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Ultime battute

Aria di vendetta al Congresso

Trump difende la propria rabbia, ma i democratici vogliono che i repubblicani si contino uno a uno e dicano se difendono ancora il loro presidente, oppure no. Se volete vedere gli occhi del terrore imbarazzato cercate quelli di Kevin McCarthy

Paola Peduzzi

Il secondo impeachment divide e corrode, come fece anche il primo, ma questa volta ancora di più perché siamo all’ultimo miglio di Trump presidente e Joe Biden che predica l’unità e il dialogo non può iniziare il suo mandato con la guerra civile al Congresso

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Per giorni il presidente e il suo vicepresidente non si sono parlati, e anche se adesso il secondo fa sapere che le relazioni si sono ricomposte, la posta si alza di nuovo, per entrambi. Donald Trump aspetta la fine rabbioso, critica i democratici e difende le  parole dette prima dell’assalto al Congresso, le parole dell’istigazione,  ed esercita ancora il proprio potere dove e come può, cioè in politica estera, dichiarando Cuba sponsor del terrorismo per esempio, per rendere ancora più complicato l’inizio del suo successore, Joe Biden. Chi chiede le dimissioni immediate di Trump, come l’ex giornale amico (da qui in avanti sarà tutto un “ex”) Wall Street Journal, forse a questo pensava: non è tanto o troppo Twitter, è che continua a essere il commander in chief.

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Per giorni il presidente e il suo vicepresidente non si sono parlati, e anche se adesso il secondo fa sapere che le relazioni si sono ricomposte, la posta si alza di nuovo, per entrambi. Donald Trump aspetta la fine rabbioso, critica i democratici e difende le  parole dette prima dell’assalto al Congresso, le parole dell’istigazione,  ed esercita ancora il proprio potere dove e come può, cioè in politica estera, dichiarando Cuba sponsor del terrorismo per esempio, per rendere ancora più complicato l’inizio del suo successore, Joe Biden. Chi chiede le dimissioni immediate di Trump, come l’ex giornale amico (da qui in avanti sarà tutto un “ex”) Wall Street Journal, forse a questo pensava: non è tanto o troppo Twitter, è che continua a essere il commander in chief.

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Il suo vice, fedele e sostanzialmente silente finora Mike Pence, si ritrova invece chiamato a gestire questo fine mandato, cioè la rabbia presidenziale e la rabbia di tutti gli altri: i democratici gli hanno chiesto di applicare l’articolo 25 che dichiara “unfit” Trump, altrimenti si va dritti all’impeachment, il secondo a uno stesso presidente, mai successo prima. Il secondo impeachment divide e corrode, come fece anche il primo, ma questa volta ancora di più perché siamo all’ultimo miglio di Trump presidente e Joe Biden che predica l’unità e il dialogo non può iniziare il suo mandato con la guerra civile al Congresso. In altre parole: conviene l’impeachment? E se i democratici poi ne perdono due sue due, di impeachment, che succede?

 
Sull’Atlantic James Fallows aiuta a mettere in fila cause ed effetti illustrando un principio semplice: ognuno faccia la sua parte. In sostanza il presidente Biden deve mettersi al lavoro sulle cose importanti – la pandemia, la crisi economica – e lasciare che l’impeachment arrivi al risultato che i democratici si erano già posti al primo giro: trasformare la messa in stato d’accusa in una resa dei conti interna ai repubblicani. Il processo è già avviato: basta guardare le dichiarazioni (e il terrore negli occhi) di Kevin McCarthy, il capo dei repubblicani al Congresso. McCarthy parla di unità, dice che un impeachment adesso infiammerebbe definitivamente i rapporti tra i conservatori e con i democratici, mentre questo Parlamento si è appena insediato, deve pensare a lavorare bene in futuro. Quando scrive ai colleghi che “il paese deve tornare sul suo percorso di unità, civiltà e cortesia” e l’impeachment va nella direzione opposta, l’imbarazzo appare chiaro, e infatti Trump non viene mai nominato. La via che propone McCarthy – e quelli come lui che non vogliono abbandonare Trump ma allo stesso tempo non possono ignorare quel che è accaduto al Congresso – è quella della censura, una via di mezzo per non doversi schierare proprio ora quando ancora tutta la procedura dell’impeachment può rivelarsi l’ennesima mossa sbagliata dei democratici, che con il loro accanimento rischiano di rendere Trump quel che lui vorrebbe: la vittima.

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Fallows dice: Biden e la sua vice, Kamala Harris, “non possono permettersi di guardare indietro”, il loro compito principale è quello di gestire le emergenze, anche se inevitabilmente la Harris, nel suo nuovo ruolo di arbitro del Senato in cui i partiti sono in equilibrio perfetto (proprio lei che voleva lasciare il Senato e occuparsi d’altro), sarà coinvolta nelle liti sulla gestione di Trump anche dopo l’inaugurazione. Per tutti gli altri, invece, è necessario guardare indietro e regolare i conti. In questo modo il Partito democratico potrebbe sollevare il proprio presidente dal compito ingrato di gestire il suo predecessore, mentre il Partito repubblicano potrebbe chiarirsi le idee su quel che vuole diventare: una succursale postuma di Trump (o forse sarebbe meglio dire: dei Trump) o un partito che prova a ricostruirsi recuperando quel che c’era prima dell’arrivo del trumpismo. O due partiti nuovi, l’ipotesi non è esclusa.

  
Quel che non conta Fallows nella sua analisi impeccabile sugli interessi e sugli obiettivi di tutti gli interlocutori è quello che invece trapela da ogni frase, da ogni sguardo, di qui e di là, dietro la nebbia di una rabbia che non cala: la voglia di vendicarsi, a ognuno la propria vendetta.
 

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