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L'intervista

La forza della democrazia contro lo stato di emergenza permanente

Il rapporto dei governi con il fallimento, Putin e la paura delle trasgressioni e il grande dispetto fatto agli Stati Uniti: normalizzarli

Micol Flammini

L'Europa in questa crisi ha trovato la soluzione a tante discussioni del passato, ma la tenuta dei suoi sistemi si vedrà quando finirà la pandemia. Il barometro dei cambiamenti sarà l'America stravolta dal virus e da Trump. Parla Ivan Krastev

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Roma. Come ne uscirà il genere umano da questa pandemia, è una delle domande che ci siamo posti più spesso. Durante la prima ondata si affermava con sicurezza che ne saremmo usciti migliori, durante la seconda la certezza sembra essere scomparsa e con essa anche la domanda. Meglio non porla, la risposta potrebbe non piacerci. Ivan Krastev, politologo, presidente del Centro di strategie liberali a Sofia e opinionista del New York Times, si è invece domandato come ne usciranno le nostre democrazie e le ipotesi, offerte attraverso il racconto di sette paradossi, sono diventate un libro: “Lezioni per il futuro” (Mondadori). Bilanci, Krastev ancora non ne traccia, “è presto”, dice al Foglio, “bisogna aspettare che la pandemia finisca per capire come stanno le nostre democrazie dopo questa esperienza. In Europa è successa una cosa alla quale non eravamo abituati: i governi si sono ritrovati con molto potere di interferire nella vita privata dei cittadini. La mascherina, il distanziamento, il divieto di uscire hanno generato due reazioni. Qualcuno l’ha visto come un modo per reprimere la libertà, altri invece hanno sospirato: ecco, finalmente il governo si prende delle responsabilità”. Non eravamo abituati a sentirla così forte la presenza delle istituzioni, e all’improvviso sono diventate un appuntamento costante. I governi erano entità impercettibili, durante la pandemia sono diventati forti e visibili, onnipresenti. In alcuni casi le democrazie hanno imposto restrizioni anche più forti dei regimi e anzi, alcuni paesi come la Russia, dai quali ci si sarebbe aspettati una risposta forte contro il virus, si sono dimostrati molto meno incisivi di tanti paesi europei. “In Russia, questa è stata la prima crisi in cui Vladimir Putin ha fatto di tutto per non essere visto come quello seduto dalla parte del conducente, in quelle precedenti parlava, viaggiava, arringava. Da marzo si è rinchiuso e ha lasciato che fossero gli altri, i sindaci, i governatori locali, quelli più esposti. E’ una reazione insolita, ma si spiega con un principio semplice. Se in una democrazia il governo mette l’obbligo di mascherina o di non uscire di casa, e l’obbligo viene trasgredito, non è vissuto come un fallimento, ma è la normalità. In un regime autoritario il fallimento, il non essere ascoltato non è contemplato perché la disobbedienza gli toglie ogni legittimazione. E’ per questo che molti regimi autoritari sono stati cauti nell’implementare le loro restrizioni. La democrazia è un sistema che sopravvive e ragiona sui fallimenti, il regime no. La Russia si è dimostrata flessibile e il Cremlino ha cercato di far sentire la sua presenza su altri piani”. Per esempio registrando per prima il vaccino contro il Covid-19, nonostante i dubbi della comunità scientifica internazionale. Secondo Krastev le trasformazioni ci saranno e le democrazie dimostreranno di essere state più resistenti dei regimi nel gestire la crisi quando ne usciranno. “La vera prova per i nostri sistemi democratici sarà quando dovranno fare una distinzione tra emergenza e normali funzioni istituzionali. Credo che sia importante che i governi diano risposte efficaci in questo momento di crisi, ma bisogna stare attenti che alcuni paesi non cerchino di istituzionalizzare lo stato di emergenza”. Chi terrà gli eccessi avrà fallito, dice il politologo per il quale quando tutto sarà finito bisognerà anche cercare di rimettere insieme i pezzi delle nostre società divise. “Si pensava che il momento difficile unificasse, non è stato così. In modo particolare negli Stati Uniti”. 

