PUBBLICITÁ

Una brutalità quotidiana

Le grandi opere di bin Salman, ovvero i regimi che ignorano i costi umani

Stefano Cingolani

Il principe lodato da Renzi per il "neo rinascimento" sta cambiando il volto dell'Arabia Saudita, ma i resoconti raccontano di torture ed esecuzioni, di condizioni di vita misere e schiacciate dalla paura. Senza dimenticare l’uccisione di Kashoggi

PUBBLICITÁ

Non c’entra nulla, è una pura coincidenza, tuttavia appena Matteo Renzi è rientrato da Riad, Luigi Di Maio, nella sua veste di ministro degli Esteri ancora in carica, ha firmato un provvedimento che blocca la vendita di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati. La decisione non è certo improvvisa, nasce da un lavoro parlamentare coordinato da Pd e 5 Stelle, che ha prodotto una risoluzione a quattro mani presentata lo scorso dicembre. Ed è in linea con l’Amministrazione Biden che mercoledì ha sospeso le forniture che alimentano la guerra nello Yemen. Così nessuno potrà dire che sia Renzi “l’amico americano” nonostante l’affondo contro il Conte bis sia partito dalla delega sui servizi segreti. È solo un caso, d’accordo, anche se il sottosegretario Manlio Di Stefano gira il coltello nella piaga: “Bloccata una vergogna lasciataci in eredità da Matteo Renzi ai tempi del suo mandato da premier”.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Non c’entra nulla, è una pura coincidenza, tuttavia appena Matteo Renzi è rientrato da Riad, Luigi Di Maio, nella sua veste di ministro degli Esteri ancora in carica, ha firmato un provvedimento che blocca la vendita di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati. La decisione non è certo improvvisa, nasce da un lavoro parlamentare coordinato da Pd e 5 Stelle, che ha prodotto una risoluzione a quattro mani presentata lo scorso dicembre. Ed è in linea con l’Amministrazione Biden che mercoledì ha sospeso le forniture che alimentano la guerra nello Yemen. Così nessuno potrà dire che sia Renzi “l’amico americano” nonostante l’affondo contro il Conte bis sia partito dalla delega sui servizi segreti. È solo un caso, d’accordo, anche se il sottosegretario Manlio Di Stefano gira il coltello nella piaga: “Bloccata una vergogna lasciataci in eredità da Matteo Renzi ai tempi del suo mandato da premier”.

PUBBLICITÁ

 

Dagli, insomma, a “Matteo d’Arabia”, consigliere del principe della corona Mohammed bin Salman invidiato perché tiene i salari bassi e lodato per il “neo rinascimento”, proprio da parte di chi ha guidato la capitale del Rinascimento con la R maiuscola: Firenze. Dichiarazioni fuori dalle righe, un viaggio non opportuno in piena crisi di governo, usando un areo della fondazione saudita Future Investment Initiative nel cui consiglio di amministrazione siede il senatore italiano, pagato con 80 mila euro l’anno. Tutto in regola, dicono i renziani, ma niente ordine. Detto questo, la sortita merita una riflessione meno estemporanea perché c’è molto su cui riflettere, dalla malia del potere assoluto che riesce a realizzare spesso in tempi rapidi quel che la democrazia non conclude nemmeno in decenni, alla strategia saudita. Partiamo da qui. Cos’è il progetto che ha conquistato Renzi fin da quando era presidente del Consiglio? Si chiama Vision 2030, è stato lanciato in pompa magna nel 2017 durante il forum della fondazione alla quale ha partecipato Pier Carlo Padoan, allora ministro dell’Economia.

