmania era il cuore di tenebra del sud-est asiatico, questa era una domanda di rito ai pochi espatriati. “Perché non ci viene nessuno. Perché è un teatro dell’assurdo dove l’Asia recita il suo spettacolo”, aveva risposto un francese con un paradosso à la Artaud.

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Vent’anni più tardi, dopo un intervallo di democrazia limitata tra il 2011 e il febbraio 2021, dopo un nuovo golpe, assurdo e paradossi sono ancora di scena. L’assurdo appare spesso ridicolo. Come l’accusa rivolta ad Aung San Suu Kyi di detenzione illegale di walkie talkie. Che però ha un significato simbolico in una nazione dove sino a pochi anni fa le comunicazioni erano riservate a pochi eletti oppure erano la prova del dissenso.


L’assurdo e il paradosso sono soprattutto nella trama che si ripete in un ciclo di colpi di stato, rivolte, repressioni. Anche i protagonisti sono sempre gli stessi: Tatmadaw, l’esercito, oggi guidato dal generale Min Aung Hlaing, e la National League for Democracy incarnata nella figura di Aung San Suu Kyi. Una delle ragioni del golpe è insita proprio nei due protagonisti.


E’ testarda, non ha negoziato”, dice una fonte del Foglio a Yangon. Poteva apparire una delle classiche, superficiali analisi da espatriato. Ma è stata confermata da quella di Michael Vatikiotis, direttore per l’Asia del Centre for Humanitarian Dialogue: “Molte delle posizioni di entrambe le parti e l’incapacità di scendere a compromessi sono il prodotto di due personalità forti e testarde che vedevano il compromesso come un segno di debolezza”.

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Il generale Min Aung Hlaing, 64 anni, non aveva fatto mistero del suo desiderio di essere nominato presidente della Repubblica o di un costituendo “Consiglio superiore della difesa”. Suu Kyi, forte di un consenso popolare assoluto, sembrava decisa a modificare la Costituzione scritta dai militari. Conferendo a sé la possibilità di divenire presidente (con l’abolizione della norma che lo proibiva in quanto vedova e madre di stranieri). In questo modo, forse, avrebbe anche potuto difendere i rohingya. Come aveva affermato al tribunale dell’Aia, dove aveva ammesso le responsabilità dei militari ma senza potersi spingere oltre.


La trama, per ora, sembra cambiata nelle reazioni. La generazione cresciuta in un’atmosfera di semilibertà sembra libera del terrore che pervadeva i propri genitori, quegli stessi della cosiddetta “Generazione 88”, che parteciparono alle manifestazioni di quell’anno, concluse con oltre tremila morti, migliaia di ragazzi torturati nella prigione di Insein. La repressione nel 2007 non aveva risparmiato i monaci della “Rivolta di zafferano”. I monaci oggi sono divisi: molti di coloro che adempiono all’obbligo di trascorrere un periodo in monastero sono tra i manifestanti. Quelli che vi trascorrono la vita identificano nei militari i difensori della tradizione.  


I militari, a loro volta, sembrano meno violenti: nonostante le decine di migliaia di persone scese in piazza, la forza della repressione è controllata. Come però la loro pazienza. Del resto in questa partita hanno un vantaggio: la regina è sotto scacco. Le accuse di non aver difeso i rohingya hanno privato Aung San Suu Kyi del potere di influire sull’opinione pubblica mondiale. “Aung San Suu Kyi non è più una priorità dell’occidente”, ha rilevato lo Straits Times di Singapore.


L’ultimo, più assurdo paradosso è che nei campi rohingya in Bangladesh si sta manifestando per il ritorno del governo di Aung San Suu Kyi. I loro leader sanno che il vero carnefice era il generale Hlaing. Ora sono privi di un capro espiatorio sacrificabile in occidente. E non è probabile che i generali siano disponibili a concessioni. E’ più probabile anzi che cerchino un accordo con le milizie dell’Arakan Army che li vuole far sparire da quella terra.
 

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