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Roma. Come ne uscirà il genere umano da questa pandemia, è una delle domande che ci siamo posti più spesso. Durante la prima ondata si affermava con sicurezza che ne saremmo usciti migliori, durante la seconda la certezza sembra essere scomparsa e con essa anche la domanda. Meglio non porla, la risposta potrebbe non piacerci. Ivan Krastev, politologo, presidente del Centro di strategie liberali a Sofia e opinionista del New York Times, si è invece domandato come ne usciranno le nostre democrazie e le ipotesi, offerte attraverso il racconto di sette paradossi, sono diventate un libro: “Lezioni per il futuro” (Mondadori). Bilanci, Krastev ancora non ne traccia, “è presto”, dice al Foglio, “bisogna aspettare che la pandemia finisca per capire come stanno le nostre democrazie dopo questa esperienza. In Europa è successa una cosa alla quale non eravamo abituati: i governi si sono ritrovati con molto potere di interferire nella vita privata dei cittadini. La mascherina, il distanziamento, il divieto di uscire hanno generato due reazioni. Qualcuno l’ha visto come un modo per reprimere la libertà, altri invece hanno sospirato: ecco, finalmente il governo si prende delle responsabilità”. Non eravamo abituati a sentirla così forte la presenza delle istituzioni, e all’improvviso sono diventate un appuntamento costante. I governi erano entità impercettibili, durante la pandemia sono diventati forti e visibili, onnipresenti. In alcuni casi le democrazie hanno imposto restrizioni anche più forti dei regimi e anzi, alcuni paesi come la Russia, dai quali ci si sarebbe aspettati una risposta forte contro il virus, si sono dimostrati molto meno incisivi di tanti paesi europei. “In Russia, questa è stata la prima crisi in cui Vladimir Putin ha fatto di tutto per non essere visto come quello seduto dalla parte del conducente, in quelle precedenti parlava, viaggiava, arringava. Da marzo si è rinchiuso e ha lasciato che fossero gli altri, i sindaci, i governatori locali, quelli più esposti. E’ una reazione insolita, ma si spiega con un principio semplice. Se in una democrazia il governo mette l’obbligo di mascherina o di non uscire di casa, e l’obbligo viene trasgredito, non è vissuto come un fallimento, ma è la normalità. In un regime autoritario il fallimento, il non essere ascoltato non è contemplato perché la disobbedienza gli toglie ogni legittimazione. E’ per questo che molti regimi autoritari sono stati cauti nell’implementare le loro restrizioni. La democrazia è un sistema che sopravvive e ragiona sui fallimenti, il regime no. La Russia si è dimostrata flessibile e il Cremlino ha cercato di far sentire la sua presenza su altri piani”. Per esempio registrando per prima il vaccino contro il Covid-19, nonostante i dubbi della comunità scientifica internazionale. Secondo Krastev le trasformazioni ci saranno e le democrazie dimostreranno di essere state più resistenti dei regimi nel gestire la crisi quando ne usciranno. “La vera prova per i nostri sistemi democratici sarà quando dovranno fare una distinzione tra emergenza e normali funzioni istituzionali. Credo che sia importante che i governi diano risposte efficaci in questo momento di crisi, ma bisogna stare attenti che alcuni paesi non cerchino di istituzionalizzare lo stato di emergenza”. Chi terrà gli eccessi avrà fallito, dice il politologo per il quale quando tutto sarà finito bisognerà anche cercare di rimettere insieme i pezzi delle nostre società divise. “Si pensava che il momento difficile unificasse, non è stato così. In modo particolare negli Stati Uniti”. 

