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I conti col passato /1

La nuova vita (molto social) di Ahmadinejad

Tatiana Boutourline

Inviso agli ayatollah ma pronto a rimettersi in corsa, l’ex presidente iraniano da reietto è nuovamente balzato agli onori delle cronache politiche. L’approvazione nei suoi confronti viaggia intorno al 37 per cento, mentre Rohani raggiunge a malapena il 25

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Dimenticate i rivoluzionari d’una volta: sono più rari dei panda, in Iran. Prendete ad esempio l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. Sette anni fa era ancora l’elefante nella cristalleria della diplomazia internazionale, il campione dell’anti imperialismo tendenza pasdaran che agognava la cancellazione di Israele e dubitava dell’Olocausto, tuonando dentro completi (invariabilmente sdruciti) acquistati al bazar di Shams al Emareh. A guardarlo di questi giorni, rilassato e dialogante, con la barba curata e lo sguardo addolcito da sorrisi tanto frequenti che se non ci fosse di mezzo la politica potrebbero far pensare a un nuovo amore, sembra davvero un altro

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Dimenticate i rivoluzionari d’una volta: sono più rari dei panda, in Iran. Prendete ad esempio l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. Sette anni fa era ancora l’elefante nella cristalleria della diplomazia internazionale, il campione dell’anti imperialismo tendenza pasdaran che agognava la cancellazione di Israele e dubitava dell’Olocausto, tuonando dentro completi (invariabilmente sdruciti) acquistati al bazar di Shams al Emareh. A guardarlo di questi giorni, rilassato e dialogante, con la barba curata e lo sguardo addolcito da sorrisi tanto frequenti che se non ci fosse di mezzo la politica potrebbero far pensare a un nuovo amore, sembra davvero un altro

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Il 26 dicembre ha pubblicato su Twitter un video di auguri che, a parte un riferimento volante all’escatologia sciita, somigliava più ai messaggi di Natale della Regina Elisabetta che alle invettive furibonde dell’Ahmadinejad vecchia maniera. Con indosso una camicia a quadri da gentiluomo di campagna in disarmo e un pullover a v verde bottiglia, una pianta nell’angolo e una bella luce che arrivava di sbieco, l’ex presidente si è congratulato per la nascita di Cristo, “profeta di pace”, e ha invocato giustizia e libertà per tutti gli uomini e le donne di tutte le fedi e a tutte le latitudini. A vederlo così affabile, così a suo agio nel suo inglese imperfetto, (ma meno imperfetto di quello di molti politici europei), qualcuno avrà strabuzzato gli occhi e qualcun altro si sarà chiesto fino a dove può arrivare un uomo che non si rassegna a vivere lontano dalla ribalta. 

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Perché nel 2013, inviso tanto all’ayatollah Khamenei quanto a tre quarti dell’establishment clericale, Ahmadinejad pareva destinato all’oblio. Era il momento degli esperti,  degli uomini che avrebbero saputo come comportarsi nei consessi internazionali, uscì fuori pure un motivetto, “Rohani mochakerim”, ossia “ti siamo grati Rohani”, a riprova che al nuovo presidente per essere benvoluto sarebbe bastato essere l’esatto opposto del suo predecessore. Pareva quasi impossibile rimettersi in gioco sull’onda di quel sollievo collettivo, mentre gli alleati più fidati venivano tacciati di corruzione, entravano e uscivano dai tribunali, ma Ahmadinejad ci è riuscito. Un sondaggio di Iranwire registra che l’approvazione nei suoi confronti viaggia intorno al 37 per cento, mentre Rohani raggiunge a malapena il 25. Il dato conta quello che conta (dunque poco) perché i sondaggi in Iran sono notoriamente inaffidabili; quello che è stupefacente è che il nome del reietto sia comunque nuovamente balzato agli onori delle cronache politiche.

   
Ahmadinejad non ha grandi speranze di entrare nella corsa per le presidenziali del 2021, il Consiglio dei Guardiani ha già cassato la sua candidatura nel 2017 e Khamenei ha fatto filtrare un’ostilità granitica alla prospettiva di un suo ritorno in prima linea, ma a lui importa del futuro, nella Repubblica islamica le carriere si fanno e si disfano, la salute di Khamenei è un’incognita e non è detto che Ahmadinejad non possa tornare in auge un giorno, come protagonista o eminenza grigia. E nel frattempo, nella sua traversata nel deserto della politica iraniana, Ahmadinejad cambia pelle. Non è di certo la prima volta che accade. Con uno stile molto diverso, ma non meno efficace, ci è già riuscito un altro ex presidente, il famigerato Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, perché quando l’ideologia non tiene, l’unica cosa che resta da fare è annusare dove va il vento e in quest’arte Ahmadinejad si è rivelato un maestro. 

  
Smessi i panni dell’incendiario, cita i poeti e si fa fotografare davanti alla tomba di Ciro il Grande. Non rinuncia alle trasferte nei villaggi dimenticati dall’élite clericale, ma adesso, con lo stesso entusiasmo, frequenta pure i social network. Su Twitter alterna consigli a Trump, aforismi di sapore New Age e citazioni del rapper Tupac Shakur, perché nell’universo di questo Ahmadinejad riveduto e corretto tutto si tiene: le canzoni di Michael Jackson, il velo che non deve essere più una costrizione, il complotto sionista, Black Lives Matter, i quarterback americani e le mise di Serena Williams (“Perché il #FrenchOpen manca di rispetto a @serenawilliams? Sfortunatamente, certa gente in certi paesi, incluso il mio paese, non ha capito il significato della libertà”, ha cinguettato). E quando, a settembre la giornalista Golnaz Esfandiari gli ha ricordato che i suoi due mandati non sono stati un esempio sfolgorante di libertà, ha esibito un sorrisetto di sufficienza e le ha risposto: “Mi dispiace che sia male informata”. Basta crederci, in fondo. 

 

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