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A Tunisi continuano le rivolte

Arianna Poletti

Esercito nelle strade e seicento arresti in Tunisia, il lockdown anti proteste politiche non funziona

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Tunisi. In Tunisia sta accadendo quello che le autorità temevano. A partire dal 14 gennaio, giornata di festa nazionale per l’anniversario della rivoluzione, il governo di Hichem Mechichi ha imposto un lockdown per un periodo di quattro giorni e ha annullando numerose manifestazioni organizzate nel paese. Da inizio gennaio i contagi da Covid-19 sono tornati ad aumentare: un tampone su tre risulta positivo e gli ospedali sono al collasso. La decisione di imporre un lockdown il giorno del decimo anniversario della rivoluzione, una data simbolica in Tunisia, divide la società civile: se una parte la considera come puramente politica – un modo per evitare disordini – c’è invece chi sottolinea il rischio sanitario rappresentato dai grandi assembramenti (nella capitale era prevista una manifestazione con più di duemila persone).

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Tunisi. In Tunisia sta accadendo quello che le autorità temevano. A partire dal 14 gennaio, giornata di festa nazionale per l’anniversario della rivoluzione, il governo di Hichem Mechichi ha imposto un lockdown per un periodo di quattro giorni e ha annullando numerose manifestazioni organizzate nel paese. Da inizio gennaio i contagi da Covid-19 sono tornati ad aumentare: un tampone su tre risulta positivo e gli ospedali sono al collasso. La decisione di imporre un lockdown il giorno del decimo anniversario della rivoluzione, una data simbolica in Tunisia, divide la società civile: se una parte la considera come puramente politica – un modo per evitare disordini – c’è invece chi sottolinea il rischio sanitario rappresentato dai grandi assembramenti (nella capitale era prevista una manifestazione con più di duemila persone).

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Che il governo sia mosso da ragioni politiche o sanitarie (o entrambe), lockdown e coprifuoco anticipato dalle otto di sera alle quattro del pomeriggio hanno esacerbato la tensione sociale in un paese che affronta la peggiore crisi economica dai tempi della sua indipendenza nel 1956, ottenendo l’effetto opposto a quello sperato. Le prime proteste sono scoppiate a Siliana, città del nord-ovest della Tunisia, nel pomeriggio del 15 gennaio. Un gruppo di ragazzi è sceso in piazza dando fuoco a cassonetti della spazzatura e pneumatici a seguito della diffusione di un video che mostra un poliziotto malmenare un pastore. Come spesso accade, l’effetto domino ha portato centinaia di giovani a violare il coprifuoco e scendere per strada la notte successiva, quella del 16 gennaio. Gli scontri hanno avuto luogo in almeno venti località delle regioni interne, ma anche nei quartieri periferici delle grandi città, dove si è assistito a scene di guerriglia urbana tra manifestanti e polizia. Per la terza notte di scontri, il ministero della Difesa ha deciso di schierare l’esercito in quattro governatorati: Siliana, Kasserine, Bizerte e Sousse. Il bilancio è di più di seicento arresti in meno di 48 ore secondo il ministero dell’Interno, quasi tutti giovani, molti minorenni.

 

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I video delle proteste hanno cominciato a circolare su Instagram e TikTok, mentre il telegiornale della televisione nazionale Watanya continua a non riportare la notizia. Sui social network fa discutere il silenzio del Presidente della Repubblica, eletto proprio con i voti dei giovani delle regioni marginalizzate. Kais Saied non appare pubblicamente da giorni e non ha rilasciato alcuna dichiarazione né sulle proteste in corso né sul decimo anniversario della rivoluzione. Quanto al governo, il premier Hichem Mechichi ha annunciato durante il lockdown un maxi rimpasto con undici nuovi ministri con dicasteri importanti, tra cui Giustizia, Interno e Sanità. Nel frattempo, il 18 gennaio, le proteste hanno raggiunto il centro di Tunisi, dove la folla si è diretta verso Avenue Bourguiba, il viale simbolo della rivoluzione del 2011, scandendo “è aumentata la miseria, è aumentata la fame”.

 

Dai tempi della rivoluzione, il mese di gennaio è caratterizzato da un aumento dei movimenti sociali nel paese, che però si limitavano generalmente alle regioni meridionali e interne. Nell’ultimo anno le condizioni di vita dei tunisini si sono notevolmente degradate a causa delle ripercussioni della pandemia su un paese in crisi strutturale, strettamente dipendente dagli aiuti internazionali. Il Pil della Tunisia si è contratto del 9,2 per cento nel 2020. Il tasso di disoccupazione è cresciuto di tre punti percentuali (da 15 a 18 per cento), ma metà dell’economia tunisina continua a sfuggire alle statistiche perché costituita dal settore informale. Il Parlamento ha approvato a fine dicembre la nuova legge finanziaria prevedendo un deficit di 8 miliardi di dinari, pari al 7 per cento del Pil. Per far fronte alla crisi, la Tunisia si è nuovamente rivolta al Fondo monetario internazionale, i cui finanziamenti non sono però a fondo perduto ma devono corrispondere ad un programma di riforme che si traduce in nuovi tagli dei sussidi statali e dei salari con conseguente perdita del potere d’acquisto per la popolazione. I negoziati con il Fmi si sono conclusi con un nulla di fatto in primavera, ma sono in corso nuove discussioni. L’8 gennaio il premier Mechichi ha annunciato che è stata raggiunta un’intesa e che il governo è pronto a portare avanti le riforme necessarie.

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