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E’ la forza della democrazia ad aver vinto la battaglia di Capitol Hill

Celeste Marcus

Con l’elezione di Joe Biden gli amanti dei test di purezza di destra e di sinistra hanno perso. E cos’è il liberalismo se non il nostro scetticismo rispetto a questi test in politica?

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Liberties è una rivista trimestrale ideata dall’intellettuale americano Leon Wieseltier. Si occupa di dibattiti e idee e ospita autori internazionali. Il 23 febbraio uscirà il secondo numero su cui scrivono tra gli altri Rosanna Warren, Nicholas Lemann, Roberto Calasso, Paul Berman, lo stesso Wieseltier e Celeste Marcus, managing editor, che potete leggere in esclusiva per il Foglio su queste pagine.

 

 

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I valori e il credo americani sono migliori rispetto al popolo americano, e questa è la nostra gloria, la nostra vergogna. Non è passato nemmeno un giorno dalla fondazione di questo paese in cui l’America abbia soddisfatto in modo completo i propri ideali. Gli americani non sono persone migliori. A differenza di molte delle loro idee e istituzioni, non sono predisposti alla giustizia e alla decenza in modo eccezionale, né sono meno odiosi di altri. Siamo allo stesso tempo i campioni della bruttezza e i campioni della giustizia. Ci ammiriamo troppo e ci disprezziamo troppo. Siamo, in altre parole, umani. I fondatori americani hanno dedicato questo paese a una serie di principi universali, e così ci hanno arruolati come amministratori imperfetti di quei principi.

 

   

 

Nel 1776 la nostra identità nazionale fu concepita al servizio di quella che allora era una famiglia di idee appena articolata, non un’antica tradizione. Queste idee erano state usate per far cadere istituzioni vecchie e potenti, ma non erano mai state usate prima per costruire una nazione. Questo progetto è stato una scommessa radicale, un grande rischio. Aspiravamo a una nuova versione del concetto di nazione, che invitava un popolo composto da gruppi, stati e comunità a unirsi al servizio di un ideale illuminista; e man mano che la popolazione di questo paese aperto diventava più diversificata, la sfida diventava più grande. Oggi l’ideale dell’Illuminismo si chiama liberalismo. Questo paese sta ancora testando questo modello (e per estensione qualsiasi modello così concepito). L’identità americana contiene al suo interno una contraddizione, una tensione essenziale tra lo spirito liberale che è alla base del suo sistema di governo e l’illiberalismo di buona parte dei suoi cittadini – un animo poco generoso e bigotto, basato su una cultura e degli interessi che, come in tutti i paesi, vanno e vengono.

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Questa tensione s’è infiammata quando l’anima liberale ha vinto, ed è accaduto molte volte. Ogni passo verso il progresso porta con sé una reazione, un costo: la più drammatica delle reazioni nella storia moderna del paese si è verificata nella prima settimana di quest’anno, quando la vittoria di Joe Biden, un clamoroso trionfo del liberalismo, è stata accolta con violente rappresaglie nel sanctum sanctorum della nostra democrazia. Il 6 gennaio, per interrompere il conteggio dei voti elettorali, processo che sarebbe inevitabilmente culminato nella vittoria ufficiale di Joe Biden, una folla ha fatto breccia nella capitale e ha perpetrato un vergognoso assalto populista. Mancavano solo i forconi, anche se la folla portava armi molto più letali. Chi di noi stava assistendo al conteggio prima che iniziasse l’assalto è rimasto esterrefatto. Non ce lo aspettavamo e noi, come le forze di sicurezza incaricate di proteggere la capitale, eravamo impreparati. Questi rivoltosi non avevano alcun piano a lungo termine per ribaltare i risultati delle elezioni. Anche prima che iniziasse il loro attacco, non esisteva alcuna strada per la vittoria perché avevano già perso. Mesi fa una significativa maggioranza dell’elettorato americano si era radunata dietro l’unico candidato spudoratamente dedito agli ideali liberali e all’unità di questo tormentato paese. A novembre abbiamo scoperto che una maggioranza incontrovertibile di elettori americani sostiene un leader liberale, e a gennaio abbiamo scoperto che il nostro sistema democratico è abbastanza potente da proteggere la scelta di quella maggioranza.

 

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Credo che, proprio come il “movimento” trumpiano ha sempre avuto al proprio interno elementi marginali in grado di portare a termine atti violenti come quelli infine commessi al Campidoglio, il sistema sia sempre stato abbastanza forte da resistere a quella minaccia. Ho creduto a entrambe queste cose negli ultimi quattro anni, ma non si sono dimostrate vere fino a quella notte indimenticabile. Avevamo motivo di temere che il sistema cedesse, e quelli più inclini a sostenere questo pericolo ripetevano che in passato erano state le proteste di sinistra a sfociare nella violenza anti americana. Da quel giorno tuttavia, la veridicità di entrambi questi fatti, la forza della nostra Repubblica e l’orrenda capacità del nostro quarantacinquesimo presidente, è diventata fuori discussione. Nemmeno Mitch McConnell, leader del Partito repubblicano al Senato, è stato in grado di negare l’ orribile spirito antidemocratico che permea la fazione di Trump. L’insurrezione del 6 gennaio – la battaglia di Capitol Hill – non è stato un tentativo di colpo di stato o una rivoluzione.

