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buone notizie dalla georgia

La Fine del modello distruttivo dei trumpini

Giuliano Ferrara

Ora spetterà ai professionisti della politica costituzionale ricostituire i cardini di una società evoluta

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Un tentativo di sedizione putschista era implicito in tutto quello che Trump ha fatto e detto dopo le elezioni che lo hanno spodestato. Fanatismo, spirito antidemocratico, irregimentazione e indottrinamento di una rumorosa minoranza e delle milizie armate, stand back and stand by: il prezzo della paranoia narcisista di un uomo stupidamente e ferocemente violento non poteva che essere questo, fino all’invasione del Congresso, una falsa rivoluzione in stile Mogadiscio, un’aggressione squadrista contro gli eletti della Repubblica americana per impedire loro di fare la legge, di imporre la volontà popolare espressa nelle urne. Lo spettacolo disgustoso non ha precedenti, e alla fine i toni e i metodi della guerra civile sono diventati gazzarra armata con l’evacuazione dei deputati e dei senatori, del vicepresidente Pence, deli uomini e delle donne che hanno la delega di potere del popolo. C’è solo da augurarsi che la forza della legge repubblicana abbatta rapidamente questo principio di sedizione che non è rivolta ma scatenamento di pulsioni emozionali senza precedenti.

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Un tentativo di sedizione putschista era implicito in tutto quello che Trump ha fatto e detto dopo le elezioni che lo hanno spodestato. Fanatismo, spirito antidemocratico, irregimentazione e indottrinamento di una rumorosa minoranza e delle milizie armate, stand back and stand by: il prezzo della paranoia narcisista di un uomo stupidamente e ferocemente violento non poteva che essere questo, fino all’invasione del Congresso, una falsa rivoluzione in stile Mogadiscio, un’aggressione squadrista contro gli eletti della Repubblica americana per impedire loro di fare la legge, di imporre la volontà popolare espressa nelle urne. Lo spettacolo disgustoso non ha precedenti, e alla fine i toni e i metodi della guerra civile sono diventati gazzarra armata con l’evacuazione dei deputati e dei senatori, del vicepresidente Pence, deli uomini e delle donne che hanno la delega di potere del popolo. C’è solo da augurarsi che la forza della legge repubblicana abbatta rapidamente questo principio di sedizione che non è rivolta ma scatenamento di pulsioni emozionali senza precedenti.

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Ma tutto si spiega. Il primo senatore nero della Georgia, un uomo della chiesa afroamericana da lui attaccata con i soliti mezzi da sbraco nel truogolo, è diventato senatore in uno stato confederato e segregazionista per decenni. Un giovanotto progressista ha dato la biada al supernotabile trumpiano per il secondo posto di senatore, e lo supera. La maggioranza in Senato brancola nel buio della paranoia presidenziale o ex presidenziale, ma si vede la luce della volontà popolare. La rivolta nel partito repubblicano, che intuisce il crollo di ogni speranza o ambizione o cupidigia di basso potere, malriposta come fu nella demagogia e nella follia narcisista di un capo non degno della tradizione politica che ha devastato. Il suo vice che gli spiega modesto e timoroso, che no, lui non può rovesciare per decreto, malgrado la lealtà canina di quattro anni,  il risultato delle elezioni, non ne ha i poteri costituzionali. E’ in questo quadro che si è arrivati al coprifuoco a Washington e a tutto il resto, in un caos istituzionale e di sicurezza di cui si discuterà per anni, le responsabilità del golpista in chief comprese.

 

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Il calcio in culo è arrivato, questo è il fatto, ed è una gioia preziosa per chi lo invocava da anni. Altro che sopravvivenza del trumpismo, qui quell’anchorman sbalestrato e folle finisce come un veleno politico da eliminare, il pupazzo di paglia e cenere per il quale manifestano, complottano, armeggiano e sparano estremisti e mattocchi farciti dei loro incubi politici e miti eversivi. Cara grazia se quell’irresponsabile e organizzatore della follia potrà evitare, grazie allo spirito di pacificazione e di ripristino del negoziato politico, conseguenze serie per una intera vita spesa sul filo dell’illegalità e ben oltre. Il capo di una gang - questo è Trump - che ha rubato la Casa Bianca agli americani per un quadriennio, che ha potuto graziare tutti coloro che da un carcere o da una condizione di indagati e incriminati avrebbero potuto parlare, incastrarlo per le mene con la Russia, per i ricatti sporchi all’Ucraina, per i giochetti con i militari del Pentagono: questo e chissà quanto altro verrebbe fuori per un presidente che si sarebbe meritato una mezza dozzina di impeachment. Lock her up!, il grido belluino contro l’avversaria di ieri sarà solo un incubo, ma che incubo, per il perdente di oggi, una eco di Lock him up.

 

Bisogna capire che la sconfitta di Trump, con tutto il carico disonorevole che si porta appresso la sua fisiologica incapacità di accettarla con un minimo di grazia di stato e di lealismo istituzionale, con la sua patologica ansia di rovesciare il risultato con ogni mezzo, è più di un fatto, è un paradigma. A questo modello distruttivo, in epoca di populismo montante, si sono avvinghiati in molti, in America e in Europa, per non dire delle parti del mondo in cui la democrazia è solo un miraggio. Sono i trumpini. Politici avidi, intellettuali deboli, imprenditori da bordello, giornalisti con la camicia a fiori, studiosi di buona leva e di mezza tacca, sono legioni quelli che Trump andava capito e spiegato, che era espressione di una vocazione genuina a respingere la globalizzazione di una classe media delusa e tradita nelle sue speranze, l’uomo del riscatto dei forgotten men. Rifiutarsi di vedere e nominare l’evidenza, cioè la patologica incompatibilità del fenomeno populista con la logica della democrazia liberale e di una società anche solo modestamente aperta e fondata sull’autogoverno con le sue regole e certezze, con la sua divisione dei poteri, con le sue procedure storiche, questa è stata la ginnastica artistica, fatta di piroette e capriole, in cui si sono impegnati opportunisti di ogni sorta e creduloni senza tempra.

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Ora spetterà a seri professionisti della politica costituzionale, gente che non si volta dall’altra parte di fronte al disastro pandemico e alle sue funeste ripercussioni su un paese governato a casaccio e nell’indifferenza cinica, prendere atto sul fatto che consenso e dissenso devono tenere ferme le regole del gioco e una sensibilità comune verso l’interesse collettivo. Non ci saranno rivincite o vendette, non è vero che qualunque cosa abbia fatto l’amministrazione americana sotto l’impostura di Trump è impostura allo stesso titolo, ora c’è lo spazio mentale per ricostituire i cardini intorno a cui gira una società evoluta. E questo nel paese più potente e decisivo del mondo, di fronte a tragedie spettacolari e al pericolo del trionfo delle democrazie illiberali, uno scampato pericolo a sentire le notizie elettorali e politiche dalla Georgia e da Washington, un pericolo attivo e drammatico a guadare le immagini del Congresso assediato dagli energumeni armati.

 

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