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E ora che cosa succede? Le conseguenze legali dell'assalto al Campidoglio (anche per Trump)

Luciana Grosso

I rivoltosi che il 6 gennaio hanno fatto irruzione a Capitol Hill hanno commesso svariati reati federali. Meno chiara è la posizione del presidente. Che cosa dicono la legge sulla sedizione e quella sulla cospirazione negli Stati Uniti. E perché il Primo Emendamento non vale

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E ora cosa succederà? Gli stessi che ieri sono entrati tronfi a Campidoglio, entreranno, prima o poi, in un’aula di tribunale? E con loro ci sarà Donald Trump? La domanda rimbalza in queste ore, e la risposta non è ancora chiara. Se è chiaro che i rivoltosi che ieri sera hanno fatto irruzione al Campidoglio e lo hanno vandalizzato hanno commesso svariati reati federali (dalla violazione di un edificio federale, al danneggiamento, all’appropriazione di beni del Congresso) meno chiara è la posizione del presidente Trump.

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E ora cosa succederà? Gli stessi che ieri sono entrati tronfi a Campidoglio, entreranno, prima o poi, in un’aula di tribunale? E con loro ci sarà Donald Trump? La domanda rimbalza in queste ore, e la risposta non è ancora chiara. Se è chiaro che i rivoltosi che ieri sera hanno fatto irruzione al Campidoglio e lo hanno vandalizzato hanno commesso svariati reati federali (dalla violazione di un edificio federale, al danneggiamento, all’appropriazione di beni del Congresso) meno chiara è la posizione del presidente Trump.

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Le strade che, dal punto di vista legale, si aprono davanti a Trump, sono due: o andare via libero e pulito, protetto dal primo emendamento e dal fatto che, nei fatti, egli non fosse presente alla rivolta e che non sia stato lui, materialmente, a violare il Campidoglio, oppure essere riconosciuto come mandante e ispiratore della rivolta di ieri ed essere accusato di reati pesantissimi come sedizione o cospirazione. Nessuna delle due cose, nè la sua immacolata libertà, nè le accuse di sedizione e cospirazione, si può in questo momento escludere. 

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La legge sulla sedizione, per esempio, parla piuttosto chiaro, si riferisce a “chiunque inciti, metta in piedi, assista o si impegni in una ribellione o insurrezione contro l'autorità degli Stati Uniti o le leggi degli Stati Uniti, o fornisce aiuto o conforto a ciò” e prevede la pena di dieci anni di carcere. Ma non è detto che Trump ricada in questo caso, perché come ha spiegato al San Francisco Chronicle Robert Weisberg, professore di diritto di Stanford, “le dichiarazioni di Trump potrebbero non essere riconosciute come istigazione. Secondo la sentenza della Corte Suprema del 1969 Brandenburg vs Ohio, deve essere dimostrato che la persona ha intenzionalmente cercato di indurre le persone a causare un danno violento imminente o quasi immediato per essere riconosciuto colpevole di istigazione. Ed è difficile stabilire cosa Trump intendesse dire durante il suo discorso o cosa si è reso conto sarebbe potuto accadere in seguito”.

   
Poi c’è l’ipotesi più grave, che è la "cospirazione". Se dovesse venire fuori che i disordini di ieri non sono state l’esito di una manifestazione improvvisata, ma di un piano organizzato e premeditato, la posizione di Trump e dei manifestanti potrebbe peggiorare, e la pena, se riconosciuti colpevoli, arrivare a venti anni di carcere. Il testo della legge sulla cospirazione è, di nuovo, molto chiara e prevede in particolare due cose:  “Il prendere o possedere qualsiasi proprietà degli Stati Uniti contraria all'autorità della stessa” e il "ritardare l'esecuzione della legge": due cose che, ieri, sono evidentemente successe. Ma non è detto che portino al coinvolgimento o alla messa in stato di accusa di Trump: “Il testo — ha spiegato al Detroit Free Press Michael McDaniel, preside associato della Western Michigan University-Cooley Law School — dice che la cospirazione si intende 'contro l'autorità degli Stati Uniti'. Ma l’autorità massima degli Stati Uniti, in questo momento è il presidente Trump”. E dunque ci si potrebbe  trovare nella paradossale situazione legale di un gruppo di cospiratori contro gli Stati Uniti che però agivano su mandato dello stesso governo degli Stati Uniti. 

 

   

Infine c’è la questione Primo Emendamento, quello che tutela la libertà di parola e di organizzazione e che viene tirato in ballo da molti, in queste ore. Ma che però, spiace dirlo, non c’entra niente. Per due ragioni. La prima: il testo parla espressamente della libertà di riunirsi “pacificamente”. La seconda: una sentenza della Corte Suprema del 1949 (Terminiello vs. Chicago) stabilisce che la protezione della libertà di parola decade se “è dimostrato che questa possa produrre un pericolo chiaro e presente di un grave male sostanziale che supera di gran lunga il disagio, il fastidio o l'inquietudine del pubblico”. Almeno su questo non ci sono dubbi. Questa volta, il Primo Emendamento non vale.

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