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La lezione della Brexit

I dettagli della separazione consensuale tra Londra e Bruxelles

l'Ue, pur avendo fatto alcune concessioni rispetto alle sue posizioni iniziali, ha costretto Johnson a rinunciare alle sue linee rosse sul riprendere il controllo assoluto della sovranità britannica

David Carretta

Dopo l'annuncio dell'accordo, i 27 governi adotteranno una decisione per farlo entrare provvisoriamente in vigore, anche se non c'è ancora il consenso del Parlamento europeo. I deputati possono aspettare il 2021. L'Ue alla fine è un esercizio di difesa dell'interesse comune. Compreso quello della parte che soccombe

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La Brexit è finita come doveva andare a finire: con una separazione consensuale tra due vecchi amici, pronti a rinunciare a qualcosa pur di continuare ad avere relazioni civili e non danneggiare in modo grave la propria prosperità, già compromessa da una pandemia e dalla più grave recessione dalla fine della Seconda guerra mondale. Quattro anni e mezzo dopo il referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea,  Ursula von der Leyen e Boris Johnson hanno annunciato un'intesa sull'accordo di libero scambio che costituirà la base per le relazioni future. L'incubo della “hard Brexit” è stato evitato. L'1 gennaio 2021 non ci saranno dazi e quote dell'Organizzazione mondiale del commercio, anche se torneranno controlli sulle merci che attraversano la Manica e la vita dei cittadini britannici ed europei sarà molto più complicata. Chi ha vinto e chi ha perso in questo estenuante negoziato? La risposta è semplice: nessuno. Ma l'Ue, pur avendo fatto alcune concessioni rispetto alle sue posizioni iniziali, ha costretto Johnson a rinunciare alle sue linee rosse sul riprendere il controllo assoluto della sovranità britannica. Dagli aiuti di stato agli standard sociali e ambientali, passando per la pesca e l'energia, i destini dell'Ue e del Regno Unito continueranno a essere strettamente legati.

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La Brexit è finita come doveva andare a finire: con una separazione consensuale tra due vecchi amici, pronti a rinunciare a qualcosa pur di continuare ad avere relazioni civili e non danneggiare in modo grave la propria prosperità, già compromessa da una pandemia e dalla più grave recessione dalla fine della Seconda guerra mondale. Quattro anni e mezzo dopo il referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea,  Ursula von der Leyen e Boris Johnson hanno annunciato un'intesa sull'accordo di libero scambio che costituirà la base per le relazioni future. L'incubo della “hard Brexit” è stato evitato. L'1 gennaio 2021 non ci saranno dazi e quote dell'Organizzazione mondiale del commercio, anche se torneranno controlli sulle merci che attraversano la Manica e la vita dei cittadini britannici ed europei sarà molto più complicata. Chi ha vinto e chi ha perso in questo estenuante negoziato? La risposta è semplice: nessuno. Ma l'Ue, pur avendo fatto alcune concessioni rispetto alle sue posizioni iniziali, ha costretto Johnson a rinunciare alle sue linee rosse sul riprendere il controllo assoluto della sovranità britannica. Dagli aiuti di stato agli standard sociali e ambientali, passando per la pesca e l'energia, i destini dell'Ue e del Regno Unito continueranno a essere strettamente legati.

La parte più complicata delle trattative tra le squadre guidate da Michel Barnier e David Frost era quella sul cosiddetto “level playing field”: la parità di condizioni economiche per fare in modo che al Regno Unito non sia consentito di fare concorrenza sleale e dumping ambientale, fiscale o sociale. La posta in gioco è enorme: 750 miliardi di scambi l'anno e catene di approvvigionamento profondamente integrate con il “just in time” come regola di produzione. All'inizio dei negoziati l'Ue aveva chiesto un “allineamento dinamico” del Regno Unito alle regole sugli aiuti di stato e una “clausola di regressione” sugli standard ambientali, fiscali e sociali. Alla fine della trattativa Johnson ha accettato di seguire le regole europee sugli aiuti di stato e di non fare marcia indietro rispetto alla normativa attuale dell'Ue su ambiente, tassazione e legislazione sul lavoro. Al Regno Unito è stata riconosciuta piena sovranità. Ma, nel caso in cui dovesse divergere dalle regole europee con un vantaggi anticompetitivi, l'Ue potrà imporre misure di ritorsione nella forma di dazi. Lo stesso principio è stato adottato sulla pesca. Gli europei restituiranno progressivamente una parte delle quote al Regno Unito, ma potranno restare nelle acque britanniche per un periodo transitorio. Poi Londra avrà totale sovranità sul suo mare, ma se deciderà di tagliare fuori i pescatori europei subirà dazi europei sui prodotti della pesca.

Accettando un “deal” alle condizioni poste dell'Ue, Johnson ha riconosciuto la natura asimmetrica dei negoziati Brexit. Aldilà delle spacconate da Brexiter, il Regno Unito poteva solo ottenere vittorie simboliche, perché alla fine è quello che ha più da rimetterci da un “no deal”. Con il 43 per cento delle esportazioni britanniche che finiscono nell'Ue, il Regno Unito è più dipendente dall'Ue di quanto l'Ue dipenda dal Regno Unito. Inoltre, mai come nei negoziati Brexit, l'unione ha fatto la forza: i 27 sono riusciti a mantenere un'unità straordinaria, malgrado i tentativi di Johnson di seminare divisioni e gli interessi apparentemente divergenti tra industria tedesca e pescatori francesi. Barnier e la Commissione hanno confermato che l'altra forza dell'Ue è la vera “arte del deal”: la capacità di gestire in modo magistrale negoziati politici e tecnici complicatissimi, trovando soluzioni che non siano umilianti per l'altra parte, senza cedere al panico o alla demagogia, ma dimostrandosi flessibili e pragmatici. Accade anche con questo “deal” fuori tempo massimo. Dopo l'annuncio dell'accordo, i 27 governi adotteranno una decisione per farlo entrare provvisoriamente in vigore, anche se non c'è ancora il consenso del Parlamento europeo. I deputati possono aspettare il 2021. L'Ue alla fine è un esercizio di difesa dell'interesse comune. Compreso quello della parte che soccombe.

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