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Non dovevamo vederci più?

Le scartoffie della Brexit

Il futuro di Londra è il modello Svizzera che ha imparato che "lo squilibrio con Bruxelles la mette sempre in una posizione di svantaggio”. 

Micol Flammini

L'uscita dall'Ue porta agli inglesi più complessità e più incontri con gli europei e il sogno brexitaro di liberarsi della burocrazia è finito. Adesso raddoppierà

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Roma. Una delle motivazioni spesso addotte dai brexiteer per giustificare l’uscita del Regno Unito dall’Ue era la necessità di liberarsi da tutta quella pesante burocrazia europea, lenta, macchinosa, autenticamente brussellese. Ad accordo siglato e divorzio avvenuto, però, sembra che i britannici, che tanto avrebbero voluto liberarsi delle scartoffie europee, per la decisione di abbandonare l’Ue abbiano ottenuto l’effetto contrario: non soltanto non si sono liberati delle scartoffie, ma queste si sono anche raddoppiate. Gli esperti e i commentatori britannici insistono sul fatto che, per quanto complicato e lungo (sono più di 1200 pagine) il deal è sicuramente meglio del no deal, ma di tutta quella burocrazia in aggiunta Londra non aveva certo bisogno. Sembra ironico, ma anche Michael Gove lo ha dovuto ammettere: i rapporti con l’Unione saranno segnati da un po’ di burocrazia in più, ma questa servirà a rendere le aziende britanniche pronte a commerciare con il resto del mondo, ha detto questa settimana il politico conservatore. Che il “diavolo è nei dettagli” di quel lunghissimo accordo lo aveva sostenuto anche Boris Johnson, ma tanti dettagli devono ancora essere dibattuti e, come scrive l’Economist, il Regno Unito che sperava di diventare una nuova Singapore probabilmente si ritroverà invece a instaurare un rapporto con l’Ue molto più simile a quello della Svizzera, “che ha passato anni a lottare per i dettagli”. L’accordo commerciale che il premier britannico e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, hanno siglato il 24 dicembre, è ancora all’inizio, ci saranno tante trattative da portare avanti e, per il momento, quello che appare chiaro è che i britannici, amanti della velocità burocratica, e tanto avversi a lungaggini e scartoffie da avere un termine tutto loro per indicare la burocrazia – red tape – si ritroveranno probabilmente sommersi. Il Financial Times parla di “corso di formazione burocratica” che tutte le famiglie britanniche dovranno seguire per imparare a districarsi nelle molte nuove norme che regoleranno, per esempio, il trasporto personale delle merci. 

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Roma. Una delle motivazioni spesso addotte dai brexiteer per giustificare l’uscita del Regno Unito dall’Ue era la necessità di liberarsi da tutta quella pesante burocrazia europea, lenta, macchinosa, autenticamente brussellese. Ad accordo siglato e divorzio avvenuto, però, sembra che i britannici, che tanto avrebbero voluto liberarsi delle scartoffie europee, per la decisione di abbandonare l’Ue abbiano ottenuto l’effetto contrario: non soltanto non si sono liberati delle scartoffie, ma queste si sono anche raddoppiate. Gli esperti e i commentatori britannici insistono sul fatto che, per quanto complicato e lungo (sono più di 1200 pagine) il deal è sicuramente meglio del no deal, ma di tutta quella burocrazia in aggiunta Londra non aveva certo bisogno. Sembra ironico, ma anche Michael Gove lo ha dovuto ammettere: i rapporti con l’Unione saranno segnati da un po’ di burocrazia in più, ma questa servirà a rendere le aziende britanniche pronte a commerciare con il resto del mondo, ha detto questa settimana il politico conservatore. Che il “diavolo è nei dettagli” di quel lunghissimo accordo lo aveva sostenuto anche Boris Johnson, ma tanti dettagli devono ancora essere dibattuti e, come scrive l’Economist, il Regno Unito che sperava di diventare una nuova Singapore probabilmente si ritroverà invece a instaurare un rapporto con l’Ue molto più simile a quello della Svizzera, “che ha passato anni a lottare per i dettagli”. L’accordo commerciale che il premier britannico e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, hanno siglato il 24 dicembre, è ancora all’inizio, ci saranno tante trattative da portare avanti e, per il momento, quello che appare chiaro è che i britannici, amanti della velocità burocratica, e tanto avversi a lungaggini e scartoffie da avere un termine tutto loro per indicare la burocrazia – red tape – si ritroveranno probabilmente sommersi. Il Financial Times parla di “corso di formazione burocratica” che tutte le famiglie britanniche dovranno seguire per imparare a districarsi nelle molte nuove norme che regoleranno, per esempio, il trasporto personale delle merci. 

