PUBBLICITÁ

Note sul saudita MBS, per non farsi spiegare il principe dai notisti politici in Italia

Daniele Ranieri

L'omicidio Khashoggi e la guerra contro l'Isis fanno parte dell'intolleranza efferata del saudita contro chiunque non sia allineato al suo progetto di potere 

PUBBLICITÁ

Parliamo del principe ereditario al trono saudita Mohammed bin Salman (anche: MBS) perché c’è la questione dell’intervento di Matteo Renzi in Arabia Saudita – se gli americani imparano la geografia con le guerre, gli italiani la imparano con le beghe politiche. La prima cosa da sapere è che nell’ottobre 2018 un pensatore saudita che scriveva sul Washington Post e si chiamava Jamal Khashoggi entrò nel consolato saudita di Istanbul perché gli servivano dei documenti per sposarsi. Scriveva editoriali critici e blandi sulla situazione nel suo paese. Fu afferrato da una squadra di sicari sauditi che era arrivata apposta in aereo, fu ucciso e il cadavere fu fatto a pezzi con un seghetto da autopsie – e i pezzi furono sparpagliati e distrutti così bene che non è mai stato possibile ricomporre il corpo. I turchi però avevano piazzato delle cimici all’interno del consolato e quindi esiste l’audio di tutto quello che è successo. La Cia ha scritto un rapporto che accusa MBS di essere il mandante dell’omicidio e l’ha fatto vedere a porte chiuse ai senatori del Congresso americano. Quando sono usciti hanno detto che con quelle prove a carico un processo “durerebbe mezz’ora”. Questo genere di operazioni di mafia non si è  fermato: il principe vuole che un ex ufficiale dell’intelligence, Saad Aljabri, torni dal Canada. A marzo i due figli ventenni di Aljabri sono stati arrestati e si pensa che siano ostaggi politici per fare pressione sul padre ancora a Toronto. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Parliamo del principe ereditario al trono saudita Mohammed bin Salman (anche: MBS) perché c’è la questione dell’intervento di Matteo Renzi in Arabia Saudita – se gli americani imparano la geografia con le guerre, gli italiani la imparano con le beghe politiche. La prima cosa da sapere è che nell’ottobre 2018 un pensatore saudita che scriveva sul Washington Post e si chiamava Jamal Khashoggi entrò nel consolato saudita di Istanbul perché gli servivano dei documenti per sposarsi. Scriveva editoriali critici e blandi sulla situazione nel suo paese. Fu afferrato da una squadra di sicari sauditi che era arrivata apposta in aereo, fu ucciso e il cadavere fu fatto a pezzi con un seghetto da autopsie – e i pezzi furono sparpagliati e distrutti così bene che non è mai stato possibile ricomporre il corpo. I turchi però avevano piazzato delle cimici all’interno del consolato e quindi esiste l’audio di tutto quello che è successo. La Cia ha scritto un rapporto che accusa MBS di essere il mandante dell’omicidio e l’ha fatto vedere a porte chiuse ai senatori del Congresso americano. Quando sono usciti hanno detto che con quelle prove a carico un processo “durerebbe mezz’ora”. Questo genere di operazioni di mafia non si è  fermato: il principe vuole che un ex ufficiale dell’intelligence, Saad Aljabri, torni dal Canada. A marzo i due figli ventenni di Aljabri sono stati arrestati e si pensa che siano ostaggi politici per fare pressione sul padre ancora a Toronto. 


La seconda cosa da sapere è che il regno saudita ha da anni una posizione durissima contro il terrorismo islamico e con MBS questa campagna ha accelerato. I motivi sono almeno due. Il primo è che l’Arabia Saudita se non fosse impegnata in modo permanente in quella lotta sarebbe già stata divorata dagli estremisti, perché per molti decenni è stata il motore dell’espansione della dottrina islamica più aggressiva e pericolosa in tutto il mondo. Quello che sta facendo in questi anni è una campagna spietata per venire a capo del problema casalingo più grande e si può dire che marcia con successo – la frequenza degli attentati è incredibilmente minore rispetto al vicino Iraq – ma che è ancora lontana dalla sicurezza, come dimostra il ferimento per schegge di granata del console italiano a Gedda a novembre durante una cerimonia. Il secondo motivo di questa campagna durissima è che i regnanti sauditi sanno di essere un bersaglio ambitissimo dei terroristi islamici. Al Qaida e lo Stato islamico se potessero spazzerebbero via all’istante la famiglia Saud, che loro non chiamano nemmeno per nome ma con il nomignolo dispregiativo Salul. Se un attentatore dello Stato islamico entrasse con un solo proiettile dentro una stanza con un rabbino, un cardinale e il principe saudita MBS ucciderebbe quest’ultimo, perché lo considera il peggiore. 


Bin Salman ha scardinato il potere islamista: ha fatto imprigionare i predicatori fuori linea, ha cancellato la zona grigia degli ulema che facevano dichiarazioni ambigue e nell’aprile 2016 ha privato dei poteri la polizia religiosa, che da allora non può più arrestare nessuno. Lo ha fatto perché non tollera la concorrenza ostile di nessuno nel suo regno e tratta tutti come problemi da eliminare:  i terroristi come  i rivali politici  oppure i principi che sono contrari alla sua ascesa e anche  i miti editorialisti del Washington Post. (segue nell’inserto I)
A proposito di guerra all’estremismo: il più efficace nelle operazioni contro al Qaida era un altro principe, il ministro dell’Interno Mohammed bin Nayef, che al Qaida tentò di uccidere mandandogli un sicario che aveva una bomba nascosta nell’ano (questo dovrebbe dare la misura dell’odio), ma era anche un rivale al trono e quindi Bin Salman nel 2017 lo ha fatto mettere agli arresti domiciliari. MBS sta facendo una mezza rivoluzione in Arabia Saudita, contro un sistema che è stato creato e conservato dalla sua dinastia per generazioni. Lo fa perché sa che prima o poi il greggio perderà valore e il paese rischia di rimanere bloccato per sempre. Ma è un rivoluzionario efferato e capace di ogni manovra, di stritolare chiunque o di fare un giorno la pace con Israele. Scambiarlo per qualcos’altro non si può. 
 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