 

 

 

Negli ultimi due mesi nei tribunali di tutto il paese Donald Trump e i suoi amici avevano intentato numerose cause nel tentativo di utilizzare il sistema giudiziario per rovesciare l’elezione di Biden. Nessuno di questi tentativi è riuscito. Ogni fallimento ha anzi offerto un’ulteriore prova della legittimità della vittoria di Biden (non mi stancherò mai di leggere che alcuni dei giudici che hanno gestito questi casi erano di nomina conservatrice). L’insurrezione è stata solo una rivolta politica, un attacco selvaggio e sciatto alla democrazia americana commesso per volere di un presidente disperato e senza principi che era stato sconfitto dalla pratica democratica. E’ stata anche una prevedibile conclusione del mandato presidenziale di Donald Trump. La logica degli anni trumpiani si è così mostrata a tutti: è questo, abbiamo scoperto, che accade quando una forza illiberale ottiene il potere politico in questa democrazia, e poi lo perde. Eppure orrore e shock non sono le uniche conclusioni appropriate. L’eroe di quel giorno non è certo stato Donald Trump, ma nemmeno Joe Biden: gli eroi erano gli uomini e le donne del Congresso degli Stati Uniti, i rappresentanti eletti della nostra legislatura – nei giorni ordinari noiosi e meschini, eppure in quel giorno eroi. Poche ore dopo essere stati attaccati, sono tornati in aula per fare il loro lavoro.

 

E’ stato lo stesso governo americano a respingere la folla, non con la forza ma con la legge, quando è tornato al lavoro. Il loro lavoro notturno era uno spettacolo emozionante. Era stato fatto un tentativo di interferire con la procedura democratica più fondamentale di tutte, e quella stessa sera, attraversando le stanze vandalizzate, calpestando i vetri rotti, scossi nel profondo, i membri del Congresso si sono riuniti di nuovo e la pratica è stata completata. Questa è la storia, l’epopea, del 6 gennaio 2021. Il sistema era buono e il sistema era forte. Ma l’orrore americano contemporaneo non è iniziato né finito in quel giorno inquietante. L’integrità del progetto americano, la santità del nostro ideale, è stata degradata e profanata negli ultimi quattro anni. Il vistoso disprezzo di Trump per questa santità secolare è una macchia sul nostro paese. Il suo disprezzo per il ruolo del presidente è diventato più evidente e incontrovertibile dopo che gli elettori gli hanno tolto l’incarico, ma non è nato già fatto e formato nella sua testa nel novembre dello scorso anno. Ha plasmato il suo intero mandato, ha avvelenato il governo americano e, negli ultimi quattro anni, lo ha reso sempre più inefficace. La rivolta contro il Campidoglio è stato il parossismo finale della sua lunga guerra contro il nostro sistema democratico, una guerra simbolica contro la santità delle nostre istituzioni, nonché una guerra molto concreta contro la salute e la forza del nostro governo. La maggior parte del danno che Trump ha commesso contro il sistema americano non è stata fatta il 6 gennaio 2021 ma il 20 gennaio 2017, quando ha prestato giuramento. Tutto è seguito da lì. Il veleno ha fatto il suo lavoro e sarà compito erculeo di Biden riabilitare ciò che Trump ha paralizzato e riportare efficacia e leadership.

 

Quindi il miglior risultato possibile si è effettivamente realizzato: Donald Trump ha perso le elezioni e sarà privato del potere. Una nuova Amministrazione è pronta a entrare in carica e iniziare il lavoro di districare il nostro paese dalle nostre numerose crisi. Ma io scrivo da Washington e per le strade fuori dalla mia finestra è impossibile sfuggire all’inquietante miscuglio di ottimismo e presagio. Una nuova tensione di inquietudine tinge il silenzio in cui il Covid-19 tanto tempo fa ha immerso la città. Viviamo con i nervi a fior di pelle e ci prepariamo alla possibilità di un nuovo orrore. Sappiamo di poter essere fiduciosi, ma nei giorni precedenti l’inaugurazione di Biden il terrore si è diffuso nella capitale come un agente patogeno e non esiste ancora un vaccino per questo virus. Abbiamo motivo di avere paura. Non possiamo, come piace dire agli americani “just get over it” e “move on”, andiamo avanti e via. Ci è successo qualcosa di catastrofico, un trauma che ci è stato provocato dal nostro stesso presidente. E i vigilantes neofascisti hanno minacciato di tornare. I funzionari dell’intelligence incaricati di monitorare i siti web militanti di estrema destra hanno sollevato preoccupazioni sulla probabilità di attacchi più violenti. Airbnb ha deciso di annullare tutte le prenotazioni nell’area effettuate dal 15 gennaio al 21 gennaio o dopo tale data da utenti sospettati di essere membri di gruppi estremisti. Alcuni hotel sono stati chiusi in modo da non dover accettare prenotazioni da persone che potrebbero essere arrivate nella capitale con intenti violenti.

