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Dentro il Congresso

L'insurrezione di Josh Hawley

Il senatore del Missouri ha votato contro la certificazione della vittoria di Biden. Rappresenta la rivolta trumpiana dentro le istituzioni e dentro il Partito repubblicano

Paola Peduzzi

La sua battaglia in difesa di Trump e delle “elezioni rubate” rende Hawley un cantore della “politica della delegittimazione” che è quella che è andata in scena durante l'assedio al Congresso

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Alla fine otto senatori americani hanno contestato il risultato elettorale e la vittoria di Joe Biden. Questi sono i loro nomi, tra parentesi gli stati che secondo loro sono stati assegnati ai democratici in modo sbagliato:

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Alla fine otto senatori americani hanno contestato il risultato elettorale e la vittoria di Joe Biden. Questi sono i loro nomi, tra parentesi gli stati che secondo loro sono stati assegnati ai democratici in modo sbagliato:

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- dal Texas Ted Cruz (Arizona, Pennsylvania)

- dal Missouri Josh Hawley (Arizona, Pennsylvania)

- dal Kansas Roger Marshall (Arizona, Pennsylvania)

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- dall'Alabama Tommy Tuberville (Arizona, Pennsylvania)

- dal Mississippi Cindy Hyde-Smith (Arizona, Pennsylvania)

- dalla Louisiana John Kennedy (Arizona)

- dalla Florida Rick Scott (Pennsylvania)

- dal Wyoming Cynthia Lummis (Pennsylvania)

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Tra tutti, ha fatto molto discutere e indignare Josh Hawley perché è stato immortalato mentre entrava nel palazzo del Congresso e salutava complice i manifestanti che di lì a poco avrebbero fatto irruzione costringendo i senatori a evacuare le loro stanze e l'aula. Il Kansas City Star ha pubblicato un editoriale durissimo dicendo che il senatore "ha le mani sporche si sangue" per l'assalto al Congresso.

 

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Hawley, trentanove anni, è un avvocato (come il più noto Ted Cruz), ha studiato alla scuola di legge di Yale (Cruz ad Harvard) ed è stato presidente della sede della Federalist Society di Yale (Cruz era membro della sezione di Harvard): la Federalist Society ha avuto un ruolo molto rilevante nella selezione dei giudici conservatori, anche quelli della Corte suprema, e a ben vedere il potere giudiziario è quello su cui il mondo conservatore mantiene ancora salda la propria presa.

 

Ma la storia di Hawley è significativa anche per altri motivi. E' il più giovane membro del Senato, sveglio ed energico, è diventato la faccia – come ha raccontato Elye Mystal su The Nation – del Partito repubblicano nella crociata contro il Big Tech, ben oltre i tormenti di Twitter o Parler. Ha attaccato la Section 230 che protegge i social media e lo stesso Mark Zuckerberg, e si è conquistato molti titoli e apparizioni in tv.

 

Da Trump poi Hawley ha preso poi quello che viene definito il “fake populism”: nella campagna per diventare senatore nel 2018, Hawley sconfisse Claire McCaskill posizionandosi come un uomo delle campagne. In realtà è figlio di un banchiere, ha frequentato Stanford e poi Yale, ha lavorato alla Corte Suprema con John Roberts, il presidente della Corte.

 

Sul Washington Post, Michael Gerson, ex consigliere di Bush jr, ha scritto che “l'ambizione sventata di Hawley rischia di essere una minaccia” per il paese, perché questa ambizione “lo porta al di fuori dei confini della democrazia, dove si ritrova ora il senatore”. La sua battaglia in difesa di Trump e delle “elezioni rubate” lo colloca proprio qui e rende Hawley un cantore della “politica della delegittimazione” che è quella che è andata in scena durante l'assedio al Congresso.

 

Hawley incarna la frattura dentro il Partito repubblicano e quella nel dibattito americano, che da ultimo si sovrappongono. Il saluto ai manifestanti è stato visto alla pari del processo di istigazione avviato da Trump ed è continuato anche dopo, dopo l'oscenità dell'insurrezione, durante il voto per la certificazione dell'elezione di Trump. Che cosa vuol essere il Partito repubblicano dentro le istituzioni passa anche dalle ambizioni del giovane Josh Hawley.

 

 

 

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