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E se non si rispettano le restrizioni?

Gran caos nel Regno Unito sulla responsabilità dei cittadini nell'osservare le regole del lockdown. I controlli nei supermercati e la fazione di chi dice: ci vuole più severità ancora

Paola Peduzzi

Poiché imporre nuove chiusure di negozi e attività ha un impatto economico molto forte e più si va avanti insostenibile, il governo mette in dubbio la capacità e la volontà dei cittadini di assumersi una responsabilità collettiva

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Da qualche giorno i giornali britannici ripetono una domanda: che succede se ora gli inglesi esausti non rispettano le regole rigide del lockdown? Circola uno studio – lo ha fatto il giornalista del Sunday Times Tom Calver analizzando i dati sulla mobilità di Apple – che indica che il traffico (anche pedonale) è più alto rispetto al marzo scorso, in alcuni centri in modo talmente significativo che viene da dire: non lo rispetta più nessuno, questo lockdown. Naturalmente i dati vanno presi con cautela perché, per fare un esempio, comprendono anche le camminate che non sono vietate e perché ci sono molti posti di ristorazione che offrono l’asporto. Ma il governo è molto preoccupato: lo scienziato-consigliere Chris Whitty dice che il sistema sanitario rischia il collasso se le misure restrittive non vengono rispettate; il ministro per i Vaccini, Nadhim Zahawi, ha detto: “Se dovete uscire, fatelo solo per fare ginnastica, altrimenti state a casa. Sono le interazioni sociali che favoriscono il virus, e dobbiamo evitarle”. Tra politici e commentatori si è venuta a creare una nuova frattura: chi dice che bisogna trovare il modo di far rispettare le regole e chi ne vuole introdurre altre ancora più restrittive. La prima fazione ha ottenuto che venga presa in considerazione l’ipotesi che le guardie nei supermercati abbiano l’obbligo di controllare che le misure di distanziamento siano rispettate. La seconda fazione si è trovata a discutere nuovamente del conflitto tra libertà personale e responsabilità collettiva.

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Da qualche giorno i giornali britannici ripetono una domanda: che succede se ora gli inglesi esausti non rispettano le regole rigide del lockdown? Circola uno studio – lo ha fatto il giornalista del Sunday Times Tom Calver analizzando i dati sulla mobilità di Apple – che indica che il traffico (anche pedonale) è più alto rispetto al marzo scorso, in alcuni centri in modo talmente significativo che viene da dire: non lo rispetta più nessuno, questo lockdown. Naturalmente i dati vanno presi con cautela perché, per fare un esempio, comprendono anche le camminate che non sono vietate e perché ci sono molti posti di ristorazione che offrono l’asporto. Ma il governo è molto preoccupato: lo scienziato-consigliere Chris Whitty dice che il sistema sanitario rischia il collasso se le misure restrittive non vengono rispettate; il ministro per i Vaccini, Nadhim Zahawi, ha detto: “Se dovete uscire, fatelo solo per fare ginnastica, altrimenti state a casa. Sono le interazioni sociali che favoriscono il virus, e dobbiamo evitarle”. Tra politici e commentatori si è venuta a creare una nuova frattura: chi dice che bisogna trovare il modo di far rispettare le regole e chi ne vuole introdurre altre ancora più restrittive. La prima fazione ha ottenuto che venga presa in considerazione l’ipotesi che le guardie nei supermercati abbiano l’obbligo di controllare che le misure di distanziamento siano rispettate. La seconda fazione si è trovata a discutere nuovamente del conflitto tra libertà personale e responsabilità collettiva.

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Tra questi ultimi c’è anche il leader del Labour, Keir Starmer, che ha chiesto un lockdown più stretto nelle prossime 24 ore, perché il virus si sta diffondendo a ritmi che non vengono nemmeno registrati completamente dai dati ufficiali. Secondo un modello matematico di Edge Health, un inglese su cinque è infetto, cioè quattro volte quel che le stime pubbliche rivelano: anche qui bisogna maneggiare i numeri con cautela, ma come dimostra anche lo studio dell’Associazione italiana degli epidemiologi le misure restrittive delle zone rosse sono quelle che più incidono nella riduzione del rischio di contagio. In sostanza, c’è ancora troppa libertà di movimento nel lockdown inglese.

 

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A parte le solite polemiche su quel che resta chiuso e quel che è aperto – sintetizzabile in: perché le scuole no? – quel che il governo considera al di fuori del proprio controllo sono i cosiddetti “bubbling”, cioè quel che avviene nel privato, chi si incontra, chi si invita, da chi si va. Il premier, Boris Johnson, vorrebbe intervenire proprio su questo, ma i suoi detrattori dicono che in realtà prendersela con i cittadini è diventata la sua “comfort zone”. Poiché imporre nuove chiusure di negozi e attività ha un impatto economico molto forte e più si va avanti insostenibile, il governo mette in dubbio la capacità e la volontà dei cittadini di assumersi una responsabilità collettiva. Stephen Bush scrive sul NewStatesman che le rilevazioni mostrano una disciplina solida e costante negli inglesi, per quanto siano esausti, e che comunque l’alternativa di mettere le guardie a controllare non appare molto praticabile in un paese che ha più di 50 milioni di abitanti e soltanto centomila poliziotti. Il problema quindi non sono le bolle né la stanchezza da Covid,  semmai lo sono le attività che “in modo perfettamente legale” restano aperte: su queste, secondo Bush, dovrebbe concentrarsi Johnson.


Al centro della discussione c’è il patto sociale che abbiamo scritto in questi mesi: il singolo si assume una responsabilità collettiva. La disciplina ha un costo e un peso, i governi devono scegliere quanto fidarsi dei loro cittadini, e per quanto.
 

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