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Impeachment day

Alla Camera americana s’è consumato il divorzio fra Trump e i repubblicani

Paola Peduzzi

La messa in stato di accusa del presidente uscente ha costretto i repubblicani a fare quello che non volevano fare: schierarsi, contarsi, staccarsi

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L’impeachment day, il secondo dell’Amministrazione Trump, un altro record di questo mandato che diventerà “storico” per ragioni invero poco rassicuranti, è stato scandito dai lamenti dei repubblicani e dalle immagini belle e spaventose della Guardia nazionale dentro il Campidoglio – tantissime guardie, alcune che riposano – a ricordarci quel che è accaduto, e quel che alcuni temono possa accadere di nuovo il 20 gennaio. La Camera ha deciso di passare all’impeachment di Donald Trump dopo che il vicepresidente, Mike Pence, ha escluso di voler rimuovere il suo capo utilizzando l’articolo 25 e dichiarandolo “unfit” al governo. Il testo degli articoli che costituiscono i capi di imputazione della messa in stato di accusa è stato scritto da tre deputati democratici (uno è Jamie Raskin, del Maryland, che in questi giorni porta su di sé tutto il dramma di questa fase e molto di più, l’insurrezione politica e la morte di suo figlio, che si è suicidato pochi giorni fa a 25 anni) e ha costretto i repubblicani a fare quello che non volevano fare: schierarsi, contarsi, staccarsi da Trump oppure no. Il fatto che questo processo sia tardivo (eufemismo) è diventato un alibi per molti repubblicani: a cosa serve questo processo a pochi giorni dall’inaugurazione di Joe Biden? Serve, sostengono i democratici, e molti repubblicani la pensano allo stesso modo se il voto per l’impeachment è definito dai media “bipartisan”.

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L’impeachment day, il secondo dell’Amministrazione Trump, un altro record di questo mandato che diventerà “storico” per ragioni invero poco rassicuranti, è stato scandito dai lamenti dei repubblicani e dalle immagini belle e spaventose della Guardia nazionale dentro il Campidoglio – tantissime guardie, alcune che riposano – a ricordarci quel che è accaduto, e quel che alcuni temono possa accadere di nuovo il 20 gennaio. La Camera ha deciso di passare all’impeachment di Donald Trump dopo che il vicepresidente, Mike Pence, ha escluso di voler rimuovere il suo capo utilizzando l’articolo 25 e dichiarandolo “unfit” al governo. Il testo degli articoli che costituiscono i capi di imputazione della messa in stato di accusa è stato scritto da tre deputati democratici (uno è Jamie Raskin, del Maryland, che in questi giorni porta su di sé tutto il dramma di questa fase e molto di più, l’insurrezione politica e la morte di suo figlio, che si è suicidato pochi giorni fa a 25 anni) e ha costretto i repubblicani a fare quello che non volevano fare: schierarsi, contarsi, staccarsi da Trump oppure no. Il fatto che questo processo sia tardivo (eufemismo) è diventato un alibi per molti repubblicani: a cosa serve questo processo a pochi giorni dall’inaugurazione di Joe Biden? Serve, sostengono i democratici, e molti repubblicani la pensano allo stesso modo se il voto per l’impeachment è definito dai media “bipartisan”.

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Come si sa, il voto importante è quello del Senato, che non arriverà presto perché la richiesta di convocazione anticipata è stata rifiutata, ma contarsi alla Camera serve per chiarirsi meglio sui rapporti del futuro. Piaccia o no, democratici e repubblicani dovranno trovare un modo per andare d’accordo e dialogare, non solo perché lo vuole il presidente Biden ma perché le emergenze da gestire impongono che lo spirito bipartisan torni a essere una risorsa, non uno scarto. Secondo questa prima conta, il divorzio tra i repubblicani e Trump si è infine consumato: a darne pubblico annuncio è stata Liz Cheney, che ricopre la terza carica più importante dei repubblicani alla Camera e che ha detto che non c’è mai stato “un tradimento di questa portata da parte di un presidente”. Oltre ad attaccare Trump, cosa che aveva già fatto sui temi di sua competenza che riguardano la politica estera, la Cheney ha attaccato soprattutto il numero uno dei repubblicani, quel Kevin McCarthy che sperava di salvare tutto, il suo rapporto stretto con Trump e il futuro del partito, una puntata che gli è stata levata dal piatto dallo stesso Trump e che ora viene travolta dall’impeachment. I giornali raccontano di una rivalità feroce tra la Cheney e McCarthy, così come sono usciti racconti nuovi sulle liti tra Pence e Trump e sul disprezzo vendicativo di Nancy Pelosi, speaker dei democratici alla Camera, nei confronti dei trumpiani. “It’s personal”, ripetono molti, e sarà che si è toccato il fondo, sarà che l’assalto al Congresso ha cambiato tutto, sarà che si sta organizzando di tutto per evitarne un altro, ma le lotte personali suonano come il segnale più forte che sta tornando la normalità.

 

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