 

  

 

Altri si stanno riempiendo di Guardie nazionali, 15 mila nella settimana prima dell’inaugurazione e in crescita. I capi dell’esercito hanno ordinato a 20 mila membri della Guardia nazionale di essere sul posto mentre Biden presta giuramento. Truppe armate nelle strade per un’inaugurazione americana! Naturalmente diamo loro il benvenuto. La loro presenza non è un’occupazione, è una difesa della democrazia in tempi bui. Ma il male che ha dato vita a questa insurrezione non può essere respinto con la forza fisica, con le armi. Quando la cerimonia sarà finita e torneremo tutti ai nostri rispettivi newsfeed e giornali preferiti, è del tutto probabile che le divisioni tettoniche su cui si trova questo paese rimarranno, e persino si approfondiranno. I militanti della sinistra e i militanti della destra continueranno a predicare la rabbia l’aria apocalittica diventerà sempre più densa. C’è così tanto lavoro da fare. Joe Biden non è un messia, grazie a Dio. Si considera un amministratore, non un santo. E proprio ora, in questo momento indescrivibilmente agitato, la gestione responsabile è la più alta forma di leadership a cui possiamo aspirare.

 

L’America è stata fortunata, nel più grande colpo di scena degli ultimi quattro anni: abbiamo portato un brav’uomo a candidarsi alla presidenza. La sua dignità e la sua umiltà sono evidenti e sono il balsamo di cui abbiamo bisogno. Biden non è né troppo puro né troppo orgoglioso per non scendere a compromessi o dal suo piedistallo e lavorare con tutti. Ci sono stati periodi nella nostra storia in cui il paese aveva bisogno di un supereroe, ma oggi ne siamo stufi. Biden ha vinto perché gli americani sono stanchi delle febbri di entrambe le parti. Siamo stanchi della rabbia e del vetriolo, dell’assenza di giustizia e, soprattutto, della cattiveria incessante. Con l’elezione di Joe Biden i “puri”, di entrambe le parti, hanno perso la presidenza, e cos’è il liberalismo se non lo scetticismo sulla purezza in politica? Nell’America binaria, Biden ha sicuramente il suo bel da fare. Non ci sarà alcun interregno tra Trump e Biden, nessuna pausa storica in cui il paese possa calmarsi e ricomporsi. La storia non ha pause. E così, a partire dal 21 gennaio, il nuovo presidente dovrà fare il miracolo: mostrarci come parlare alle persone con cui non siamo d’accordo. Dice che sa come farlo. Vedremo.

 

Nei prossimi quattro anni ci sarà una lotta sull’anima di Biden all’interno del Partito democratico. La fazione più radicale, prendendo spunto dai media e dalle bolle alimentate da Twitter, lotterà duramente per il dominio. Quel tentativo avrà successo se le bolle speculari di estrema destra continueranno a esercitare il potere che ha gonfiato Trump e se la leadership repubblicana si rifiuterà di abbassare la temperatura nel suo partito e lavorare per il compromesso. Quand’è stata l’ultima volta che un politico americano ha scelto ciò che era giusto per il paese rispetto a ciò che era prudente per il suo partito? La prossima Amministrazione dovrà ricostruire il governo e riabilitare il paese allo stesso tempo, e dovrà farlo immediatamente. E poi ci sono le sfide globali da affrontare. Dobbiamo governare le nostre crisi interne nello stesso momento in cui riprendiamo una posizione appropriata e necessaria di leadership globale – un altro compito che ci è stato sottratto da Donald Trump. Le forze illiberali fuori dai nostri confini non stanno prendendo pause. La Cina è in marcia. Non intendo dire che dobbiamo diventare di nuovo “eccezionali”. Ma gli ultimi quattro anni – e in qualche modo gli ultimi dodici anni – hanno mostrato come appare il mondo in assenza della leadership americana. Non è una bella immagine.

 

La questione dell’eccezionalismo americano è noiosa. No, gli americani non sono eccezionali. Abbiamo i nostri demoni contro i quali dobbiamo lottare. Ma i nostri demoni non sono tutto ciò che siamo. I principi su cui è stato fondato questo paese sono eccezionali. Sono parte delle glorie della civilizzazione, anche se a volte le disonoriamo. I più grandi leader americani si sono impegnati al servizio di quei principi, che è lo stesso impegno che il Congresso ha esemplificato la notte dell’insurrezione. I nostri rappresentanti sono tornati in Campidoglio e hanno rimesso in piedi ciò che era stato profanato. Hanno purificato il tempio. Difendevano la tradizione liberale. In nome della Costituzione, hanno promulgato una ricostituzione. E così dobbiamo noi, come società. Se ci riusciamo, possiamo fare un bene incommensurabile, e se falliamo, avremo causato danni incommensurabili. Questo è vero oggi come lo era nel 1776. Questa è la nostra benedizione, questo e il nostro fardello.

 

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