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Joe Biden non può permettersi di fare il finto scemo con i sauditi e i russi

Daniele Ranieri

L'arrivo dei dem alla Casa Bianca non distende le relazioni con il resto del mondo, ci sono questioni micidiali rimaste in sospeso durante il mandato di Trump

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In teoria l’arrivo di un’Amministrazione democratica negli Stati Uniti dovrebbe equivalere a relazioni più distese con il resto del mondo. In pratica non è così perché in questi anni Donald Trump ha coperto alcune situazioni critiche e ora che c’è Joe Biden non si può più fare finta di niente. Vedi la Russia di Vladimir Putin e il principe ereditario al trono saudita Mohammed bin Salman. Il giorno prima della grande festa d’insediamento di Biden a Washington la nuova direttrice dell’intelligence nazionale, Avril Haines, è andata al Senato per l’audizione di conferma e ha detto che pubblicherà il rapporto della Cia sull’uccisione a Istanbul di Jamal Khashoggi. Khashoggi come si ricorderà era un saudita che scriveva editoriali per il Washington Post e per sposarsi aveva bisogno di documenti che andò a chiedere al consolato saudita in Turchia. Non sapeva che era una trappola, una squadra di sauditi lo aspettava per immobilizzarlo, ucciderlo e farlo a pezzi con un seghetto da autopsie. La squadra volava con aerei di stato ed era formata da uomini molto vicini a Bin Salman. Nessuno lì dentro però sapeva che i turchi avevano piazzato delle microspie e avevano registrato tutto. Era il 2 ottobre 2018, il caso si prese molto spazio sui media. Sei settimane dopo la Cia passò sottobanco al Washington Post le conclusioni di un suo rapporto che accusa il principe Bin Salman di essere il mandante dell’omicidio. Quel rapporto però non è mai stato reso pubblico. Quando Gina Haspel, la direttrice della Cia, andò a presentarlo a porte chiuse al Senato, i senatori – inclusi i repubblicani – uscirono dicendo che se si fosse trattato di un processo per incriminare Bin Salman “sarebbe finito in trenta minuti”. Ma il presidente era Donald Trump, che considera l’alleanza fortissima con i sauditi un punto irrinunciabile della sua politica estera. Trump non voleva sentire ragioni quando si parlava di Bin Salman e non gli importava nulla se fosse colpevole oppure no. “Gli ho salvato il culo”, si vantava con i suoi, secondo l’ultimo libro di Bob Woodward. A pensarci era un fatto bizzarro, perché durante tutta la campagna elettorale i propagandisti di Trump avevano insistito sul fatto che non si poteva votare per Hillary Clinton perché era compromessa con i sauditi, al contrario del suo sfidante. Si sa: vale dire tutto. 

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In teoria l’arrivo di un’Amministrazione democratica negli Stati Uniti dovrebbe equivalere a relazioni più distese con il resto del mondo. In pratica non è così perché in questi anni Donald Trump ha coperto alcune situazioni critiche e ora che c’è Joe Biden non si può più fare finta di niente. Vedi la Russia di Vladimir Putin e il principe ereditario al trono saudita Mohammed bin Salman. Il giorno prima della grande festa d’insediamento di Biden a Washington la nuova direttrice dell’intelligence nazionale, Avril Haines, è andata al Senato per l’audizione di conferma e ha detto che pubblicherà il rapporto della Cia sull’uccisione a Istanbul di Jamal Khashoggi. Khashoggi come si ricorderà era un saudita che scriveva editoriali per il Washington Post e per sposarsi aveva bisogno di documenti che andò a chiedere al consolato saudita in Turchia. Non sapeva che era una trappola, una squadra di sauditi lo aspettava per immobilizzarlo, ucciderlo e farlo a pezzi con un seghetto da autopsie. La squadra volava con aerei di stato ed era formata da uomini molto vicini a Bin Salman. Nessuno lì dentro però sapeva che i turchi avevano piazzato delle microspie e avevano registrato tutto. Era il 2 ottobre 2018, il caso si prese molto spazio sui media. Sei settimane dopo la Cia passò sottobanco al Washington Post le conclusioni di un suo rapporto che accusa il principe Bin Salman di essere il mandante dell’omicidio. Quel rapporto però non è mai stato reso pubblico. Quando Gina Haspel, la direttrice della Cia, andò a presentarlo a porte chiuse al Senato, i senatori – inclusi i repubblicani – uscirono dicendo che se si fosse trattato di un processo per incriminare Bin Salman “sarebbe finito in trenta minuti”. Ma il presidente era Donald Trump, che considera l’alleanza fortissima con i sauditi un punto irrinunciabile della sua politica estera. Trump non voleva sentire ragioni quando si parlava di Bin Salman e non gli importava nulla se fosse colpevole oppure no. “Gli ho salvato il culo”, si vantava con i suoi, secondo l’ultimo libro di Bob Woodward. A pensarci era un fatto bizzarro, perché durante tutta la campagna elettorale i propagandisti di Trump avevano insistito sul fatto che non si poteva votare per Hillary Clinton perché era compromessa con i sauditi, al contrario del suo sfidante. Si sa: vale dire tutto. 

 
Biden ha appena ordinato all’intelligence di scrivere un altro rapporto il più completo possibile questa volta sull’operazione gigantesca dei russi eseguita con successo a partire dal marzo 2020 per almeno sei mesi per infiltrarsi nei computer del governo e delle grandi aziende americane. Sono riusciti a piazzarsi in così tanti network che ci potrebbero volere anni per farli sloggiare, con una disinfestazione molto costosa. Si tratta di un’operazione ostile da manuale: è così estesa e aggressiva che impegna almeno mille tecnici specializzati russi e questo dovrebbe chiarire ogni possibile dubbio. Non è l’iniziativa di un ufficio dei servizi segreti, è una decisione che viene in modo diretto dal vertice del paese. Trump non voleva sentire parlare di Russia e ha ignorato la questione, che perdipiù è uscita quando lui era impegnato a contestare il risultato elettorale. Biden non può permettersi di ignorarla e ha detto che ci saranno conseguenze dure, ma entro due settimane deve negoziare un rinnovo con Mosca dell’ultimo trattato ancora in vigore sulle armi nucleari e quindi dovrà essere molto diplomatico. Così, mentre in Europa celebriamo la transizione perché pensiamo che Biden sarà molto più amichevole con noi di Trump – lo sarà, ma meno di quel che crediamo – ci sono altri pezzi di mondo che di colpo sono in rotta di collisione con Washington. 

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