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E se per i singoli cittadini tutto potrebbe essere più complicato, lo sarà ancora di più per le aziende. Il governo di Londra esorta da mesi le imprese a prepararsi per una nuova èra nel commercio con l’Ue, ma per quanto le imprese siano sollevate dall’arrivo del deal, si sono rese conto che fare affari con l’Europa diventerà più macchinoso e che ai processi esistenti se ne sono aggiunti di nuovi: dichiarazioni doganali, controlli di provenienza, certificati di sicurezza, ispezioni alimentari. Nella finanza molte regole devono ancora essere decise, ma per quello che si sa al momento neppure questo settore sfuggirà alla complessità. In un documento redatto per il gruppo di lobby Best for Britain, un esperto di commercio, David Henig, ha scritto che le nuove restrizioni sui visti per i cittadini dell’Ue renderanno il lavoro di molte aziende di servizi, che dipendono dalla capacità dei singoli di muoversi liberamente, più faticoso. Hening suggerisce alla Gran Bretagna di lavorare più a stretto contatto con l’Ue – che rimane il suo mercato principale  –   per risolvere gli impedimenti: proprio quello che i brexiteer avrebbero voluto evitare. In futuro è possibile che vengano negoziati nuovi accordi settoriali che forse potrebbero semplificare i rapporti, ma i tempi non saranno rapidi e intanto gli investitori britannici dovranno decidere come regolare i loro rapporti con l’Ue. Concentrare la loro attività dentro ai confini del Regno Unito potrebbe essere la tentazione iniziale, ma in molti sanno che non conviene: secondo il Financial Times l’impatto della Brexit su Londra potrebbe comportare la perdita del 4 per cento del pil. Quindi, nonostante le scartoffie, chi investiva in Europa e commerciava con l’Europa potrebbe preferire la nuova burocrazia piuttosto che rinchiudersi nel Regno.

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Tutti ripetono che la Brexit non è ancora finita, sono tanti i punti che rimangono ancora da negoziare e l’accordo prevede anche la costituzione di oltre venticinque comitati speciali, consigli ministeriali e gruppi di lavoro incaricati di occuparsi un po’ di tutto. Inoltre, le parti, Ue e Uk, dovranno riesaminare l’attuazione dell’accordo ogni cinque anni e questo vuol dire che, come ha scritto Anton Spisak, ricercatore del Tony Blair Institute, non soltanto i rapporti con l’Ue non sono ancora finiti, ma saranno suddivisi in gruppi di lavoro più piccoli, tutto diventerà ancora più lento, le commissioni aumenteranno e il sogno brexitaro di un mondo senza burocrazia è stato sommerso dalla prospettiva di nuove scartoffie e incontri regolari con Bruxelles. Londra sognava Singapore, si è ritrovata a essere la Svizzera e se c’è una cosa che gli svizzeri hanno imparato, dice l’Economist, è che, per quanto i suoi funzionari dedichino tempo e sforzi ai negoziati con Bruxelles e lo facciano bene, “lo squilibrio con l’Ue li mette sempre in una posizione di svantaggio”. 
 

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