 

PUBBLICITÁ

Vengono investiti 500 miliardi di dollari per costruire dal nulla un gigantesco polo industriale sulle sponde del Mar Rosso, in quell’angolo del Golfo di Aqaba dove l’Arabia confina con la Giordania e un lembo di mare la separa dall’Egitto. Neom (la linea) si estende per 170 chilometri su una superficie pari a 26.500 kmq (più grande della Sardegna). L’inaugurazione è prevista nel 2025. Niente auto, solo energia pulita, concentrerà le sue attività su fonti rinnovabili, acqua, biotecnologie, filiera alimentare, digitale. Sarà una zona franca che godrà di una particolare imposizione fiscale, una legislazione ad hoc sul lavoro e un sistema giudiziario autonomo. “Neom – ha spiegato Bin Salman – sarà situata su una delle più importanti arterie economiche del mondo. La sua posizione faciliterà anche la rapida affermazione della zona come un hub globale che collega Asia, Europa e Africa”. Altro che via della seta. È un passaggio considerato essenziale per raggiungere l’ obiettivo strategico: ridurre nei prossimi dieci anni la dipendenza, oggi pressoché totale, dal petrolio la cui vendita genera l’80 per cento del reddito saudita.

 

Una scelta vitale per un paese cresciuto enormemente, con una popolazione giovane alla ricerca di lavoro, una economia che ha bisogno di diversificarsi e modernizzarsi, una società ansiosa di modernità. Due terzi degli occupati lavorano per lo stato, l’11 per cento della manodopera è disoccupata, milioni di cittadini sono pagati per non fare nulla (è il reddito di cittadinanza in versione araba, questo ai grillini non dovrebbe dispiacere) e più della metà della popolazione – le donne – non lavora né produce ricchezza. Concentrati nell’estrarre greggio, i sauditi hanno ignorato persino scorte minerarie altrettanto strategiche: oro, zinco, fosfati e il 6 per cento delle riserve mondiali di uranio. Il principe Salman si mostra più lungimirante di zar Putin. Non c’è dubbio che la Russia abbia bisogno di ridurre la dipendenza dal gas, non molto inferiore a quella saudita dal petrolio, tuttavia il Cremlino preferisce stringere la presa sugli idrocarburi. Nel suo entusiastico lancio il principe Salman si era sbilanciato troppo promettendo che già dal 2020 il suo paese avrebbe potuto vivere senza petrolio.

 

Così non è stato e non solo per la pandemia, ma per la estrema difficoltà di un cambiamento tanto radicale che, non va dimenticato, suscita notevoli resistenze e reazioni contrarie. Mega opere e brusche svolte si accompagnano a regimi autoritari. Senza dimenticare i colossal fascio-nazisti o staliniani, c’è il terzo ponte sul Bosforo voluto da Recep Tayyip Erdogan e realizzato dalla italiana Astaldi, che ridicolizza la paralizzante querelle sullo stretto di Messina riproposta anche nel recovery plan. Tuttavia, anche il decisionismo dei dittatori partorisce cattedrali nel deserto (il ponte, tra l’altro, verrà gestito da una cordata cinese). I Gosplan sovietici non hanno mai funzionato, al contrario delle quattro modernizzazioni di Deng Xiaoping. Proprio la Cina dimostra nel bene e nel male che i grandi progetti hanno successo se rispondono a bisogni forti della società e del paese. Intere città edificate lungo la costa si sono svuotate perché è in corso il controesodo, persino molte delle meraviglie create a Pechino per le olimpiadi del 2008 languono annerite dall’inquinamento. 

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

È sempre la legge della domanda e dell’offerta, vale per la politica come per l’economia. Poi c’è la questione centrale: i diritti delle persone, nello specifico del popolo saudita. Il principe a caccia di un rilancio fa qualche sporadica azione cosmetica come quella delle donne alla guida. I resoconti raccontano di torture in carcere, di esecuzioni sommarie, di condizioni di vita misere e schiacciate dalla paura. L’uccisione del giornalista Jamal Kashoggi nel consolato saudita in Turchia ci ha mostrato questa brutalità, che nel paese è quotidiana. Le grandi opere di bin Salman non hanno a bilancio il costo umano perché è per il principe irrilevante. Il guaio è quando, nel gioco ipocrita dei rinfacci, i diritti umani servono solo per accuse di basso cabotaggio, ma non interessano a nessuno dei nostri politici italiani.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