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La pandemia ha tirato fuori dall’Unione europea una forza inaspettata, per Krastev, tante crisi del passato si sono riallineate. Tra europei abbiamo portato a conclusione discussioni vecchie, già fatte, sui confini, sul denaro, sulla sorveglianza, che solo adesso hanno trovato delle soluzioni. Gli europei hanno litigato, si sono arrabbiati, hanno fatto riunioni interminabili, ma l’Ue è arrivata e si è mostrata “una comunità di fede”. Non è accaduto così negli Stati Uniti, dove sono state prese tante decisioni sbagliate. “Il problema principale è stato come gli altri hanno letto questo fallimento, America è sinonimo della più grande democrazia del mondo e gli antidemocratici hanno cercato di dire: ‘guardatela, come fallisce la democrazia quando è in crisi’. Non è così, è ovvio, la democrazia non ha fallito, fallirà come sistema se non capirà quando è il momento di tornare a una condizione di pre emergenza”. Ma è vero che gli Stati Uniti li abbiamo visti soffrire più di altre nazioni in questi mesi, li abbiamo visti immobili, indecisi, e la scorsa settimana abbiamo assistito al culmine di questi anni sbandati che li hanno resi irriconoscibili. Una condizione che porta con sé lo strazio della pandemia e i quattro anni di Donald Trump alla Casa Bianca. “Gli Stati Uniti stessi si stanno chiedendo: ‘chi siamo?’. L’irruzione al Congresso per qualcuno è stata l’ultima battaglia della guerra civile americana, secondo altri la prima di una nuova guerra civile. Ma c’è dell’altro, la crisi identitaria si basa anche sull’eccezionalismo di cui gli americani si sono sempre sentiti portatori. Adesso sono stati colpiti su due lati della propria eccezionalità. Uno è quello dell’origine della democrazia americana, così grande e forte perché, al contrario di quelle europee, che democrazie sono diventate, non ha conosciuto altro: è nata democrazia. Il secondo riguarda la convinzione che certi eccessi generati da fascismo o comunismo non sarebbero mai potuti avvenire negli Stati Uniti. Trump ha reso l’America un paese normale, è stato questo il più grande dispetto che le ha fatto”. Un assalto al Parlamento, dice Krastev, può accadere ovunque, anche in Europa, ma Trump ha alzato il nostro livello di allerta e questo i partiti e i politici populisti europei che hanno cercato di prendere esempio da lui, lo sanno. 

 

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La tenuta della democrazia sarà la vera scommessa del post pandemia e l’America in questo momento è l’osservato speciale, è il grande barometro da tenere d’occhio per capire quali sono le possibilità che i nostri sistemi ne escano migliori o almeno non trasfigurati. Gli Stati Uniti hanno diverse ferite da curare, che hanno già portato ad almeno due cambiamenti: una certa deuropeizzazione e il mutamento di percezione del mondo nei confronti del potere americano: “In alcuni tratti gli Stati Uniti ricordano più la politica sudamericana di quella europea, la sinistra e la destra che stanno nascendo sono più simili a quelle dei paesi latinoamericani; Trump ha reso l'America più debole, non c’entra solo il Campidoglio, ma anche gli attacchi hacker degli ultimi tempi che hanno messo in pericolo le istituzioni. L’Amministrazione Biden adesso dovrà lavorare sapendo che si presenterà davanti al mondo come rappresentante di una nazione indebolita”. 

 

Joe Biden avrà un compito importante, ricostruire l’America dal virus e dai quattro anni che l’hanno preceduto. L’Unione europea ha iniziato molto prima questa ricostruzione, meno traumatica rispetto a quella americana. Le democrazie hanno molte possibilità per dimostrare di essere migliori, hanno fatto vedere che sono in grado di cambiare, di reinventarsi in un momento di crisi. Tornare alla normalità, per quanto ci apparirà ormai cambiata dal Covid, e non abituarsi alla gestione di emergenza, sarà la sfida che unirà tutti.

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