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Evviva Ivanka, che vuole essere riammessa in società

Giuliano Ferrara

Stufa dei rally, del chiasso deplorevole, dei comizi di daddy, dei suoi cinguettii morenti e roboanti, la figlia di The Donald vuole tornare nei salotti newyorkesi. Chissà che Salvini & Co. non traggano ispirazione

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Dunque Ivanka è stufa dei rally, del chiasso deplorevole, dei comizi di daddy, dei suoi cinguettii morenti e roboanti, del suo boasting, ho fatto questo ho fatto quello sono un genio anzi uno stable genius, è stufa dei fratelli che non accettano il verdetto elettorale, ama sempre di più il suo compassato marito, Jared Kushner, che per lo meno ha portato America e Israele agli accordi di Abramo, addirittura, un patto commerciale utile scambiato per la soluzione del problema, così la figliola dell’Arancione sbiancato ora visita i carcerati, indossa due o tre mascherine alla volta, si prodiga in charities per la populace anche immigrata detestata e svilita dal padre, insomma Ivanka vuole tornare a New York, dove papi ha il cinque per cento dei voti e gode di un disprezzo di massa, vuole essere riammessa in società.

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Dunque Ivanka è stufa dei rally, del chiasso deplorevole, dei comizi di daddy, dei suoi cinguettii morenti e roboanti, del suo boasting, ho fatto questo ho fatto quello sono un genio anzi uno stable genius, è stufa dei fratelli che non accettano il verdetto elettorale, ama sempre di più il suo compassato marito, Jared Kushner, che per lo meno ha portato America e Israele agli accordi di Abramo, addirittura, un patto commerciale utile scambiato per la soluzione del problema, così la figliola dell’Arancione sbiancato ora visita i carcerati, indossa due o tre mascherine alla volta, si prodiga in charities per la populace anche immigrata detestata e svilita dal padre, insomma Ivanka vuole tornare a New York, dove papi ha il cinque per cento dei voti e gode di un disprezzo di massa, vuole essere riammessa in società.

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Potrebbe essere il grande ritorno dei salons, dell’esprit de société, al posto dello spirito di tribù, dello sciame sibilante, della folla nella sua esagitata e non troppo elegante informalità. New York è per certi aspetti un luogo insopportabile di virtuismo immerso nei vizi peggiori. Primo fra tutti l’ipocrisia. Non hanno capito un Berlusconi, mite e spiritoso come il loro Bloomberg, e si sono beccati quattro anni fitti fitti di The Donald. Non hanno capito la funzione sociale del cristianesimo ecclesiastico e si sono beccati il movimento obbrobrioso dell’estremismo politico evangelico. Si sentono membri di un antico regime e si sono beccati la peggiore delle Fronde, una guerra civile ancora non terminata. Non fosse per gli ebrei, che sono grande parte del contesto, e ne scrivono testo e sottotesto con il loro formidabile humor sapiente, questa città puritana e wasp sarebbe fonte infernale di noia e di conformismo. Hanno fatto capire, comunque, che per essere riammessa una Trump, dicasi Trump, deve lavorare parecchio, e se vuole vedere qualcuno la sera, una volta tornata a Manhattan, ha bisogno di una nuova carta da visita, ma nuova nuova.

 

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E Ivanka pare si sia messa alacremente al lavoro. Siccome fenomeni e mode newyorkesi sono sempre all’avanguardia, chissà che il gusto della “messa in scena di sé”, che come racconta la splendida Craveri è stato il ponte tra il Grand Siècle e la civiltà dei lumi, attraverso l’arte della conversazione e il dilettantismo della mondanità e quella che diventerà secondo Talleyrand la “douceur de vivre”, non faccia il salto dell’Atlantico e si riproponga a Milano, a Roma e magari a Varese.

  

Io li voglio vedere, Salvini e forse Giorgetti, che animano cenacoli letterari e filantropici, che smettono di scherzare con un popolo inventato e si adattano a una società com’è, con le sue malignità, le sue astuzie, i suoi codici appunto da salotto. Voglio vederla la Meloni a cena da una amico di Soros, citare battute di Woody Allen, e insomma voglio vedere Lenny Bruce al posto del dj del Papeete. I bru bru in fondo si meritano di diventare perfetti uomini di mondo, almeno se vogliano governare popolo ed élite. Sogno un Di Maio alla scuola del congiuntivo posato, con le posate e tutto. Chi ha detto che non deve più funzionare l’ascensore sociale, specie in tempi di riforma del capitalismo. Abbiamo fatto un’indigestione di atteggiamenti e posture malmostosi, siamo stati sottoposti alla cura dell’insulto più spregevole, dell’immagine che comunica tinello e Nutella, ci hanno fatto apprezzare gagliardetti e rosari mal tenuti come chiavi di garage, non è ora che riscoprano, non dico le delizie della rispettabilità, che più o meno non esistono, ma quelle dell’intelligenza e della buona parola, la parola che educa, che cresce come una fioritura di primavera, che consente dialogo e conflitto secondo metodi ultra evoluti? Tutti con Ivanka, per la serie delle grandi vendette della storia.

 

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