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Trumpismo tropicale

Bolsonaro dice che il Brasile è al verde, ma la colpa non è sua

Cecilia Sala

La situazione delle casse pubbliche non consente di rinnovare gli aiuti straordinari ma il presidente sembra quasi compiaciuto, un implicito "ve l'avevo detto". E intanto risale nei sondaggi

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Il Brasile resta il paese più colpito dalla pandemia dell’America latina e il terzo più colpito al mondo. Adesso è anche al verde. Almeno stando alle parole del presidente Jair Bolsonaro che — il 6 gennaio, rivolgendosi ai sostenitori di fronte alla sua residenza a Brasilia — ha detto: “Il Brasile è in bancarotta, e io non posso farci nulla”. Ci sono due possibili interpretazioni per il tono con cui ha pronunciato queste parole, due livelli di lettura della reazione del presidente. Innanzitutto, sembrerà lunare, ma Bolsonaro è parso quasi compiaciuto, le sue parole sono suonate come un implicito “ve l’avevo detto”. Denotano la volontà di auto-assolversi, non solo lasciando intendere che il Covid è una spada di Damocle a tutte le latitudini, un fattore esogeno, il che potrebbe valere per qualsiasi presidente. Bolsonaro, in particolare, si sente deresponsabilizzato perché ha sempre ritenuto che prendere misure di contenimento della pandemia significasse sacrificare l’economia sull’altare di una “semplice influenza”. Quelli contro cui oggi punta il dito, infatti, sono i governatori dei singoli stati, i quali — di fronte all’inerzia del presidente — hanno dovuto gestire da soli l’emergenza. Sarà questa, adesso, la sua nuova campagna per il consenso, forte di un fatto: rispetto al crollo di popolarità subìto nella prima ondata, da quando la crisi economica ha iniziato a farsi sentire il presidente in carica ha già ripreso a salire nei sondaggi.

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Il Brasile resta il paese più colpito dalla pandemia dell’America latina e il terzo più colpito al mondo. Adesso è anche al verde. Almeno stando alle parole del presidente Jair Bolsonaro che — il 6 gennaio, rivolgendosi ai sostenitori di fronte alla sua residenza a Brasilia — ha detto: “Il Brasile è in bancarotta, e io non posso farci nulla”. Ci sono due possibili interpretazioni per il tono con cui ha pronunciato queste parole, due livelli di lettura della reazione del presidente. Innanzitutto, sembrerà lunare, ma Bolsonaro è parso quasi compiaciuto, le sue parole sono suonate come un implicito “ve l’avevo detto”. Denotano la volontà di auto-assolversi, non solo lasciando intendere che il Covid è una spada di Damocle a tutte le latitudini, un fattore esogeno, il che potrebbe valere per qualsiasi presidente. Bolsonaro, in particolare, si sente deresponsabilizzato perché ha sempre ritenuto che prendere misure di contenimento della pandemia significasse sacrificare l’economia sull’altare di una “semplice influenza”. Quelli contro cui oggi punta il dito, infatti, sono i governatori dei singoli stati, i quali — di fronte all’inerzia del presidente — hanno dovuto gestire da soli l’emergenza. Sarà questa, adesso, la sua nuova campagna per il consenso, forte di un fatto: rispetto al crollo di popolarità subìto nella prima ondata, da quando la crisi economica ha iniziato a farsi sentire il presidente in carica ha già ripreso a salire nei sondaggi.

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Fin dalla scorsa primavera, Bolsonaro si era distinto come il capo di stato che più di tutti aveva minimizzato i rischi della pandemia. In questi mesi, ha lasciato intendere di non considerare affatto inscindibili la questione sanitaria e quella economica, la retorica era che l’industria, l’agricoltura e gli esercizi commerciali non dovessero fermarsi in nessun caso, mentre andava ripetendo che chi teme questo virus è un “codardo”. Bolsonaro insisteva spesso sulle decine di milioni di lavoratori irregolari che non avrebbero guadagnato nulla durante le chiusure e — proprio per la loro condizione di “invisibili” — sarebbero stati difficili da individuare e raggiungere con il welfare e gli aiuti straordinari. Aiuti che negli ultimi nove mesi hanno salvato quasi 70 milioni di persone dalla povertà e che, in ogni caso, adesso sono finiti. La situazione delle casse pubbliche non consente di rinnovarli per il decimo mese consecutivo. Se il presidente è convinto che il collasso dell’economia sia colpa dei governatori degli stati della Repubblica federale è perché sono stati loro a decidere le chiusure contro la sua volontà, mentre Bolsonaro faceva di tutto per inserire nella lista delle “attività essenziali” (che restano aperte anche in caso di lockdown locali) praticamente qualsiasi tipo di impresa o esercizio commerciale, mettendo il suo staff a lavoro per cercare tutti i cavilli possibili allo scopo di allargare questa platea a sempre nuove categorie.

 

Ha litigato con ministri del suo governo, autorità sanitarie, apparati militari, Corte suprema, Congresso e governatori pur di limitare al minimo le chiusure. Se l’è presa, ovviamente, anche con i media, con il “virus che viene alimentato dalla stampa”, nonostante il conto delle vittime di questa epidemia nel gigante sudamericano sia ormai vicino alla soglia dei 200mila morti, e il numero dei contagiati sfiori quota 8 milioni. L’ultimo cruccio del presidente è quello di non essere riuscito a portare a termine la riforma fiscale, e in particolare l’aumento della soglia per il reddito esentasse. Una delle più importanti tra le sue promesse elettorali, bandiera delle riforme che avrebbero dovuto stravolgere il sistema economico brasiliano ereditato da Lula da Silva e dal Partito dei lavoratori. Se non può varare la riforma fiscale né rinnovare gli aiuti economici alla popolazione, è perché i mercati sono ormai in allarme sui livelli di deficit e debito pubblico del paese. Le risorse scarseggiano, e anche per questo Bolsonaro incolpa “la stampa spudorata, costantemente al lavoro per cercare di sfinirci e buttarci fuori dal governo”. Le esagerazioni dei media avrebbero spaventato i mercati, con conseguenze pericolose, è questa la tesi del “Trump tropicale”. Ma il trumpismo a oltranza, a giudicare dalle immagini che arrivano da Washington, è una scheggia impazzita, che alla lunga non paga. La realtà — quella brasiliana non meno di altre — è violenta, è anche un boomerang che prima o poi torna indietro.

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