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Erdogan tasche vuote

Mariano Giustino

La Turchia ha bisogno di fare molti debiti per sopravvivere e ha bisogno di attrarre investitori esteri. Ma se e quando ciò potrà tornare ad essere possibile dipenderà dalla fiducia che Ankara saprà garantire, dalla sua politica interna e da quella estera

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L’economia turca soffre di una grave crisi di fiducia da parte dei mercati e degli investitori stranieri. La Turchia è a corto di liquidità. Dal 1° gennaio 2020, lo stato ha speso 130 miliardi di dollari per cercare di mantenere il valore della lira sotto i 7 punti rispetto al biglietto verde, ma senza successo. Il governo del presidente Erdogan è stato costretto ancora una volta a fare affidamento sugli investimenti del Qatar, il suo più stretto alleato. In soli cinque anni, Doha è arrivato a rappresentare il 15 per cento di tutti gli investimenti esteri diretti in Turchia, secondo solo agli investitori olandesi profondamente radicati da tempo. Questi nuovi investimenti arrivano mentre l’economia turca soffre di una crisi valutaria senza precedenti da quando l’AKP è al governo del paese. La lira turca infatti quest'anno ha perso quasi il 40 per cento del suo valore a causa dell'esaurimento delle riserve in valuta estera e delle politiche monetarie non ortodosse.

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L’economia turca soffre di una grave crisi di fiducia da parte dei mercati e degli investitori stranieri. La Turchia è a corto di liquidità. Dal 1° gennaio 2020, lo stato ha speso 130 miliardi di dollari per cercare di mantenere il valore della lira sotto i 7 punti rispetto al biglietto verde, ma senza successo. Il governo del presidente Erdogan è stato costretto ancora una volta a fare affidamento sugli investimenti del Qatar, il suo più stretto alleato. In soli cinque anni, Doha è arrivato a rappresentare il 15 per cento di tutti gli investimenti esteri diretti in Turchia, secondo solo agli investitori olandesi profondamente radicati da tempo. Questi nuovi investimenti arrivano mentre l’economia turca soffre di una crisi valutaria senza precedenti da quando l’AKP è al governo del paese. La lira turca infatti quest'anno ha perso quasi il 40 per cento del suo valore a causa dell'esaurimento delle riserve in valuta estera e delle politiche monetarie non ortodosse.

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Erdogan è alla prese con una recessione che dura da almeno due anni e dopo il forte crollo della lira a novembre sembra aver abbandonato l’erdoganomics e cioè la sua originale, non ortodossa, visione di politica economica che vede i tassi di interesse come inflazionistici. In questo 2020 le condizioni economiche non sono migliorate, anzi si sono aggravate con la pandemia; non sono state avviate infatti le riforme strutturali necessarie e vi è la necessità di rendere più forte la valuta turca. Il presidente turco ha sostituito con persone a lui più vicine il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze e del Tesoro, suo genero Albayrak, che sotto le forti critiche provenienti da più parti e da correnti all’interno dell’AKP a lui ostili si era dimesso. Ora il leader turco sembra essersi convinto della necessità di adottare una politica di espansione monetaria per prevenire le forti contrazioni economiche. Ma questo sta portando ad uno straordinario indebitamento dei consumatori e delle imprese che pone ulteriori dilemmi ad Ankara lungo la sua strada. Dunque possiamo dire che una montagna di debiti sta crescendo sotto il tappeto del sistema finanziario turco. L'espansione dei prestiti sta sì contribuendo a rilanciare l'economia turca, ma a costo di un'impennata allarmante del debito dei consumatori e delle imprese. Il problema è che la Turchia ha bisogno di attrarre gli investitori esteri. Ma se e quando ciò potrà tornare ad essere possibile dipenderà dalla fiducia che Ankara saprà garantire e dunque dipenderà dalla sua politica interna e da quella estera.

 

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Da circa dieci anni la politica economica turca registra pensanti battute di arresto. I primi governi dell’AKP, a partire dal 2003-2004, erano riusciti a far espandere l’economia del paese, pesantemente danneggiata dalla crisi economica del 2001, rafforzandone il settore bancario e finanziario. E fu proprio grazie alla forza del settore bancario e finanziario turco che Ankara riuscì a superare la crisi economica globale nel 2008 con molti meno danni rispetto ad altri mercati. La Turchia in quel periodo era l'unico paese OCSE con rendimenti degli investimenti a due cifre ed era a livelli record per gli investimenti esteri. Ma negli ultimi cinque anni sono successe molte cose che hanno influenzato negativamente l'appetito degli investitori. Erdogan dopo aver allontanato per divergenze politiche Ali Babacan, l’ex zar dell’economia turca degli anni d’oro dell’AKP, ha allontanato anche Mehmet Şimşek, un economista di calibro molto rispettato dagli investitori stranieri. E poi vi sono state le implicazioni negative del tentato colpo di stato del 2016. E dunque l’appetito dei mercati esteri, anche quelli interessati ai settori più strategici, ha iniziato a diminuire. L’erosione costante dello stato di diritto rappresenta un problema per gli investitori che hanno incominciato a guardare altrove. Investire in un paese dove un governo controlla la magistratura e dove non è garantita la separazione dei poteri è il motivo principale della perdita di fiducia dei mercati. A ciò si aggiungono le continue aperte violazione della Costituzione turca, con il mancato rispetto delle sentenze della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo che avevano chiesto la liberazione di oppositori politici e di esponenti della società civile.

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