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Donald non si rassegna

Due giorni per sfasciare i repubblicani

Daniele Ranieri

Oggi e domani due appuntamenti cruciali. Il partito americano si scinde tra chi crede nell'eternità di Trump e chi non ci crede

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Oggi e domani sono due giornate cruciali per il futuro del Partito repubblicano e per l’America. Oggi si vota al ballottaggio in Georgia per due seggi da senatore (qui sotto trovate molte più informazioni) e se i repubblicani perdessero allora i democratici otterrebbero una maggioranza molto risicata anche al Senato. Sarebbe un allineamento di potere molto forte: i dem avrebbero per almeno due anni la Casa Bianca, la Camera e il Senato. Sarebbe anche un autogol per i repubblicani perché hanno passato due mesi a dire che le elezioni sono fraudolente e hanno molto scoraggiato i loro elettori. Domani c’è il voto simbolico del Congresso per riconoscere che Joe Biden è il presidente degli Stati Uniti a partire dal 20 gennaio.

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Oggi e domani sono due giornate cruciali per il futuro del Partito repubblicano e per l’America. Oggi si vota al ballottaggio in Georgia per due seggi da senatore (qui sotto trovate molte più informazioni) e se i repubblicani perdessero allora i democratici otterrebbero una maggioranza molto risicata anche al Senato. Sarebbe un allineamento di potere molto forte: i dem avrebbero per almeno due anni la Casa Bianca, la Camera e il Senato. Sarebbe anche un autogol per i repubblicani perché hanno passato due mesi a dire che le elezioni sono fraudolente e hanno molto scoraggiato i loro elettori. Domani c’è il voto simbolico del Congresso per riconoscere che Joe Biden è il presidente degli Stati Uniti a partire dal 20 gennaio.

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Il presidente uscente, Donald Trump, ha trasformato quel voto – che non può avere alcun effetto pratico – in un conteggio per capire chi tra i repubblicani gli sarà fedele. Chi riconoscerà il voto popolare e quindi la vittoria di Biden sarà accusato di “tradimento”. Chi invece sosterrà che il voto non è valido e che Trump è stato defraudato del diritto ad altri quattro anni di governo come pretende lui potrà ancora fregiarsi del titolo di trumpiano. In pratica, è una purga interna al partito ordinata da un presidente agli sgoccioli del mandato. A favore di Trump ci sono almeno 140 repubblicani alla Camera (una maggioranza, se confermata) e dodici al Senato. Sostengono con logica circolare che le elezioni sono state irregolari perché la gente teme che siano state irregolari (perché Trump da mesi dice che sono state irregolari, quest’ultima parte la omettono).

    

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I sessanta ricorsi legali presentati dagli avvocati di Trump per rovesciare il voto sono stati respinti dai tribunali perché non sono basati su prove – ma sui social media, dove non occorre portare elementi reali, vanno fortissimo. Il texano Ted Cruz è il più in vista dei sobillatori trumpiani. Tom Cotton è invece il disertore più vistoso e ha appena detto che a eleggere il presidente “è il Collegio elettorale e non il Congresso”. Trump lo ha subito punito con un tweet: “I repubblicani NON DIMENTICANO MAI!”. Molti commentatori sostengono che Ted Cruz e Tom Cotton si stiano semplicemente riposizionando per le elezioni 2024: Cruz crede che Trump avrà ancora una presa fortissima sugli elettori, Cotton invece scommette che l’ex presidente finirà sommerso da guai giudiziari e finanziari e diverrà irrilevante. 

  

Steve Schmidt, uno stratega elettorale che ha fondato il Lincoln Project – un’iniziativa di ex repubblicani schierati contro Trump – scrive che il conteggio di domani sarà come il Kansas-Nebraska Act del 1854, quindi un momento di crisi che porterà alla fine del Partito repubblicano americano come lo conosciamo. Quella legge del 1854 di fatto decretò la fine del partito Whig, che si spezzò in due tronconi tra abolizionisti e schiavisti. Il troncone degli abolizionisti divenne il Partito repubblicano, lo stesso che è oggi è scisso fra trumpiani e antitrumpiani. 

 

Sabato con una telefonata lunga un’ora Trump ha tentato di convincere il segretario di stato della Georgia, il repubblicano Brad Raffensperger, a “trovare” voti in più.  Trump ha fatto molta pressione e ha tentato di intimidire il politico con minacce di non meglio precisate conseguenze legali. Raffensperger ha risposto no, perché i voti sono stati già contati tre volte e non ci sono irregolarità e quindi non c’è modo di fare quello che chiede Trump a meno di non violare la legge. L’audio della telefonata rende chiaro che le preoccupazioni dei trumpiani a proposito delle regolarità delle elezioni non sono mai state vere, sono soltanto un pretesto per provare a rovesciare il voto. E’ attività eversiva alla luce del giorno. Rende chiaro anche quanto sia fragile il meccanismo della democrazia americana. Se alcune delle sue parti cedessero a questi tentativi di Trump, nei tribunali o nei governi statali, il risultato di novembre non sarebbe così al sicuro. 

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Ieri dieci ex segretari alla Difesa, incluso Mark Esper che era a capo del Pentagono fino a novembre prima che Trump lo cacciasse, hanno pubblicato uno strano appello sul Washington Post per ricordare come i militari non devono intervenire nelle questioni politiche. E’ allarmante perché ne scrivono come se fosse una reale possibilità – sappiamo che alcuni consiglieri di Trump gli hanno suggerito di dichiarare la legge marziale e di mandare i soldati a sequestrare le macchine elettroniche per il voto o addirittura di usare l’esercito per “rifare le elezioni”. Siamo in zona QAnon, la teoria del complotto che infesta la mente di milioni di americani e che è un pilastro ideologico del nuovo partito trumpiano post repubblicano.  
  

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