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Giappone e Corea del sud in crisi

Occhio al ciclo d’infezioni

Nei paesi asiatici “modello” di contenimento la terza ondata picchia duro. E ci dà delle lezioni

Giulia Pompili

Da una parte in Asia orientale è arrivato il freddo, e molte più persone passano tempo al chiuso. Ma c’è anche il naturale momento in cui, dopo un periodo d’emergenza, le persone (e le istituzioni) abbassano la guardia e credono di essere al sicuro

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 I paesi che meglio avevano affrontato i primi mesi di pandemia si trovano adesso in un inedito momento di crisi. Il problema, secondo gli esperti, era prevedibile: da una parte in Asia orientale è arrivato il freddo, e molte più persone passano tempo al chiuso. Ma c’è anche il naturale “ciclo delle infezioni”, cioè quel momento in cui, dopo un periodo d’emergenza, le persone (e le istituzioni) abbassano la guardia e credono di essere al sicuro. Sta succedendo in Giappone, a Hong Kong, in Corea del sud. L’unico paese a non aver allentato i controlli è la Cina, che sta procedendo con i test di massa: a Shanghai sono state testate oltre 17 mila persone, e si è registrato un solo positivo. A Tianjin sono stati sottoposti a test 2,3 milioni di persone, e anche lì si è registrato un solo positivo. Per la Cina si è positivi solo quando si manifestano sintomi, gli asintomatici o i presintomatici vengono isolati ma non fanno parte del conteggio ufficiale. A Pechino però sanno che il virus continua a circolare, e l’unica certezza di uscirne resta il vaccino: per assicurarsi le dosi entro il Capodanno cinese (si celebra il 12 febbraio prossimo) oltre ai vaccini delle aziende cinesi – venduti anche all’estero anche se non sono stati pubblicati ancora i risultati sulla loro efficacia – la casa farmaceutica cinese Fosun si è assicurata cento milioni di dosi del vaccino contro il coronavirus della Pfizer-BioNTech.

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 I paesi che meglio avevano affrontato i primi mesi di pandemia si trovano adesso in un inedito momento di crisi. Il problema, secondo gli esperti, era prevedibile: da una parte in Asia orientale è arrivato il freddo, e molte più persone passano tempo al chiuso. Ma c’è anche il naturale “ciclo delle infezioni”, cioè quel momento in cui, dopo un periodo d’emergenza, le persone (e le istituzioni) abbassano la guardia e credono di essere al sicuro. Sta succedendo in Giappone, a Hong Kong, in Corea del sud. L’unico paese a non aver allentato i controlli è la Cina, che sta procedendo con i test di massa: a Shanghai sono state testate oltre 17 mila persone, e si è registrato un solo positivo. A Tianjin sono stati sottoposti a test 2,3 milioni di persone, e anche lì si è registrato un solo positivo. Per la Cina si è positivi solo quando si manifestano sintomi, gli asintomatici o i presintomatici vengono isolati ma non fanno parte del conteggio ufficiale. A Pechino però sanno che il virus continua a circolare, e l’unica certezza di uscirne resta il vaccino: per assicurarsi le dosi entro il Capodanno cinese (si celebra il 12 febbraio prossimo) oltre ai vaccini delle aziende cinesi – venduti anche all’estero anche se non sono stati pubblicati ancora i risultati sulla loro efficacia – la casa farmaceutica cinese Fosun si è assicurata cento milioni di dosi del vaccino contro il coronavirus della Pfizer-BioNTech.


Nel frattempo, il Giappone ieri ha registrato il numero record di 3.059 infezioni da Covid-19, superando il record precedente del 12 dicembre scorso. La capitale Tokyo, da sola, ha avuto 822 contagi in più. Il 26 novembre scorso il governo centrale, visto il trend di diffusione del virus, aveva annunciato la possibilità di dichiarare lo stato d’emergenza nazionale alla fine di tre settimane di monitoraggio. Ieri, allo scadere dei ventuno giorni, Yasutoshi Nishimura, ministro per la Rivitalizzazione economica e responsabile del governo per l’epidemia, ha detto in Parlamento che il governo ha sostanzialmente fallito. 


 La governatrice di Tokyo, Yuriko Koike, ha portato il sistema sanitario alla massima allerta, il quarto su una scala di quattro. I casi sono in aumento anche nell’Hokkaido e nell’area di Osaka. Secondo gli esperti, il governo giapponese avrebbe fatto ben poco per contenere i contagi nelle ultime settimane. E quindi la questione è diventata anche – e soprattutto – politica: per la prima volta si chiedono le dimissioni del primo ministro Yoshihide Suga, arrivato in estate a sostituire il dimissionario Shinzo Abe. Ed è sotto accusa soprattutto la campagna “Go To Travel”, un programma di sussidi statali da 12 miliardi di dollari per incentivare il turismo interno e dare una mano ai lavoratori del settore, piegati dall’assenza di turisti internazionali. Ma aver incentivato il turismo ha aumentato anche i fattori di rischio. Il governo però ha deciso di sospendere il programma soltanto all’inizio di questa settimana, e solo dal 28 all’11 gennaio. Ieri il Japan Times ha pubblicato un editoriale durissimo contro il programma e “la mancanza di responsabilità” da parte della classe dirigente. C’è di mezzo anche una cena con diversi ospiti cui ha partecipato Suga il 14 dicembre scorso, subito dopo aver chiesto ai cittadini di evitare eventi con più di cinque persone. La vicenda ha provocato le critiche dell’opposizione, e Suga è stato costretto a scusarsi. 
In Corea del sud, a lungo il “modello” più celebrato al mondo di contenimento dell’epidemia, si comincia a parlare seriamente di lockdown. Questa settimana, per due giorni di seguito, i nuovi casi di Covid in Corea hanno superato il migliaio. E sta aumentando anche la mortalità: l’altro ieri ci sono stati 22 decessi. Il problema è l’incapacità di tracciare i contagi (oltre una certa soglia Seul definisce l’epidemia “fuori controllo”) e naturalmente  gli ospedali. Ieri una donna sessantenne è morta a Seul mentre aspettava di accedere all’ospedale dopo la diagnosi di Covid. Nella capitale sudcoreana i nuovi casi hanno raggiunto il numero record di 423, e secondo il Korea Herald tutte le terapie intensive sono occupate. La comunità scientifica e l’opposizione chiede al governo di Moon Jae-in di dichiarare il “livello di emergenza 3”, il massimo nelle regole di distanza sociale, che somiglia moltissimo a un lockdown. Finora il governo centrale di Seul ha aumentato il livello a 2,5, per contenere le conseguenze economiche, ma ulteriori misure non sono escluse. 

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