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Oltre l'assalto

L'insurrezione è fallita, Biden è presidente

Dopo l’oscenità dell’assalto, abbiamo visto la forza ferita del Congresso che ha portato a termine il suo lavoro. La vulnerabilità naturale di quel che è prezioso

Paola Peduzzi

Da quando è stato eletto Trump abbiamo preso a interrogarci sulla tenuta della democrazia americana, sugli anticorpi di un sistema forgiato nell’Ottocento e quindi pieno di crepe e di inefficienze. Ci siamo divisi in catastrofisti e in idealisti, tutti con le loro falle e ingenuità, e nella notte tra il 6 e il 7 gennaio del 2020 in poche ore ci siamo ritrovati uno di fronte l’altro

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La mattina dopo l’elezione di Donald Trump nel 2016, il presidente uscente Barack Obama, nel giardino delle rose della Casa Bianca, iniziò il suo discorso dicendo: “Indipendentemente dal vostro voto, indipendentemente dal fatto che il vostro candidato abbia vinto o perso, il sole alla mattina sorgerà di nuovo”. Il sole è risorto anche ieri mattina, dopo l’assalto al Congresso americano, dopo quelle ore di caos e oscenità, la notte nera della democrazia americana, l’anarchia e lo svilimento dei luoghi di quella democrazia. Il sole è risorto con la certificazione della vittoria del presidente eletto Joe Biden, dopo che il Congresso si è riunito e ha votato nonostante le violazioni e le razzie: l’insurrezione è finita ed è fallita, Donald Trump si è impegnato per una “transizione ordinata” il 20 gennaio, perché l’azione del Congresso “rappresenta la fine del più grande primo mandato della storia della presidenza”. Trump non si è congratulato con Biden, ha ribadito il suo “disaccordo totale” nei confronti dell’esito elettorale, non ha potuto nemmeno twittare la sua resa a denti stretti perché il suo account è stato bloccato, ma il processo democratico non prevede che lo sconfitto sia d’accordo, prevede semmai che lo siano i cittadini che hanno votato e le istituzioni che li rappresentano.

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La mattina dopo l’elezione di Donald Trump nel 2016, il presidente uscente Barack Obama, nel giardino delle rose della Casa Bianca, iniziò il suo discorso dicendo: “Indipendentemente dal vostro voto, indipendentemente dal fatto che il vostro candidato abbia vinto o perso, il sole alla mattina sorgerà di nuovo”. Il sole è risorto anche ieri mattina, dopo l’assalto al Congresso americano, dopo quelle ore di caos e oscenità, la notte nera della democrazia americana, l’anarchia e lo svilimento dei luoghi di quella democrazia. Il sole è risorto con la certificazione della vittoria del presidente eletto Joe Biden, dopo che il Congresso si è riunito e ha votato nonostante le violazioni e le razzie: l’insurrezione è finita ed è fallita, Donald Trump si è impegnato per una “transizione ordinata” il 20 gennaio, perché l’azione del Congresso “rappresenta la fine del più grande primo mandato della storia della presidenza”. Trump non si è congratulato con Biden, ha ribadito il suo “disaccordo totale” nei confronti dell’esito elettorale, non ha potuto nemmeno twittare la sua resa a denti stretti perché il suo account è stato bloccato, ma il processo democratico non prevede che lo sconfitto sia d’accordo, prevede semmai che lo siano i cittadini che hanno votato e le istituzioni che li rappresentano.

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Da quando è stato eletto Trump abbiamo preso a interrogarci sulla tenuta della democrazia americana, sugli anticorpi di un sistema forgiato nell’Ottocento e quindi pieno di crepe e di inefficienze. Ci siamo divisi in catastrofisti e in idealisti, tutti con le loro falle e ingenuità, e nella notte tra il 6 e il 7 gennaio del 2020 in poche ore ci siamo ritrovati uno di fronte l’altro: la catastrofe in atto, violenta e sprezzante, e subito dopo la forza di risedersi su quelle panche abbandonate di fretta, con la paura e la rabbia addosso, per portare a termine il processo laborioso, macchinoso, interminabile dell’elezione del presidente degli Stati Uniti.

 

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La storia americana è attraversata da una linea di sangue: Kennedy e l’assassinio di Kennedy come paradigma di una ferita che accompagna l’America da sempre, che ne mostra la forza e poi le debolezze, la vulnerabilità naturale di quel che è prezioso. Lo scempio dell’insurrezione non sarà dimenticato e difficilmente sarà superato, e l’immagine del paese ne uscirà indebolita, come prevede il finale della leadership dell’uomo forte. Ma accanto alle immagini della notte “dell’infamia”, come l’ha definita Edward Luce sul Financial Times, ci sono quelle dei deputati e dei senatori che, una volta finita l’insurrezione, si rimettono al lavoro, c’è l’immagine splendida delle ragazze eleganti che trasportano in un posto sicuro, prima di lasciare il Senato alle razzie, il bauletto con dentro i voti elettorali, il tesoro da custodire e da ritirare fuori quando poi, il giorno dopo, risorge il sole.  

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